Da il POST
Quando Francesca ha cominciato a rendersi conto che quello sentiva per Irene era speciale – «una felicità diversa rispetto a quando incontravo altre amiche» – aveva trentotto anni, due figli, un matrimonio che durava da più di dieci anni, e si era sempre considerata eterosessuale. «È una cosa che per un po’ è rimasta così, in penombra, perché avevo i figli a cui badare e altre cose su cui mi dovevo concentrare», racconta. «Solo quando la relazione con il mio ormai ex marito ha iniziato ad andare molto molto male ho deciso che poteva esserci lo spazio, dentro di me, per capire cos’erano quei sentimenti, per farmi qualche domanda in più. Ho detto “va bene, adesso è il momento di occuparmi di questa cosa”: ho riconosciuto il sentimento di attrazione che provavo verso di lei e ho deciso di nominarlo per quello che era. Non potevo più raccontarmela tanto diversamente».
Irene era apertamente lesbica da quindici anni, ma non aveva mai sospettato che l’amica provasse quei sentimenti nei suoi confronti. «Quando ho deciso di lanciarmi con lei, è caduta dal pero», dice Francesca, «Poteva essere un disastro, ma per fortuna è andato tutto bene». Oggi sta con Irene da due anni e non crede che potrebbe «tornare mai con un uomo». Sente, insomma, di far parte di quelle che nella comunità LGBTQ+ si chiamano “lesbiche tardive” o, con un’immagine un po’ più poetica, in inglese, “late-blooming lesbians”: “lesbiche che sono sbocciate più avanti nell’età”.
Spesso è un’etichetta utilizzata per parlare di donne di mezz’età, ma nella categoria rientrano tutte le donne che erano già adulte quando si sono rese conto di essere esclusivamente lesbiche. Per esempio è una late-blooming lesbian l’attrice di Sex and the city Cynthia Nixon – che ha fatto coming out come lesbica quando aveva cinquant’anni anche se aveva cominciato a frequentare la futura moglie, Christine Marinoni, quando ne aveva una quarantina – ma anche la cantante ventisettenne Chappell Roan, che ha scritto per anni delle sue relazioni con gli uomini prima di rendersi conto di essere lesbica e fare coming out l’anno scorso. E sono late-blooming lesbians le protagoniste di film come Am I Ok?, Ammonite, Carol e Il colore viola.
Non esiste, ovviamente, un’età “corretta” per trovare risposte sul proprio orientamento sessuale e per fare eventualmente coming out, e non ci sono dati molto dettagliati e aggiornati sullo sviluppo dell’identità sessuale, ovvero sul momento in cui si comincia a riconoscersi in un dato orientamento sessuale (eterosessuale, omosessuale, bisessuale e così via). Secondo l’unica grande ricerca europea condotta in materia – l’EU LGBTI Survey II, del 2019 – in media le persone che non si considerano eterosessuali diventano consapevoli del loro orientamento sessuale poco dopo i 14 anni e mezzo. È una media, però: e questo vuol dire che c’è sia chi se ne rende conto prima sia chi se ne rende conto dopo.
L’etichetta di “late-blooming lesbian” serve più che altro per aiutare le persone che ci si identificano a trovare altre persone che abbiano avuto un’esperienza simile, e a condividere le difficoltà e le gioie specifiche del cominciare a vivere in modo diverso la sessualità, le relazioni e la propria identità, in un momento della vita in cui non ci si sarebbe altrimenti aspettato di attraversare grossi sconvolgimenti. Per Francesca, per esempio, scoprire di essere lesbica dopo essere stata con un uomo per gran parte della vita adulta «è stata una cosa veramente stramba», anche perché «a quarant’anni pensi di aver capito cosa ti piace, che cosa vuoi, chi sei».
C’è qualche studio, ormai vecchiotto, che indica che gli uomini gay tendono in media a rendersi conto della propria attrazione per le persone dello stesso sesso prima rispetto alle donne. Il più citato è del 2013 ed è stato condotto dal Pew Research Center negli Stati Uniti: il 38 per cento degli uomini gay intervistati avevano cominciato a sospettare di non essere eterosessuali quando avevano meno di dieci anni, contro il 23 per cento delle donne lesbiche. Al contempo, il 14 per cento delle donne lesbiche se ne erano accorte dopo i vent’anni, contro il 3 per cento degli uomini gay. Secondo uno studio del 2016 la media per le persone nate prima degli anni Novanta era più alta, soprattutto per le donne.
