Type to search

“Vuoto a perdere” di Alfio D’Agata. Una visione diversa della diversità

Share

Film-documentario girato interamente a Pachino, in Sicilia, dal regista catanese, ormai trapiantato a Roma. Cinque straordinarie figure femminili narrano le proprie vite con una sincerità disarmante che annichilisce chi guarda ed ascolta. L’attenzione ai dettagli, visualizzati sulle protagoniste come nel paesaggio intorno, dà respiro alla narrazione

di Claudia Lo Presti

C’è un IO che è il soggetto che vuole conoscere l’oggetto che è il ME”

Vincitore dell’edizione 2021 del Festival Internazionale del Film Corto “Tulipani di Seta Nera: un sorriso diverso”, è un film-documentario girato interamente a Pachino, della durata di 53’. Soggetto, sceneggiatura, fotografia e regia di Alfio D’Agata. Genere GLBT/sociale. Partecipazione straordinaria di Enrico Lo Verso che a chiusura del corto recita una fra le più toccanti poesie di Alda Merini, “Se avess’io”.

Produzione indipendente, prodottore Aldo Russo e Federico di Cio; produttore associato, Alfredo Spiraglia; riprese seconda unità, Daniele Gangemi e Domenico Gennaro; Scenografia e costumi, Anna Scordio; Nico Lupo, fonico; Riccardo Dell’Ali, riprese aeree; riprese Andrea Bonanni, montaggio; Matilde Valenti, location manager; Maurizio Nicolosi, Organizzatore; Società Storica Catanese, logistica. Musica di Vitalic.

Da una veduta aerea di Pachino, lentamente si raggiunge la piazza centrale e quadrata a cui si allacciano le strade principali del paese che dall’alto sembrano raggi che si allungano da una stella.

È un luogo Pachino, dal quale sono partite e poi tornate cinque creature straordinarie, Alessia, Angela, Mara, Masha e Dalida, venute al mondo in un corpo improprio. Involucro che le ha partorite in una forma diversa da quella che poi hanno cercato di trovare per riconoscersi, nella quale con sofferenza si sono dimenate, non solo facendo i conti con i limiti degli altri, ma soprattutto con se stesse per tutti quei “perché” rimasti sospesi a cui anche la Fede ha fatto fatica a trovare risposte. Anzi, è proprio la devozione verso Dio ad armare le sentinelle della propria coscienza, facendo loro scegliere di non cercare di avere figli e restare senza un’eredità, “un vuoto a perdere” esattamente: “sarebbe sbagliato e traumatizzante per un bambino non avere padre e madre”.

A Dio ricorrono, ma verso di lui si sentono limitate come figli dell’imperfezione che non possono cambiare. C’è chi è atea per la medesima ragione: “se esiste un Dio non capisco perché mi ha fatto questo!”. Chi lo porta con se nel proprio lavoro e tirando le reti dal mare, ogni giorno lo ringrazia; la medesima che è stata disconosciuta dal padre e che poi è ritornata per fare il pescatore come lui; chi vuole professare la parola di Geova ma dalla comunità viene allontanata e chiede comunque perdono…”camuffo il mio viso con cappelli e lunghi capelli quasi per non mostrarmi del tutto…

Il quadrato è una forma perfetta, un doppio triangolo che genera la moltitudine delle cose…i loro volti sono corretti, le forme aumentate, gesti a volte robusti, ma anche eleganti, soprattutto quelli delle mani. Niente è posticcio, falso; come afferma Gaetano, il compagno di Dalida (insieme scrivono canzoni ed organizzano concerti itineranti per combattere l’omofobia e le violenze di genere): “quello che non ho trovato nei miei rapporti da etero, l’ho trovato in lei che è più vera di ogni donna. Il transessuale ha una sofferenza interiore che noi non possiamo immaginare”.

Davanti alla telecamera discreta ma attenta di Alfio D’Agata narrano le proprie vite e lo fanno con una sincerità disarmante che annichilisce chi guarda ed ascolta.

Film tecnicamente valido, come spesso lo sono i film del regista catanese, ormai trapiantato a Roma: l’attenzione ai dettagli, visualizzati sulle protagoniste come nel paesaggio intorno, dà respiro alla narrazione. Le scelte stilistiche di Anna Scordio sono essenziali ma pensate per sottolineare i vuoti ed i pieni di paesaggi ed ambienti e rendere vere le protagoniste. La musica di Vitalic non percorre come un nastro lungo il film, bensì viene destinata a staccare dalle serre, le barche in secca, quelle in approdo, dai campi di melanzane, la candela sul tavolo, i tramonti sulla strada, l’anello che gira sulla pietra; la ciminiera della tonnara che diventa croce con il braccio dell’Isola di Capo Passero. Sottolinea con le immagini tempi rallentati che diventano nuovamente culla per quelle anime inquiete che di pace hanno bisogno. Pachino che racconta e protegge, inaspettatamente assai più tollerante anni addietro di quanto non lo siano altri luoghi oggi.

Armando Lostaglio, leggendo la motivazione del premio “Tulipano nero”, aveva detto del film “Alfio D’Agata consegna una visione diversa di raccontare la diversità”. Il regista, sceneggiatore e fotografo ne parla come “di un progetto nato dall’amicizia e dall’ascolto di storie che hanno una sceneggiatura a sé, narrate da persone che attraverso la loro vita reale ci hanno permesso di fare vero cinema. Li abbiamo seguiti – non senza difficoltà – nei loro ambiti esistenzialisti privi di luoghi comuni, perfettamente strutturati in un posto come Pachino dove sono caduti tanti pregiudizi. Maurizio Nicolosi ha avuto l’idea, Aldo Russo l’ ha prodotto. Vuoto a perdere è nato nel posto più a sud del meridione d’Italia”.

.E ti debbo parole come l’ape
deve miele al suo fiore. Perchè t’amo
caro, da sempre, prima dell’inferno
prima del paradiso, prima ancora
che io fossi buttata nell’argilla
del mio pavido corpo. ….