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Verifica fiscale: quando è legittima l’apertura della borsa del contribuente?

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La Suprema Corte, con la recente sentenza 12 ottobre 2021 – 2 febbraio 2022, n. 3182 (testo in calce) resa a Sezioni Unite Civili, ha espresso il principio che, in sede di accesso fiscale, involgente l’apertura e la consequenziale acquisizione di pieghi sigillati, borse, casseforti e mobili in genere (di cui all’art. 52, comma 3, D.P.R. n. 633/1972 e all’art. 33, D.P.R. n. 600/1973), non è necessaria l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, laddove il contribuente manifesti spontaneamente il proprio consenso a tale ispezione.

Peraltro, in punto della valida espressione dell’assenso prestato dal soggetto coinvolto, concludono i giudici di legittimità, è irrilevante che la parte privata sia stata informata, in assenza di obbligo normativo, circa le conseguenze in caso di opposizione alla richiesta dell’A.F.

Sommario

I fatti del processo

Il contenzioso in parola traeva origine dall’impugnazione di un avviso di accertamento da parte di una società, la quale censurava il modus agendi operato dai verificatori in tema di acquisizione degli “elementi raccolti” nel corso del controllo fiscale.

Segnatamente, durante le operazioni della citata ispezione era stata “rinvenuta documentazione extracontabile all’interno di una valigetta dell’amministratore della società attestante l’importo reale delle rimanenze di magazzino, parte delle quali non contabilizzate dalla contribuente”.

Ebbene, la C.T.P. di Cosenza accoglieva il ricorso sulla questione, mentre, all’esito del secondo grado, la C.T.R. della Calabria, in tema della “illegittima acquisizione della documentazione extracontabile” acquisita senza alcuna autorizzazione dell’autorità giudiziaria, osservava che “non poteva ragionarsi di apertura coattiva”, a mente dell’art. 52, comma 3, D.P.R. n. 633/1972.

In effetti, proseguono i giudici di gravame, la valigetta “era stata consegnata spontaneamente e senza coercizione” da parte del soggetto interessato.

La società presentava ricorso in cassazione avverso la sentenza di appello e, la Suprema Corte, con l’ordinanza n. 10664/2021, trasmetteva gli atti al Primo Presidente, ravvisando elementi volti a chiarire la validità dell’acquisizione degli atti contenuti nella valigetta messa a disposizione dall’amministratore della società (senza coercizione) a favore dell’Ufficio.

In particolare, le questioni di diritto analizzate dalla S.C. sono le seguenti:

a) se in caso di apertura della valigetta reperita durante l’accesso, la mancanza di autorizzazione del magistrato (art. 52, comma 3, D.P.R. n. 633/72) “possa essere superata dal consenso prestato dal titolare del diritto

e

b) l’eventuale inosservanza da parte dei verificatori di qualsivoglia informativa sul punto, nonché il conseguente vizio del consenso da parte del titolare del diritto, determini la c.d. inutilizzabilità della documentazione acquisita in mancanza della mentovata autorizzazione.

In buona sostanza, la prima questione è costituita dalla disamina della rilevanza (o meno) della condotta posta in essere dal contribuente.

Quanto alla seconda questione, essa attiene alla necessità di stabilire se il consenso del contribuente possa essere qualificato “libero ed informato” anche in assenza di valida informativa da parte dell’Amministrazione finanziaria, a mente dell’art. 12, comma 2, Legge n. 212/2000.

La norma di riferimento

L’art. 52, comma 3, D.P.R. n. 633/1972 disciplina l’ipotesi in cui è necessaria l’autorizzazione del P.M. o dell’autorità giudiziaria per il compimento di particolari atti istruttori (perquisizioni personali, apertura coattiva di pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli e simili, etc.) laddove ne emerga la necessità durante le indagini tributarie.

Proprio su tale aspetto, volgendo uno sguardo alla fattispecie in discussione, l’apertura della borsa (rinvenuta all’interno dei locali della contribuente) è avvenuta in forza di una richiesta dei verificatori alla quale è seguita la spontanea consegna da parte dell’amministratore della società[1].

