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Priebke e la scusa dell’obbedienza all’ordine del superiore

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Il testamento morale di Erich Priebke, con l’invocazione di avere obbedito ad un ordine, impone di tornare sulle motivazioni, in fatto ed in diritto, della sentenza di condanna

 

di Giovanni Zaccaro Giudice del Tribunale di Bari

fonte@ https://www.questionegiustizia.it/

Il 23 marzo 1944 a Roma, in via Rasella, per mano dei partigiani italiani appartenti all’organizzazione clandestina di resistenza alle forze tedesche occupanti, decedevano 32 soldati tedeschi del battaglione Bozen.

All’epoca dei fatti, dopo l’Armistizio del 8 settembre 1943, le truppe tedesche occupavano Roma come forze armate nemiche.

A titolo di rappresaglia, che venne sollecitato personalmente da Hitler addirittura in termini più catastrofici, il tenente colonello delle SS Herbert Kappler ordinò di fucilare, entro 24 ore, un numero di italiani decuplo di quello dei tedeschi caduti. Venne formato un elenco comprendenti cittadini italiani condannati a morte od all’ergastolo, cittadini italiani ebrei arrestati nel corso di un rastrellamento e detenuti comuni ristretti pressi carceri civili.

La fucilazione avvenne il 24 marzo all’interno delle Cave Ardeatine, successivamente murate. Le vittime furono 335, quindici più del previsto.

Alle operazioni, sotto la guida di Kappler, presero parte anche gli ufficiali Priebke e Hass.

Dopo la Liberazione, si pose il problema della punizione dei responsabili della strage.

Kappler venne condannato con sentenza del Tribunale militare territoriale di Roma del 20 luglio 1948.

La lunga vicenda processuale di Priebke, per decenni rifugiato in Argentina e poi estradato a metà anni ’90 in Italia, terminò con la sentenza della I sezione della Corte di Cassazione del 16 novembre 1998.

Il caso ha aperto molteplici problemi giuridici: la qualificazione dell’attentato di via Rasella come atto di guerra e la sua attribuibilità o meno allo Stato italiano; la qualificazione della strage come rappresaglia;  la qualificazione di Kappler, Hass e Priebke, tutti SS, come forze armate straniere e quindi la loro assoggettabilità o meno alla giurisdizione penale militare italiana.

La difesa di Priebke si è fondata soprattutto sulla pretesa sussistenza della scriminante dell’adempimento del dovere: il capitano si sarebbe limitato ad obbedire, da buon militare, ad un ordine del superiore (addirittura, risalendo in via gerarchica, ad un ordine di Hitler in persona).

La petulanza con la quale, fino all’ultimo giorno ed addirittura dopo la morte con la diffusione di un suo “testamento morale”, Priebke ha insistito su tale argomento impone di tornare sui motivi della condanna. Anche perché, in queste ore, frange politiche di estrema destra rinnovano l’immagine di Priebke come vittima della “giustizia dei vincitori” ed “eroe” di una pretesa etica militare, fondata sull’obbedienza all’ordine del superiore.

Nel caso Kappler, il tribunale militare riconobbe la scriminante , sostenendo che non vi era prova che il Kappler avesse avuto coscienza e volontà dell’illegittimità dell’ordine e comunque era giustificabile essendo inquadrato nei ranghi delle SS e dunque essendo portatore di un “abito  mentale portato all’obbedienza pronta” e obbligato ad una “discipina rigidissima”. Il Kappler venne, comunque, condannato all’ergastolo per la morte delle ulteriori quindici persone, la cui uccisione, in quanto eccedente il numero prefissato di 320 vittime, non era giustificabile con l’ordine del superiore.

Negli anni successivi, l’orientamento è mutato.

Già nel caso delle Risiera (campo di concentramento e sterminio nei pressi di Trieste), la Corte di Assise, con sentenza del 29 aprile 1976) escluse l’operatività della scriminante in questione per i rei di crimini contro l’umanità.

La Suprema Corte, con la sentenza del 16 novembre 1999, premessa l’astratta applicabilità della scriminante dell’abrogato art. 40 cpmp, in quanto norma più favorevole dell’esimente dell’art. 51 cp, ha invece escluso che gli imputati Priebke e Hass potessero godere della causa di giustificazione dell’adempimento del dovere (ossia dell’obbedienza all’ordine inoltrato in via gerarchica).

In primo luogo, la Corte ha evidenziato che lo sterminio delle Fosse Ardeatine appare, per i cinici sistemi di selezione delle vittime, per la sproporzione fra il numero di vittime e soldati tedeschi morti, per le efferate modalità di esecuzione dell’eccidio e successivo occultamento dei cadaveri, macroscopicamente criminoso e dunque tale da legittimare la disobbeidenza gerarchica.

Quindi, rovesciando l’impostazione della sentenza Kappler, ha rinvenuto negli imputati chiari indizi di adesione psichica e morale all’ordine, evidenziando come essi avessero avuti solidi convincimenti ideologici razziali e totale disinteresse per le sorti delle vittime. Le interviste rese, in questi ultimi anni, da Priebke sembrano dare conferma, ex post, di quanto coscientemente e deliberatamente costui abbia condiviso l’ordine dei suoi superiori.

Ma il problema giuridico di fondo è il preteso “stato di necessità” nell’esecuzione di un ordine criminoso.

Senza dubbio, non vi è responsabilità per chi esegue un ordine criminoso qualora sia stato costretto dallo stato di necessità, determinato dalla minaccia di una sanzione nel caso di insubordinazione. Se si adempie all’ordine pur di non subire conseguenza per la propria vita, che si annunciano come certe in caso di rifiuto, si può a ragione invocare la non punibilità. E’ proprio il ragionamento sulla quale era stata fondata la sentenza Kappler.

Orbene, la Corte ha dato atto che non sono emerse prove che gli ufficiali, non obbediendo all’ordine, sarebbero stati vittime di sanzioni.

Invero, dai dati processuali, era emerso che molti soldati, incaricati della fucilazione, svennero o non ebbero il coraggio di sparare, senza subire alcuna conseguenza ed anzi essendo rinfrancati dai loro superiori.

Addirittura, alcuni ufficiali- il cui nome deve essere ricordato: maggiore Dobrik e colonnello Hanser- rifiutarono di eseguire la rappresaglia e non ebbero pregiudizio né per la loro vita, né per la loro carriera.

Il passo della motivazione merita di essere letto perché, sconfessando la tesi ancora diffusa in certa pubblicistica, ha dimostrato che l’insubordinazione era praticabile e che l’adesione alla strage da parte del Priebke fu libera e spontanea.