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“Sogni mostruosamente proibiti” e “La parola ai giurati” di Sidney Lumet. I film di oggi 18 Febbraio

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 di Franco La Magna

Dopo gli esordi cinematografici della fine degli anni’ 60, che non hanno quasi lasciato traccia nell’immaginario collettivo, alla metà del decennio ‘70 Paolo Villaggio porta sul grande schermo un personaggio già lanciato dalla televisione, il tragicamente sempre perdente ragionier Ugo Fantozzi, che con il film diretto da Luciano Salce “Fantozzi” (1975), e con il sequel dell’anno successivo, ottiene un clamoroso, travolgente, successo di pubblico che bene o male lo accompagnerà fino alla fine della carriera.

Epigoni della commedia dell’arte, il ragionier Fantozzi – tiranneggiato dall’irraggiungibile “direttore megagalattico”, incarnazione dell’iperbolico grigiore impiegatizio – insieme all’altro clone omozigote Giandomenico Fracchia, smarriti e grotteschi travet in un mondo regolato da rigidi rapporti di classe, onusto di mali sociali, sempiterne maschere incancrenite, riappariranno, privi di eccessivi camuffamenti (a meno di qualche pregevole eccezione), anche in tutti i film interpretati dell’attore, scrittore e sceneggiatore genovese, personaggio televisivo di successo, interprete di oltre settanta film, nel 1992 premiato al Festival di Venezia con il Leone d’Oro alla carriera.

Tra Fracchia e Fantozzi s’insinua ancora con consumato mestiere il protagonista di “Sogni mostruosamente proibiti” (1982, stasera alle 21,00 su Cine 34) regia di Neri Parenti, rifacimento in chiave comica di un classico hollywoodiano, che al genovese offre più di uno spunto per rinverdire i suoi comici-drammatici personaggi equivalenti.

Di tutt’altro tono “La parola ai giurati” (1957, su Tv 2000 alle 21,10) regia di Sidney Lumet, ormai classico cult dei film d’ambiente giudiziario, superba prova attoriale di Henry Fonda (e di tutto il team attoriale) qui nei panni d’un componente di una giuria popolare che tenacemente, solo contro tutti, riesce a dimostrare l’innocenza dell’accusato.

Film di denuncia dell’onnipresente razzismo americano (il presunto colpevole è un giovane mulatto), mantenendo a livelli incandescenti la tensione emotiva Lumet, al suo fulminante esordio, scava nelle aporìe suscitate da uno solo dei giurati, che riuscirà a far ribaltare il verdetto iniziale, scardinando pregiudizi e demolendo ad una ad una tutte le presunte prove della colpevolezza del giovane incriminato.

La parola ai giurati” (titolo originario “Twelve angry men”), secco e incalzante dramma claustrofobico, paradigma  del dubbio, demolisce certezze  apodittiche con un inaspettato ed equanime sovvertimento di giudizio opposto alle stolte evidenze manifestate dai giudici popolari in avvio di seduta. Tratto da un teledramma del 1954 scritto da Reginald Rose, prestatosi al film come sceneggiatore. Assolutamente imperdibile.