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Una telefonata, Bergoglio e i papi dannati

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Oh che scandalo, il Papa all’Inferno! Verrebbe da pensare: mica ci può andare, lo stabilisce il contratto. Sarebbe come dire, restando in tema di diavoli, che Berlusconi lascia il Monza per tornare ai vecchi amori. Disgusto tra i benpensanti, orrore tra i fedeli e, nel secondo esempio, tra i fedelissimi.

Pietra del suddetto pubblico sconcerto una telefonata fatta da Francesco ad un ragazzo autistico, che vive in quel di Caravaggio provincia di Bergamo. “Ci rivedremo all’inferno”, avrebbe scandito salutando la madre del giovane. Questo almeno secondo i siti che non l’hanno proprio in simpatia, e magari hanno letto troppo Tex Willer, il quale notoriamente salutava i nemici morituri con un barocco “andrai a spalar carbone nelle officine di Messer Satanasso”.

No, è stato precisato dopo, non si è trattato di frase degna di sceneggiatura da spaghetti western, ma di un saluto – in verità molto ma molto informale – dettato da pudore misto a sorpresa, perché la madre in questione lo aveva tacciato di prematura santità, e questo Sua Santità non può accettarlo.

Di conseguenza, si sente nella registrazione opportunamente fatta circolare, si sarebbe schermito, tirando fuori un’immagine – ammettiamolo – un po’ forte. “Noi preghiamo per lei”, gli dice la donna, “ma lei non ne ha bisogno: è già un santo”. “Ah, ma mio Dio, non dirlo due volte perché forse ci ritroveremo all’inferno”, risponde Bergoglio. E fa il patatrac.

È curioso dover applicare ad una telefonata i canoni dell’esegesi biblica, ma qui è questione di concausa e ragion sufficiente, sillogismo e dossologia. In altre parole: detta così, ad orecchi profani, parrebbe proprio che Bergoglio non escluda la propria dannazione eterna e magari anche quella della signora (ohibò, ma che avrebbe mai combinato di tanto terribile?).

Aguzzate però il vostro discernimento: la frase è interpretabile in modo sostanzialmente diverso. Attenzione a dare nulla per scontato, sarebbe il ragionamento, perché in questo caso sì che si commetterebbe lo gran peccato, che sappiamo essere di superbia. Giacché è risaputo – e su questo son tutti d’accordo: progressisti e conservatori – che dare per scontata la propria salvezza prima di essere passati dal Giudizio Divino è la miglior strada per finire dritti dall’altra parte. Nelle officine di Messer Satanasso. Tex Willer dixit.

Superbia: peccato dei peccati. Gli altri vizi si oppongono a corrispondenti virtù, come le allegorie che ornano le pareti interne di cento cappelle: lato destro le vergini sagge, lato sinistro le vergini stolte. La superbia invece no: lei le virtù le odia tutte, a tutte si oppone concentrando in sè tutto il marcio dell’Es, dell’Ego e del Superego. Se si cede, per dire, alla lussuria qualche speranza di salvezza c’è.

Se si cede alla superbia è tutto molto più difficile. Tanto che Dante, supremo divulgatore della scolastica post Concilio Laterano IV, i superbi li piazza non in un girone particolare dell’Inferno, ma in tutti: la superbia uno lo porta alla summenzionata lussuria, l’altro al tradimento, un altro ancora all’ira. Meglio evitare, insomma.

A questo punto, per associazione di idee, torna il quesito iniziale: ma un papa all’inferno ci può finire, come un qualsiasi Orfeo spinto dalle note di Offenbach? Chi lo sa, ma mica è escluso che non sia accaduto. Ce lo suggeriscono due fattori: i grandi numeri e i racconti d’archivio. Per i secondi si guardino le cronache di quel che era il Papato in particolare nel X Secolo, per non dire ai tempi del Borgia.

Per dirne una: la simonia e i suoi derivati. Per i primi – annotazione di minore sostanza, ma non per questo da ignorare – si consideri che le cronache ci raccontano di ben 265 successori di Pietro, non tutti degni di lui. Esiste qualche probabilità. Ma qui ci fermiamo e lasciamo fare agli altri.

Anzi, a uno: anche Dante, notoriamente, un papa e mezzo, quasi due, all’Inferno ce lo manda con gran gusto. Il dannato è Niccolò III, guardacaso simoniaco, che scalcia disperato a testa in giù come un bimbetto finito tra il letto e la parete, solo che lui è vecchio e in una buca. Da solo? E no, qui c’è il busillis. La buca sembra essere la buca non del Papa, ma dei papi. Ecco confermata la legge dei grandi numeri, ed anche i precedenti delle cronache.

Il mezzo papa dannato Dante lo scorge appena incontrato Virgilio, e subito lo disprezza. Diciamo mezzo perché il disprezzo è tale che nemmeno lo chiama per nome, nè dà conto della sua vita. è l’ignavo principe, colui che notoriamente “fece per viltade il gran rifiuto”. L’esegesi dantesca è concorde o quasi: Celestino V, abdicante Anno Domini 1294 per far posto al Bonifacio VIII gran nemico dei guelfi bianchi di Firenze, che non dimenticano. Dio perdona, io no: Dante come Terence Hill. È la legge dello spaghetti western. ù

E infatti ecco Bonifacio VIII punito anche lui, anche se in contumacia. “Sei già costì ritto, Bonifazio?” chiede a Dante il diavolo che sovrintende le malebolge. Errore marchiano: il tempo del Caetani non è ancora giunto, e quella non è la sua silhouette. I due non si somigliano nemmeno fisicamente, almeno stando ai ritratti ufficiali. Diavolo incompetente, sei fortunato ad essere finito nella Divina Commedia e non nel Maestro e Margherita: il Dottor Woland è molto meno tollerante, con gli incapaci, del Lucifero dantesco.

Comunque la questione la possiamo definire risolta con una risposta affermativa. Sì: magari il contratto non lo prevede, ma le vie dell’inferno sono lastricate di buoni intenzioni, e questo vale per tutti. Sussistono dubbi? Per chi ha bisogno di credere per capire consigliamo una gita ad una chiesa medievale, di quelle che nella controfacciata hanno dipinto il Giudizio Universale.

Andate a vedere quante mitrie tra i dannati che bruciano, cacciati alla sinistra del Padre dagli angeli sterminatori. Tra tutte queste chiese ci sentiamo di segnalare il duomo di Torcello, vuoi per la suggestione del posto, vuoi per la qualità artistica dell’affresco. In basso a destra, a fianco di una mitria che spunta da un mare di lava e di fuoco, c’è poi raffigurato l’Anticristo, e fa paura.

Perché non è la Belva Trionfante e nemmeno il Serpente che divora i genitali dei lussuriosi. è un bambino, tale e quale a un Gesù Bambino, in posa docente e abito candido. Solo che lo tiene in collo, invece della Madonna, Satana in persona. E allora capisci che, nell’eterna lotta iniziata con la caduta di Lucifero, nulla è scontato, tutto è da conquistare, e soprattutto ci possono essere molte sorprese. 

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Fonte: cronaca agi


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