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VIVERE IN AMICIZIA

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di Augusto Lucchese

“Allora, come coloro che sono nel vincolo dell’amicizia e superiori nel legame, devono mettersi alla pari con gli inferiori, così gli inferiori non si dispiacciano di essere superati da questi in ingegno o in fortuna o in dignità. La maggior parte di questi si lamenta sempre di qualcosa o rinfaccia ancora di più, per giunta, se crede di ottenere ciò che può dire di aver fatto cortesemente, per amicizia e con qualche lavoro proprio. È odioso, in verità, il genere umano che rinfaccia i lavori fatti; deve essere ricordata la cosa nella quale si contribuisce, non chi contribuì a ricordarla. Perciò, come coloro che sono superiori si devono sottomettere nel rapporto di amicizia, così allo stesso modo, gli inferiori se ne devono rinfrancare. Vi sono infatti taluni che fanno amicizie inopportune, credono di disprezzarsi insieme a questi stessi; (vi sono quelli che) non la raggiungono del tutto se non coloro che decidono di essere da disprezzare; (vi sono) coloro che per questa opinione devono essere alleviati non solo dalle parole, ma anche dall’opera.” (Marco Tullio CICERONE)
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Non è cosa facile formulare una esauriente definizione del termine “AMICIZIA”, anche perché, a tener conto dei tanti discorsi che si fanno in merito, sembra che ben pochi riescano a comprenderne l’appropriato significato.
Circolano, evidentemente, molti e svariati abusi. Si dice, ad esempio, “è un “mio grande amico”, siamo “amici per la pelle”, siamo “amici da sempre”, ecc. ecc., ma spesso trattasi di puri e semplici modi di dire cui si fa ricorso, con diffusa leggerezza, nei quotidiani rapporti interpersonali.
Tali abusate espressioni non trovano, quasi sempre, riscontro nella concretezza dei rapporti e dei comportamenti. Sono ben pochi, oggi, gli “eletti” che possono affermare con sicurezza d’avere acquisito la genuina “coscienza dell’amicizia”, fatta di coerenza, di lealtà, di sensibilità.
Dovremmo, forse, rassegnarci all’idea che la “vera amicizia” è destinata a divenire retaggio di un’epoca sorpassata? Non più conciliabile con l’attuale era dell’esasperato materialistico egocentrismo?
Auspicando che ciò non accada, occorre riproporre alla coscienza di ciascuno, l’esigenza di rivalutare i valori morali ed affettivi cui dovrebbe fare riferimento un genuino rapporto d’amicizia, partendo dal presupposto che esso non può prescindere dall’inalienabile concetto della reciproca lealtà.
Non può sussistere, infatti, una “amicizia unilaterale” cui fare ricorso solo quando fa comodo o quando si manifesta una qualche particolare esigenza o si vuole attivare una valvola di sfogo per tensioni, crucci o depressioni varie.
Ed è anche errato, peraltro, ritenere che, in funzione di una qualsivoglia forma di presunta amicizia, specie se solo millantata, si possa giustificare qualsivoglia invadenza o ingiustificata ingerenza nella altrui vita privata.
Non sempre la mediocrità educativa o caratteriale dei soggetti interessati, può rappresentare un attenuante a fronte di simili anomali atteggiamenti, pur se si è ben convinti del fatto che, in ogni caso, l’amicizia, per la sua intrinseca natura di “sentimento”, può essere portatrice, talvolta, di pesanti sofferenze e di cocenti delusioni.
Per altro verso, evitando per un momento il ristretto campo delle esperienze individuali, parecchie riflessioni portano a non trascurare l’aspetto sociale dell’amicizia.
Nella scala dei valori etici e nell’ambito dell’odierno sistema di vita (dagli stolti gabellato per “progresso”) essa appare parecchio penalizzata.
La società tecnologica, consumistica ed edonistica, sembra non essere più in grado di assicurare le condizioni idonee a far “germogliare” importanti e duraturi sentimenti, quale l’AMICIZIA , che dovrebbero essere posti alla base del vivere quotidiano. L’amicizia, in particolare, è ben paragonabile ad un seme che si sviluppa agevolmente nel fertile “humus” dei buoni rapporti, della lealtà e della sincerità, ma che è destinato a perdere ogni vitalità fra le aride zolle dell’egoismo, dell’opportunismo e dell’ipocrisia.
L’amicizia, impareggiabile e benefica fonte di sostegno morale, di aiuto e d’integrazione, non dovrebbe essere considerata alla stregua di un rapporto di convenienza o di un gettone da spendere solo quando se ne ha bisogno.
Non può essere paragonata a quei fiori che, pur se belli e appariscenti, fioriscono una sola volta all’anno.
Dovrebbe essere idealmente accostata, piuttosto, all’edera che resiste a tutte le intemperie e che, quasi perennemente, rimane folta e verde. Si potrebbe anche raffrontarla al geranio che è sempre in grado di rinverdirsi e di generare nuovi stupendi fiori dai colori smaglianti. Potrebbe essere paragonata, ancora, alla rosa che fiorisce instancabilmente e crea variegati e profumati boccioli, pur se qualche più o meno nascosta pungente spina può fare pentire dal volersi accostare maldestramente ad essa per godere da vicino del suo profumo.
E’ opportuno, a questo punto, attivare il massimo interesse sul rapporto che intercorre tra l’empatia e l’amicizia, essendo la prima un semplice istinto naturale, una sorta di immedesimazione dell’uomo nel proprio simile o, come la definì Robert Vischer, la capacità della fantasia umana di cogliere il valore simbolico della natura, ed essendo la seconda, l’amicizia, frutto di formazione e di educazione degli individui. Essa dovrebbe essere indirizzata, positivamente, nel culto del bene comune, della solidarietà e dei valori universali. Guai se, al contrario, viene negativamente sacrificata nel campo della violenza, della xenofobia, dell’egoismo individuale e sociale, delle corruttele familistiche e opportunistiche e, in generale, della slealtà.
L’amicizia, infatti, quando perde le sue basilari caratteristiche può divenire fonte d’amarezze e di dispiaceri e può facilmente cadere ostaggio dell’egoismo, della bugia, dell’invidia, sino a generare, talvolta, potenti “veleni” cui anche i più efficaci antidoti, alla fine, possono risultare inadeguati.
Cercando d’approfondire meglio il delicato substrato del sentimento chiamato “amicizia”, non sembra azzardato affermare, magari avvalendosi della saggezza di un certo tipo di filosofia orientale, che il carisma spirituale, intellettuale e morale di ciascuno influisce certamente sulla capacità di favorire la nascita e la crescita evolutiva dei positivi e ripaganti rapporti della stessa.
E’ parecchio amaro constatare, viceversa, che il diuturno scontro esistenziale sembra determini, sempre più, il degrado dei rapporti umani e fanno temere che essi siano destinati a svuotarsi di significati ideali.
Un vecchio aforisma ricorda che “se vuoi fare del bene, impara prima ad accettare il male e le delusioni”.
Ma l’Uomo, in genere, è capace di elevarsi ad un sì alto livello di maturazione interiore?
Forse è giusto, a questo punto, convenire con Platone che “la speranza è il sogno di chi veglia” e, da inveterati idealisti, non rimane che vegliare per difendere l’AMICIZIA, se ancora c’è dato credere in lei.