di Alberto Bianchi
Com’è noto, è in corso al Senato la discussione sul testo di riforma della giustizia presentato dal governo, che ha uno dei suoi punti di maggior rilievo e positiva valenza costituzionale nella separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e magistrati inquirenti. Confesso che, al riguardo, trovo puntuale e condivisibile – per il merito dei contenuti descritti e per il riflesso politico dei medesimi sullo sfondo del dibattito acceso che si è aperto nel Pd e nella sinistra parlamentare sulla suddetta riforma – l’articolo a firma di Alessandro Barbano, pubblicato su “L’Altravoce Il Quotidiano Nazionale”, dal significativo titolo: “I riformisti del Pd votino la riforma”. Vorrei – in questo forum del riformismo di area centro sinistra, quale è “Libertà Eguale” – fare alcune considerazioni.
Separare le carriere dei magistrati per garantire una “giustizia giusta” è oggi, indubbiamente, non solo la sfida garantista dei riformisti per una sinistra di governo, ma pure un tema ed una battaglia tipica di sinistra che il Pd, in primo luogo, non può regalare alla destra. Garantismo, sinistra e giustizia rappresentano un bivio storico per il Partito Democratico, sin dalla sua fondazione, e per l’intera sinistra: difendere un garantismo autentico o rifugiarsi in un giustizialismo di maniera. La proposta di separazione delle carriere tra magistratura requirente e giudicante, oggi in discussione al Senato, non è solo una questione tecnica. È una sfida culturale, politica e morale.
Eppure, il Pd a guida Schlein sembra oggi arroccato su posizioni di giustizialismo ed ostruzionismo, con una pioggia di emendamenti e pregiudiziali che rischiano di trasformare il dibattito in una guerra di trincea. Una scelta che appare miope, soprattutto alla luce di una riforma che mira a rafforzare la terzietà del giudice e la fiducia dei cittadini nella giustizia. Ma la stessa area di minoranza dei riformisti del Pd appare in grande debolezza nel difendere ed esprimere una posizione garantista, politicamente distinta da quella giustizialista della segreteria nazionale del partito.
Se addirittura un esponente politico come Goffredo Bettini – figura storica del centro sinistra, membro della direzione del PD e vicino alle posizioni politiche della segretaria Schlein – ha recentemente rotto il silenzio sul tema del garantismo della sinistra, affermando: “La separazione delle carriere non è una bandiera ideologica, ma un principio di equilibrio”; ebbene, questo ci dice qualcosa di molto preciso sullo stato grave in cui versa il dibattito interno al partito. Le sue parole non sono isolate: sono l’eco di una sensibilità garantista che, seppur silenziata negli ultimi anni, qualcuno deve prontamente continuare a far vivere tra le pieghe del riformismo democratico.
È urgente, dunque, che in queste ore i riformisti del Pd alzino la voce del garantismo nella discussione parlamentare in corso sulla riforma della giustizia, versione Nordio (così come i riformisti del Pd nel Parlamento europeo hanno fatto sul tema del riarmo e della difesa europea); che rivendichino con coraggio un garantismo moderno, capace di coniugare il rispetto per l’autonomia della magistratura con la necessità di riequilibrare i poteri. La separazione delle carriere non è un attacco ai magistrati, ma un atto di rispetto verso l’imputato, spesso solo e vulnerabile di fronte allo Stato. Chi ha a cuore la giustizia come strumento di libertà e non di repressione, non può voltarsi dall’altra parte. È il momento che il Pd scelga: ritornare a inseguire un giustizialismo sterile o essere una sinistra di governo che difende i diritti, anche quando è scomodo farlo.
Il voto sulla separazione delle carriere sta diventando un vero e proprio spartiacque all’interno del Pd, e offre una lente privilegiata per osservare le tensioni tra l’anima riformista e quella più giustizialista incarnata dalla segretaria Elly Schlein. La riforma proposta dal ministro Nordio – che prevede la netta separazione tra magistratura requirente e giudicante – è stata accolta con forte opposizione dalla linea ufficiale del Pd, che ha denunciato un attacco all’autonomia della magistratura e un indebolimento della lotta alle mafie. Non è così, in realtà, stando al merito del testo legislativo in esame. La linea giustizialista non è condivisa da tutti i parlamentari democratici: una parte significativa dei riformisti, pur in minoranza, guarda con favore alla riforma come strumento di garanzia per l’imputato e di riequilibrio tra poteri dello Stato. È ora di dirlo chiaramente anche nell’aula del Senato.
Secondo alcune analisi, il PD si è fatto “megafono dell’ANM” e ha rinunciato a una lettura autonoma e laica della giustizia. Questo ha riacceso il malcontento tra i riformisti, che vedono nella linea di Schlein una continuità con il giustizialismo grillino e una distanza crescente dai valori liberal-democratici.
Ecco perché, il voto favorevole alla riforma, da parte di alcuni esponenti riformisti o, comunque sia, il loro dissenso rispetto alla linea ufficiale della Segretaria nazionale del Pd, non è solo un atto tecnico: è un gesto politico che mira a ridefinire un partito dalla forte ossatura riformista. In gioco non c’è solo una norma costituzionale, ma la visione stessa della giustizia e del rapporto tra cittadino e Stato. Per i riformisti, il garantismo non è una concessione alla destra, ma un pilastro della cultura democratica di una sinistra di governo. E la separazione delle carriere è vista come una misura di civiltà giuridica, non come un attacco ai magistrati. In questo senso, un voto favorevole a questa proposta – se non del Pd in quanto tale almeno dei riformisti – diventa un atto di resistenza culturale e politica dentro un partito che rischia di appiattirsi su posizioni ideologiche.