Questo non vuol dire che non ci siano anche uomini gay che se ne rendono conto da adulti. Quella delle late-blooming lesbians, però, è un’esperienza attorno a cui si sono create comunità più grandi e attive: soltanto su Reddit sono 115mila le persone che fanno parte della comunità r/latebloomerlesbians, ma su social network come Facebook ci sono centinaia di gruppi dedicati grandi e piccoli, e negli ultimi anni sono usciti vari memoir e autobiografie scritte da donne che hanno scoperto di essere lesbiche anche a cinquanta o sessant’anni. È, poi, un’esperienza su cui si discute e si riflette decisamente di più, e che secondo molti è legata fortemente non soltanto a situazioni sociali che rendono difficile immaginare di stare con una persona dello stesso sesso, ma anche al modo in cui alle donne viene insegnato a pensare al proprio desiderio e alla centralità della sessualità nelle proprie relazioni.
«Il fenomeno delle lesbiche tardive rivela semplicemente che, per ragioni che non comprendiamo ancora appieno, la sessualità femminile può richiedere più tempo per emergere, stabilizzarsi e rivelarsi», ha scritto Sarah Barmak, autrice di Closer: Notes from the Orgasmic Frontier of Female Sexuality. «Non è perché ci sia qualcosa di intrinsecamente più misterioso nel corpo delle donne. È anzi un fenomeno che ha completamente senso se si pensa alla valanga di messaggi confusionari che le ragazze ricevono sulla loro sessualità mentre crescono all’interno di una cultura eteronormativa» (cioè in cui l’eterosessualità è considerata l’orientamento sessuale “automatico”, naturale).
Alcune late-blooming lesbians, infatti, a posteriori dicono di aver sempre saputo, in fondo in fondo, di essere attratte dalle donne, ma di averlo represso perché temevano eventuali ripercussioni sociali, familiari o professionali. Altre non sentono di aver represso una parte di sé per gran parte della vita, ma dicono che, semplicemente, a un certo punto il loro desiderio ha cambiato direzione. Molte, poi, dicono di essersi stupite di aver scoperto la propria attrazione per le donne da adulte, perché non si considerano omofobe né temevano particolarmente l’idea di scoprire di essere lesbiche, ma semplicemente avevano ignorato per anni dei segnali che a posteriori erano evidenti.
Hannah, che ha fatto coming out poco prima di compiere trent’anni, ha raccontato per esempio: «Per anni avevo giocato a rugby ed ero persino redattrice di una rivista LGBTQ+, ma pensavo sinceramente di essere soltanto una sostenitrice molto, molto convinta della comunità. La prima volta che ho capito di provare attrazione per una donna è stata una rivelazione sconvolgente, come se avessi finalmente trovato un senso. Ma il fatto di essere omosessuale era una sorpresa totale, per me».
Altre raccontano di aver baciato altre ragazze al liceo e di aver sviluppato delle cotte per le amiche da adolescenti, ma di essere state a lungo convinte che non volesse dire nulla: «Pensavo che tutte le donne pensassero che le donne sono attraenti, ma che poi la cosa naturale da fare fosse mettersi comunque con un uomo», ha detto Marina, che si è resa conto di essere lesbica a 38 anni, dopo essersi sposata e aver avuto figli.
