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Parco Verde. Caro Saviano, servono samaritani. Non profeti di sventura

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Sono contento che, ancora una volta, la nostra sofferenza sia servita ad accendere i riflettori sul dramma immenso delle periferie abbandonate a sé stesse. Stavano là da sempre, sotto gli occhi di tutti, uomini semplici e intellettuali, politici, artisti e industriali. Sono contento che i poveri hanno ottenuto – fino a quando e con quali risultati non lo so – di essere ascoltati. Unico nostro desiderio è fare qualcosa di concreto perché i quartieri a rischio, ovunque si trovino, riescano a risollevarsi. Non è facile, gli anni di abbandono pesano. Ma si deve andare avanti, godendo di piccole conquiste. Spronando chi di dovere a fare il proprio dovere.

Che cosa sia avvenuto in questi giorni nella mia parrocchia è sotto gli occhi di tutti. Capisco le reazioni di chi è politicamente schierato sul lato opposto a quello del governo; capisco la mortificazione che invade gli animi dei nostri politici locali, mentre le immagini del nostro paese fanno il giro della penisola; capisco la rabbia di “droghieri e drogati” che al Parco Verde, in questi giorni, non possono espletare i loro affari e soddisfare i loro bisogni.

Capisco ma non condivido le dichiarazioni di Roberto Saviano. Anche lui, come tanti – troppi a dire il vero – cade nella trappola della facile diagnosi. Il fatto è, caro fratello Roberto, che di diagnosi ne abbiamo già tante e non da adesso. Andando a ritroso, non è difficile smascherare i nodi irrisolti, gli imbrogli perpetrati sulla pelle della gente, scovare dove è andato a finire tanto denaro pubblico sprecato in modo inutile e irresponsabile. Debbo fare attenzione, però, perché rischio di cadere anch’io nella larga buca della facile recriminazione. E non è quello che voglio.

Ci conoscemmo, te ne ricorderai, al funerale di un ragazzo, appena quindicenne, ucciso durante una rapina. Povero figlio, era stato trascinato a fare quella cosaccia da un amico maggiorenne. Quell’errore gli costò la vita. Tu, sconosciuto cronista, eri in chiesa. Mi chiedesti un’intervista che facesti confluire poi nel tuo libro Gomorra. Il “Padre Mauro” cui fai riferimento sono io. Da allora ne hai fatta di strada.

Ti ho seguito, non sempre ti ho apprezzato, soprattutto quando hai preso posizione contro la famiglia e a favore dell’utero in affitto, a mio avviso un obbrobrio da fare accapponare la pelle. Ho potuto notare quanto male ha fatto a tanti nostri ragazzini a rischio la serie televisiva Gomorra. Non una volta sola, attraverso la tua pagina, ti ho chiesto di ritornare al Parco Verde, non lo hai mai fatto. Oggi leggo che alla domanda «Quando ha visto il Governo al Parco Verde che cosa ha pensato?» rispondi candidamente: «È la fine di tutto. È la fine di ogni racconto che alla base abbia almeno un brandello di verità…». Non mi trovo d’accordo, e non certo per motivi di partito. Perché mai la visita del presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica italiana, al Parco Verde, dove da sempre, come ha detto il presidente della Regione Vincenzo De Luca, «lo Stato non c’è», dovrebbe essere «la fine di tutto»? Per me prete, che in quel luogo sto consumando la vita, potrebbe essere l’esatto contrario.

Ognuno, certo, può avere le sue legittime opinioni, ma di fronte alle prime avvisaglie di un pur minimo cambiamento non mi sembra un bene cotanto pessimismo. Siamo stanchi e feriti, necessitiamo di ottimismo e di speranza. Abbiamo bisogno di un samaritano buono che ci tenda una mano, non di profeti di sventura che, da lontano, emettono simili sentenze.

So bene, caro Roberto, che cosa ci vorrebbe per far risorgere Parco Verde, Salicelle, Scampia e tutte le periferie urbane. Il fatto è che la bacchetta magica non ce l’ha nessuno. I vari governi che si sono succeduti hanno attraversato tutti gli schieramenti politici, ebbene: nessuno è riuscito a fare il miracolo sperato. Ci sono stati anni in cui il problema veniva ignorato, altri in cui chi stava al potere fingeva meraviglia, altri in cui qualcosa avveniva. Piccole cose. In questi giorni qualcosa sta accadendo, che cosa lo sanno tutti, te compreso. Che facciamo? Ricominciamo ad andare alla ricerca dell’untore? Va bene, ma intanto la gente muore. O, piuttosto, mettiamo un punto fermo, ci rimbocchiamo le maniche e vediamo di iniziare a porre rimedio?

Tutto qui, caro Roberto. Sono convinto che chiunque voglia un po’ di bene a me e alla mia gente deve avere l’umiltà della concretezza e della verità, e portare, o almeno supportare, soluzioni concrete, fattibili, realizzabili. Ai sogni continuiamo a pensarci noi.

 

Di Maurizio Patricello – fonte: avvenire.it