La controversa rilevanza circa il consenso prestato dal contribuente

In relazione al primo quesito, ossia in tema del “peso” giuridico della condotta prestata dal soggetto sottoposto ad indagine, la Corte di Cassazione ha osservato che il consenso libero del contribuente – “reso in assenza di alcuna costrizione, né diretta, né indiretta”, laddove possa essere ricollegata alla “prospettazione di conseguenze sfavorevoli” – nel momento della consegna della borsa è “idoneo a soddisfare le ragioni che il Legislatore ha inteso tutelare nel richiedere il provvedimento autorizzativo”.

In effetti, proseguono i giudici di legittimità, a mente dell’art. 12 delle preleggi[2], il significato del “termine coattivo implica che l’azione dell’autorità procedente” sia contrastata in modo del tutto tangibile dal soggetto interessato, nei confronti del quale è rivolta la suddetta azione ispettiva.

In stretta connessione a tale premessa, dunque, il Legislatore introduce una tutela a favore del contribuente qualora quest’ultimo manifesti in modo inequivoco un’opposizione alla richiesta di “apertura di uno dei beni indicati nell’art. 52, comma 3, che sia stata avanzata dai verificatori”.

Di conseguenza, nel caso in cui il contribuente eserciti una opposizione alla richiesta di consegna, è necessaria l’autorizzazione del magistrato e, di converso, se la condotta di dissenso non sia cristallizzata a mente di una specifica condotta, tale provvedimento giudiziale non è richiesto[3], “mancando in radice la coattività che ne costituisce il presupposto[4].

Ebbene, i giudici di legittimità osservano ulteriormente che sussiste una mancanza del consenso anche “nelle ipotesi di costrizione materiale […] posto in essere dai verificatori” comprese (evidentemente) “anche in quelle di apertura operata dal contribuente sotto minaccia”, incluse mediante “coazioni implicite ed ambientali”.

In particolare, tali fattispecie rientrano nella categoria delle ipotesi di consenso “forzato o coartato”, giacché la apparente manifestazione di nullaosta del contribuente deriva dalla pendenza di una “minaccia di conseguenze sfavorevoli in caso di mancata consegna”.

Tuttavia, sotto il profilo probatorio, spetterà al contribuente chiedere al giudice tributario un accertamento di detto scenario lesivo dei propri diritti e, pertanto, la dimostrazione di tale evento potrebbe risultare sussumibile nel “recinto” della c.d. probatio diabolica e, al contempo, con lineamenti “metafisici”, in virtù dell’ovvia evidenza che l’eventuale minaccia dei verificatori non risulterà di fatto verbalizzata.

Pertanto, laddove la “disponibilità all’apertura” (ad esempio di una borsa) da parte del soggetto interessato sia caratterizzata da c.d. vizio del consenso, collegato a comportamenti intimidatori o vessatori (da parte dei verificatori) oppure ricollegato ad una “illegittimità dell’attività di accesso[5]”, sarà compito del giudice adito “accertare la sussistenza o meno di uno spontaneo e non coartato consenso all’apertura della borsa”.

Dinanzi a tale panorama giuridicamente “impuro”, l’organo giudicante dovrà dunque statuire in punto di conseguente inutilizzabilità del “materiale probatorio” acquisito durante la verifica[6].

Concludendo, in relazione a quanto esposto, la Corte di Cassazione ha espresso il principio di diritto che, “in tema di accertamento delle imposte, l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica all’apertura di pieghi sigillati, borse, casseforti e mobili in genere”, a mente dell’art. 52, comma 3, D.P.R. n. 633/72, nonché dell’art. 33, D.P.R. n. 600/73, “è richiesta soltanto in caso di ‘apertura coattiva’ e non anche dove l’attività di ricerca si svolga con il libero consenso del contribuente[7].

In conseguenza a quanto espresso dalla Suprema Corte sulla necessità del valido consenso del soggetto verificato in caso di acquisizione senza l’autorizzazione del magistrato, il secondo tassello.

CASSAZIONE CIVILE, SS.UU., SENTENZA N. 3182/2022 >> SCARICA IL TESTO PDF

Fonte: www.altalex.it – Avv Federico Marucci