Nella comunità si parla molto di “eterosessualità obbligatoria”, un termine preso in prestito dalla pensatrice femminista radicale Adrienne Rich: è l’idea, costruita socialmente nel tempo, secondo cui avere relazioni eterosessuali sia l’unico modo “normale” e socialmente accettabile di vivere, e che tutti gli altri orientamenti sessuali siano invece devianti, antisociali. Al contempo, alle donne (e tra donne) viene detto fin da subito che non possono aspettarsi granché dagli uomini, in termini di presenza emotiva e soddisfazione sessuale. «Era come avere il paraocchi. Il fatto che fossi una ragazza significava necessariamente che sarei cresciuta e a un certo punto mi sarebbero piaciuti i ragazzi. E quando ho cominciato a uscirci e l’esperienza mi è sembrata un po’ insoddisfacente non avevo nulla con cui metterla a confronto, e quindi semplicemente pensavo che l’amore, il sesso e il romanticismo fossero quella roba là», ha raccontato un’altra donna che ha fatto coming out dopo i trent’anni.
C’è poi il tema del desiderio femminile, a cui viene data tendenzialmente meno centralità rispetto a quello maschile: «Per una ragazza non è preoccupante se non prova grande desiderio sessuale per un uomo: anzi, se ne provasse troppo potrebbero darle della troia. Per un ragazzo, invece, non provare desiderio sessuale verso le donne è considerato preoccupante. Insomma, ci insegnano che non può esistere attrazione maschile verso le donne senza desiderio sessuale, ma che non è necessario che le donne provino desiderio sessuale per essere attratte dagli uomini», riassume un commento su r/latebloomerlesbians.
Meredith Chivers, sessuologa canadese della Queen’s University che studia da anni la fisiologia dell’eccitazione e le differenze tra uomini e donne, ritiene che una delle questioni sia che, in media, le donne fanno molta più fatica degli uomini a capire che stanno provando desiderio sessuale nei confronti di qualcuno: un’affermazione che, secondo le sue osservazioni, è particolarmente valida quando si tratta di una donna che si dichiara eterosessuale che prova attrazione per un’altra donna. A questo si aggiunge il fatto che, sempre secondo i suoi studi, «le donne hanno una capacità superiore agli uomini di rispondere a un’ampia gamma di stimoli sessuali, e quindi possono tranquillamente stare in una relazione eterosessuale per anni senza rendersi conto che manca loro qualcosa».
Questo genere di osservazione è particolarmente difficile da accettare per chi crede, magari a partire dal proprio singolo vissuto, che la sessualità umana sia monolitica e definita alla nascita. Molte late-blooming lesbians, però, raccontano semplicemente che il loro desiderio si è espanso nel momento in cui si sono permesse di esplorare aspetti di sé che fino a quel momento avevano messo da parte, impegnate magari a concentrarsi sulla cura dei figli e del partner.
Silvia, cresciuta in un piccolo paese lombardo nei primi anni Ottanta, fino ai 35 anni ha avuto soltanto relazioni anche piuttosto soddisfacenti con uomini. Durante una di queste relazioni aveva già provato «una fascinazione» per un’altra donna, ma pensando a lei non si sentiva a suo agio con l’idea di baciarla. Non aveva mai baciato un’altra ragazza, nemmeno da ragazzina. Poi è entrata in un bar per un appuntamento di lavoro ed è rimasta folgorata dall’incontro: «l’ho vista e ho detto ohi, ohi, ohi, qua c’è qualcosa che non torna. Il pomeriggio stesso ricordo di aver detto a un’amica che mi era successa una cosa strana: avevo conosciuto una ragazza per motivi di lavoro e avevo pensato che mi piaceva. Lei mi aveva chiesto: ma in che senso? E io le ho detto “mi sa che mi piace proprio”. Avevo 35 anni, ma quando provi un desiderio nuovo è come se ne avessi 15».
Tutte le late-blooming lesbians che conosce, dice, sono persone che non rinnegano il proprio passato, ma che a un certo punto hanno semplicemente deciso di concedersi la possibilità di andare a esplorare una curiosità. «Quando sono entrata nel bar ho sentito un turbamento, e mi sono permessa di andare a scoprire cosa c’era sotto. L’avrei fatto a vent’anni? Non te lo so dire: vivevo in un piccolo paese, non sapevo chi ero, tendenzialmente andavo a cercare conferme negli altri, ma non penso che mi stessi nascondendo nulla», racconta. «A 35 anni, invece, mi sentivo libera di poterlo fare». Oggi ne ha 42, e dice che non riesce a immaginare di tornare mai più indietro.