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Ratzinger, Bergoglio e l’illuminismo europeo

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di Alberto Bianchi

Nella splendida e potente Cappella Sistina, il prossimo Conclave non ha soltanto il compito di dare un successore al soglio vacante di Pietro. Sono convinto che debba affrontare una riflessione comparativa di fondo non più rinviabile tra i due pontificati che sono seguiti a Giovanni Paolo II: quello di Benedetto XVI e poi di Francesco. Aggirare o comprimere tale comparazione vorrebbe dire per la Chiesa cattolica perdere l’occasione per ridefinire un suo specifico ruolo in un mondo in tumultuoso caos trasformativo.

I cardinali sbaglierebbero se pensassero che il problema si esaurisca nel trovare un punto mediano di convergenza tra il meglio che i due pontificati hanno espresso. Ammesso che siano riusciti in tale intento. No. La questione determinante è chiedersi con quali contenuti, modalità e riferimenti Benedetto XVI e Francesco abbiano declinato il rapporto dell’universalismo ed umanesimo cristiani con il moderno nell’era della globalizzazione. E la modernità, per quell’ampia parte di geografia e di storia dell’inculturazione dell’universalismo del messaggio cristiano, ha voluto dire confronto ravvicinato e serrato con l’illuminismo europeo. Qui è il nodo critico decisivo – a mio parere – del confronto tra i due pontificati post giovan-paolini.

A questo riguardo, il Professore Loris Zanatta, titolare della cattedra di storia contemporanea dell’America latina dell’Università di Bologna, nel suo articolo dal titolo “Contro il trionfalismo in morte del Papa che sa tanto di peronismo”, pubblicato sul Foglio del 25/04, ha scritto che Jorge Mario Bergoglio ha combattuto contro l’illuminismo europeo, coltivando “… sempre il nazional cattolicesimo argentino…”. Jorge Mario Bergoglio, insomma, ha mantenuto vive le sue radici nella cultura argentina, che ha influenzato il suo pensiero e la sua azione anche dopo essere stato eletto Papa. In Argentina, il cattolicesimo ha spesso avuto un ruolo centrale nella costruzione dell’identità nazionale, e Jorge Mario Bergoglio, come gesuita e poi come arcivescovo di Buenos Aires, ha vissuto in prima persona questa dinamica. Il suo universalismo cattolico, dunque, anche da Piazza San Pietro, è sempre stato – al fondo – il riflesso del riscatto sociale e morale dei poveri: come in Argentina, così nel mondo.

Quale è stato, invece, il fattore prevalente e caratterizzante del Pontificato di Benedetto XVI nel rapporto con la modernità? Anche in Joseph Ratzinger, prima e dopo essere assurto al soglio petrino, è stato costantemente presente il nodo del confronto con l’illuminismo europeo, ma in una chiave decisamente diversa da Jorge Mario Bergoglio. Joseph Ratzinger ha espresso un giudizio articolato sull’Illuminismo europeo, riconoscendone sia i limiti che i meriti. Esplorando il rapporto tra fides et ratio, egli ha sempre sottolineato che l’Illuminismo ha radici cristiane, contribuendo così a riaffermare alcuni valori fondamentali del cristianesimo, come la dignità universale dell’uomo e la centralità della ragione. Tuttavia, ha anche evidenziato la necessità di una riflessione critica da parte di entrambe le parti, cristianesimo e Illuminismo, per correggere le proprie visioni e giungere a una vera riconciliazione tra Chiesa e modernità. Ma lasciamo che a parlare sia lo stesso Ratzinger: «…l’illuminismo è di origine cristiana ed è nato non a caso proprio ed esclusivamente nell’ambito della fede cristiana. […] È stato merito dell’illuminismo aver riproposto … valori originali del cristianesimo e aver ridato alla ragione la sua propria voce». La frase è tratta dal suo discorso all’Università di Regensburg, pronunciato il 12 settembre 2006.

Ma andando più indietro nel tempo, risale addirittura al 1968 una delle opere fondamentali del pensiero teologico di Joseph Ratzinger: “Introduzione al cristianesimo”, edizioni Queriniana, nella quale il futuro Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede estende il confronto oltre il l’illuminismo della tradizione europea del XVIII secolo, per un esame comparativo di quella duplice disposizione alla riflessione razionale attiva sia nella filosofia della Grecia classica che nella letteratura dell’Antico Testamento. Ancora le parole di Joseph Ratzinger: “… la ricerca odierna è sempre più dell’idea che ci sia un sorprendente parallelismo, temporale e contenutistico, fra la critica filosofica dei miti in Grecia e la critica profetica agli dèi in Israele. Le due critiche partono certo da presupposti completamente diversi e perseguono finalità del tutto differenti. Ma il movimento del logos contro il mythos, così come si è sviluppato ad opera dello spirito greco nell’illuminismo filosofico, tanto da condurre alla fine necessariamente alla caduta degli dèi, corre sostanzialmente parallelo all’illuminismo praticato dalla letteratura profetica e sapienziale nella sua demitizzazione delle potenze divine a favore dell’unico Dio. Nonostante tutte le loro divergenze, ambedue i movimenti coincidono nello sforzo di tendere al logos”. Colpisce come Joseph Ratzinger utilizzi il termine stesso di illuminismo quasi con naturalezza, non disgiunta a rigore dimostrativo e forte convinzione interpretativa. Oggi sarebbe fatto segno di attacchi dal fronte della cancel culture.

Tutto questo per dire che i due pontificati di Benedetto XVI e di Francesco hanno avuto nel rapporto con il moderno ed il pensiero e l’azione da cui è sorto – l’illuminismo europeo laico-razionale, ma pur sempre di origine cristiana – il loro “Hic Rhodus, hic salta”, come si suol dire. Non nascondo che la mia condivisione è per l’impostazione ratzingeriana e non per quella bergogliana, dal momento che trovo la prima più in armonia con il richiamo presente nella Prima Lettera di Pietro ai fedeli in Cristo dell’Asia Minore: “… rendere ragione della speranza che è in voi …” (1Pt 3,15). Che è come dire che il problema della Chiesa cattolica è non tanto l’adeguamento comportamentale del cristiano al mondo celando la ragione della speranza cristiana, quanto sfidare il secolo sul rapporto tra verità e realtà, facendo discendere da questo l’essere di Dio e dei seguaci in Cristo nel mondo di oggi così tumultuosamente in disordine. Questa è la pretesa cristiana. C’è chi nella Chiesa – e tra gli stessi cardinali del prossimo conclave che sarà chiamato a dare un nuovo Papa ai cattolici – afferma che il rapporto e l’equilibrio tra dottrina e pastorale non si pone, che tutto oggi si risolve unicamente nell’azione, nel fare, nella prassi, nella pastorale, per l’appunto.

Non credo sia così. Piuttosto – come ebbe a dire il compianto cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo emerito di Bologna – sono convinto che “una Chiesa con poca attenzione alla dottrina non è più pastorale, è solo più ignorante”.