di Lorenzo Gaiani
1. Il quorum era impossibile da raggiungere, e lo sapevano tutti: almeno da quando la Corte costituzionale aveva cassato il quesito relativo all’autonomia differenziata, il più politico di tutti e, per transenna, l’unico che avrebbe potuto garantire un certo interesse trasversale al Sud.
2. I quesiti sul lavoro erano pensati in una logica regressiva, ideologicamente volta al passato, finalizzata ad una sorta di regolamento di conti a posteriori, ignara delle evoluzioni del mercato del lavoro e programmaticamente tesa a rinverdire una sorta di collateralismo fra PD e CGIL (“Il Sindacato”, nella mente di tanti dirigenti democratici apparentemente ignari del fatto che in questo Paese esistono “I Sindacati”), con tanti saluti ai numerosi iscritti CISL e UIL che sono anche iscritti o elettori del PD.
3. Il quesito sulla cittadinanza andava nella direzione giusta, anche se forse il referendum non è la sede migliore per affrontare temi tanto complessi: in ogni caso l’alta percentuale di voti espressi per il “NO” dimostra la scarsa omogeneità della mobilitazione al voto (si può anzi pensare che se il quorum su questo quesito fosse stato ottenuto avrebbe potuto prevalere il “NO”) ridicolizzando la già ridicola espressione “fronte sociale unito” che qualche sprovveduto sta utilizzando in queste ore.
4. Che poi è lo stesso sprovveduto che ha messo in circolo giorni fa l’ipotesi tutta politicistica che l’importante fosse comunque raggiungere i dodici milioni di votanti, dimostrando in un colpo solo : a) di essere consapevole che il quorum non sarebbe stato raggiunto, e che quindi il referendum non era altro che una sorta di gigantesco sondaggio sul gradimento del Governo pagato con denaro pubblico b) di volersi autoaggiudicare tutti i voti validi espressi, con lo stesso spirito con cui Renzi nel 2016 si intestò il 41% che aveva votato “SI’ ” al referendum costituzionale (e si sa come andò a finire).
5. Come ha scritto giustamente Stefano Ceccanti, se non si riesce ad ottenere nemmeno la metà dei votanti alle ultime elezioni politiche ( che fu il 63%) hai perso, punto e basta, e bisogna avere l’onestà politica ed intellettuale di ammetterlo.
6. Ormai nel nostro Paese, se mi si passa la metafora calcistica, si gioca su di una sola metà campo, perché l’altra metà è strutturalmente persa alla mobilitazione politica. Anzi, sia all’una che all’altra parte di questo bipolarismo tanto radicalizzato quanto recitato dispiacerebbe persino se l’altra metà del campo, quella silenziosa riprendesse la parola. Finché continuano a tacere, due classi politiche egualmente autoreferenziali ed arroganti continueranno a parlare a nome di un’Italia che non esiste, perché al massimo essi parlano per quel 25% circa di Italiani che li vota. Gli assenti, si sa, hanno sempre torto, ma certe assenze pesano.
7. Infine: quello che ho scritto l’ho scritto senza il minimo compiacimento, ma con un vero senso di angoscia. Sono andato a votare, pur con tutti i dubbi sopra espressi, nonostante certi appelli al voto che suonavano indisponenti e fasulli nella loro retorica dolciastra, e proprio per questo vorrei che questo voto fosse rispettato con una franca ammissione di responsabilità da parte di chi ha commesso gravi errori di valutazione dimostrando di essere sostanzialmente sconnesso dalle aspettative del Paese. Non per chiedere dimissioni, non per innestare l’ennesimo dibattito autoreferenziale, ma perlomeno per parlarsi onestamente senza occhiali ideologici e senza censure ed autocensure. E’ chiedere troppo?