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Papa: si riapre il dibattito sul ritorno della messa in latino

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Cresce l’attesa anche a Napoli per i primi segnali del pontificato di Papa Leone XIV sul fronte liturgico. Dopo le restrizioni imposte da Papa Francesco con il Motu Proprio Traditionis Custodes, molti fedeli sperano in una nuova apertura verso il rito tridentino. Tra loro anche quanti, nel capoluogo campano, hanno firmato una petizione indirizzata all’arcivescovo Domenico Battaglia e inviata anche al presidente della CEI, cardinale Matteo Zuppi, per chiedere che la Messa in latino possa essere nuovamente celebrata in modo stabile. Ma a sollevare la questione non è solo il popolo dei devoti: intellettuali, giornalisti e osservatori del mondo cattolico si interrogano sul significato e le prospettive di questa attesa. Tra questi, lo storico vaticanista Gianfranco Svidercoschi, che vede nel nuovo Pontefice un possibile punto di svolta. “Credo che un Papa equilibrato come lui, che finora ha dimostrato mitezza e attenzione, non potrà ignorare questa questione – osserva con l’AGI –. La soppressione voluta da Francesco è stata netta, senza consultazioni. Ma la liturgia non si regola con i decreti: si accompagna con rispetto”. Un’osservazione che trova eco anche in Vittorio Feltri, direttore editoriale de Il Giornale, da sempre attento ai temi della tradizione. “Il latino non era un lusso. Era un ponte, anche per chi non lo studiava. Oggi è stato tolto e la gente non ha più l’orecchio per ascoltarlo. Ma io sono un appassionato e sarei ben felice se si tornasse, almeno in parte, alla Messa tridentina. Perché è una lingua che è stato un peccato uccidere”. La Messa in latino da Svidercoschi non è vista come un’esclusiva per pochi, ma come una forma popolare di spiritualità, che ha accompagnato per secoli il popolo semplice. “Mia madre aveva solo la quinta elementare – ricorda – ma aveva imparato il latino della Messa a memoria. Era la sua lingua spirituale. Quando la Chiesa l’ha tolta di colpo, ha perso anche lei l’orientamento”. Il dibattito resta aperto, ma l’attesa è chiara. “Non bisogna proibire ciò che fa bene – conclude Svidercoschi – ma educare alla convivenza liturgica. Come Paolo VI cercò di fare”. (AGI)
NA8/ROS