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Putin, una guerra ideologica?

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L’ideologia eurasiatista di Dugin, il politologo e filosofo sempre al fianco dell’autocrate del Cremlino, mira all’unificazione di tutti i popoli di lingua russa in un unico paese attraverso lo smembramento territoriale coatto delle ex–repubbliche sovietiche. Per Dugin “il polo europeo (russo nella sua visione) dovrebbe attrarre gli altri stati europei”

di Ettore Minniti*

In tanti si sono chiesti e si continuano a chiedere quali sono le cause che hanno scatenato la guerra in Ucraina. In molti hanno cercato di dare una risposta senza convincerci appieno.

Per Putin, come ha ribadito nel discorso, piuttosto dimesso, tenuto in occasione della parata militare del 9 maggio a Mosca, la decisione di attaccare è dipesa dai timori legati a un’espansione verso est della Nato. E al netto delle gravi responsabilità degli Stati Uniti, e di Biden in particolare, questo timore potrebbe essere fondato, ma non tanto da giustificare la distruzione di un popolo, della sua sovranità e della crudeltà dimostrata verso di essi.

La Russia considera l’Ucraina come parte naturale della sua sfera di influenza. Putin stesso ha descritto i russi e gli ucraini come “una nazione” e il crollo dell’Unione Sovietica nel dicembre 1991 come la “disintegrazione della Russia storica”. Egli ritiene che l’Ucraina di oggi è stata interamente creata dalla Russia comunista (come lo sono la Bielorussia, la Georgia e la Cecenia) mentre ora rappresenta uno stato satellite sotto il controllo dell’Occidente. È chiaro che Putin stia cercando di rovesciare il governo democraticamente eletto dell’Ucraina, avendo la capacità critica di discernere quanto è avvenuto nel 2014 da quanto successo nel 2019, con l’elezione democratica di Zelensky.

L’obiettivo dichiarato è che l’Ucraina sia liberata dall’oppressione e “ripulita dai nazisti”. Ma tutto ciò non è sufficiente a giustificare quanto sta succedendo in Ucraina e che l’operazione militare speciale di fatto è una vera e propria guerra.

Putin, lo zar, non ha il solo scopo di annettere tutta l’Ucraina, come ha già fatto con la Crimea e il Donbass, ma ha chiesto più volte che la Nato ritorni ai suoi confini precedenti al 1997, vuole che essa rimuova le sue forze e le infrastrutture militari dagli stati membri che hanno aderito all’alleanza dal 1997 e che non schieri “armi d’attacco vicino ai confini della Russia”.

Dall’altra parte la Nato ha fatto sapere che allo stato attuale non c’è però nessuna prospettiva di adesione dell’Ucraina all’alleanza. Lo statuto della Nato prevede inoltre un intervento militare solo in caso di attacco di uno dei Paesi membri.

Diversa la posizione della Comunità Europea che invece ha avviato le pratica per l’entrata dell’Ucraina nell’Unione.

A dare manforte a Putin il Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, Kirill. Il Patriarca, fedelissimo di Putin, è un sostenitore “dell’annessione della Crimea e della destabilizzazione dell’Ucraina, per la legittima difesa dei confini russi”.

Kirill è stato denunciato da preti ucraini perché predica la dottrina del “mondo russo”, che si discosta dall’insegnamento ortodosso e andrebbe condannato come eretico, addebitandogli crimini morali nel benedire la guerra contro l’Ucraina e sostenere pienamente le azioni aggressive delle truppe russe sul suolo ucraino. Ha conosciuto Putin quando entrambi erano agenti del Kgb. Con il capo del Cremlino, da lui definito “un miracolo di Dio”, è legato da una lunga e profonda amicizia.

Al suo fianco il politologo e filosofo Dugin. L’ideologia eurasiatista di Dugin mira all’unificazione di tutti i popoli di lingua russa in un unico paese attraverso lo smembramento territoriale coatto delle ex–repubbliche sovietiche. Secondo quest’ultimo “il polo europeo (russo nella sua visione) dovrebbe attrarre gli altri stati europei”. Non è una novità assoluta nella storia del pensiero politico, anche Hitler, ad esempio, aveva una concezione analoga del mondo.

Si può affermare, senza essere smentiti, che si tratti di una guerra ideologica, lontana da una presunta pulizia nazista e dalla difesa dei confini nazionali dal pericolo occidentale.

Per Putin centrare i suoi obiettivi di ricreare la Panrussa, l’ortodossia russa come religione ufficiale e ristabilire la lingua russofona in tutti i paesi aggregati (con la forza) sarà impresa difficile.

Per i commentatori e per gli analisti non è facile, infatti, comprendere come è possibile giustificare come mai migliaia di ucraini che vivono in Russia o hanno passaporto russo, e dall’altro i russi attualmente residenti in Ucraina che, anche quando hanno passato parte della loro vita in Russia, si sono adesso arruolati volontari con l’esercito di Kiev contro l’invasione dell’Ucraina oppure il caso evidente ed eclatante di quanto si sta verificando nel Donbass. Già negli anni ’90 nella regione vi era una forte concentrazione di popolazione prevalentemente russa e russofona. Con la rivoluzione di Maidan e l’intervento militare russo nel 2014, il Paese si è diviso secondo linee etno-linguistiche russe ed ucraine. Dall’inizio della guerra otto anni fa e già prima dell’invasione russa del Paese nel febbraio scorso, il rapporto degli abitanti del Donbass con le autorità di Kiev e di Mosca si era modificato in senso pacifico. Putin si aspettava che le comunità russe e russofone del Donbass, sotto controllo ucraino, avrebbero accolto l’esercito russo come una liberazione dall’oppressione di Kiev, invece di resistere come stanno facendo. Putin non ha mai tenuto in considerazione le conseguenze della cattiva gestione russa di parte del Donbass dal 2014 ad oggi che avrebbe generato sentimenti avversi delle popolazioni locali, e ciò al di là delle azioni discriminatorie e anche violente perpetrate dal governo di Kiev nei loro confronti. Lo stesso Putin, nonostante la sua grande intelligenza e capacità analitica, ha sottovalutato che, a prescindere da una comunanza culturale e linguistica con una parte della popolazione, gli abitanti del Donbass potevano essere russofoni e nonostante tutto sentire un attaccamento al proprio Paese di appartenenza, senza volere l’annessione alla Russia. Tant’è che oggi si registrano molte defezioni di uomini nella regione delle autoproclamate repubbliche di Doneck e Lugans’k – sotto controllo russo e generalmente considerate prorusse – a combattere contro le forze ucraine.

Di fronte alla resistenza di tutte le città assediate dall’esercito russo, l’impressione è che ci sia un forte sentimento di unità nazionale a prescindere dall’etnia e dalla lingua di appartenenza.

La leadership Ucraina, liberamente e democraticamente eletta, in un futuro prossimo, se non annessa con la forza all’ex Unione Sovietica, dovrà essere pronta ad accogliere quei russi che vorranno abbandonare una Russia sempre più autoritaria e totalitaria, senza però abbandonare quello che considerano il “loro modo di vivere e di concepire la convivenza civile”.

Una guerra ideologica, quindi, quella voluta da Putin, dai risvolti imprevedibili.

Una guerra che potrebbe durare tanti anni, perché nessuna delle parti vorrà fare un passo indietro.

Il potere del popolo e il potere della ragione sono tutt’uno.” (Georg Buchner)

* segretario nazionale di Confedercontribuenti