Giovedì 10 luglio la plenaria del Parlamento europeo, riunita a Strasburgo, sarà chiamata a esprimersi su una “mozione di censura” nei confronti della Commissione europea presieduta da Ursula von der Leyen. La mozione, presentata dall’eurodeputato romeno del gruppo dei Conservatori e riformisti (Ecr), Gheorghe Piperea, ha raccolto 77 firme, più delle 72 necessarie (un decimo dei 720 eurodeputati totali) che l’articolo 131 del regolamento del Parlamento europeo prevede affinché una mozione possa essere discussa e votata.
Sempre l’articolo 131 prevede che il voto avvenga almeno quarantott’ore dopo l’inizio della discussione parlamentare sulla mozione: motivo per cui, con la discussione calendarizzata per lunedì pomeriggio, in apertura della sessione plenaria, il voto avverrà giovedì a mezzogiorno. La votazione sulla mozione ha luogo per appello nominale, quindi non c’è scrutinio segreto. La mozione è approvata a maggioranza dei due terzi dei voti espressi e a maggioranza (361) dei deputati che compongono il Parlamento.
Nel testo della mozione, i deputati accusano Ursula von der Leyen di mancata trasparenza nell’ambito del cosiddetto Pfizergate, ovvero la mancata divulgazione da parte della Commissione dei messaggi tra la stessa von der Leyen e il Ceo di Pfizer, Albert Bourla, relativi all’approvvigionamento di vaccini contro il Covid-19. Rifiuto a causa del quale, secondo i proponenti, la Commissione “non gode più della fiducia del Parlamento per sostenere i principi di trasparenza, responsabilità e buon governo essenziali per un’Unione democratica”. I deputati accusano la Commissione anche “dell’uso abusivo da parte della Commissione dell’articolo 122 Tfue”, che permette di aggirare il Parlamento europeo, “come base giuridica per il regolamento Safe” i 150 miliardi di euro di prestiti congiunti per il riarmo, che costituirebbe “una grave violazione delle competenze e una distorsione della finalità dell’articolo, riservato a situazioni di emergenza economica”. Infine, i deputati sostengono che “l’interferenza illegittima della Commissione nelle elezioni degli Stati membri”, riferendosi alle elezioni tenutesi in Germania e Romania, “tramite un’applicazione distorta del Digital Services Act, rappresenta una grave violazione del suo mandato di tutela dei principi democratici e di rispetto della sovranità nazionale”. Tra i proponenti, figurano soprattutto molti dei parlamentari del PiS polacco, tra cui anche il co-presidente del gruppo di Ecr, Patryk Jaki; e la quasi totalità dei parlamentari di Alternative fur Deutschland, insieme al proprio gruppo dell’Europa delle nazioni sovrane. Fonti Ecr precisano che “la mozione di censura contro la Commissione europea non è stata presentata dal gruppo Ecr, e conta sulla firma di 27 membri su 79 del gruppo, ovvero un terzo, mentre “i due terzi e la maggioranza delle delegazioni nazionali Ecr non hanno sottoscritto questa iniziativa, che quindi deve essere considerata come individuale e non di gruppo”.
L’uso dello strumento della mozione di censura è piuttosto insolito nelle dinamiche del Parlamento europeo: per tornare all’ultimo caso bisogna fare un salto indietro a più di dieci anni fa, al 2014, quando l’allora presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, fu accusato di aver promosso politiche che avrebbero favorito l’elusione fiscale durante i suoi anni da primo ministro del Lussemburgo, nell’ambito dello scandalo LuxLeaks. La mozione, presentata dall’allora eurodeputato del Movimento 5 Stelle Marco Zanni (poi passato alla Lega), fu bocciata con 101 sì, 461 no e 88 astenuti. Prima di questa, altre due mozioni di censura negli anni 2000: nel 2005, presentata da Nigel Farage contro la prima commissione Barroso per presunto conflitto d’interesse – bocciata con 35 voti a favore e 589 voti contro – e nel 2004 contro la commissione di Romano Prodi, per uno scandalo legato alla gestione di Eurostat, mozione anch’essa respinta con 88 sì e 515 no.
Prima della commissione Prodi, è la commissione guidata da Jacques Santer a fronteggiare due mozioni di censura (nel 1997 e 1999), entrambe respinte, per poi dimettersi comunque a seguito dello scoppio di uno scandalo per corruzione che vide coinvolta la commissaria alla Scienza, Edith Cresson. A causa del suo rifiuto a presentare le dimissioni, è infine l’intera Commissione a dimettersi nel marzo 1999, anticipando un terzo voto di censura. (AGI)
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