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Una missione italiana ha scoperto il più antico tempio buddhista di sempre

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AGI – Scoperta storica in Pakistan per la missione archeologica italiana: a Barikot, nella valle dello Swat (Nord), ha rinvenuto il più antico monumento religioso buddhista di sempre, risalente al III secolo a.C.. Una scoperta senza precedenti che getta nuova luce sull’organizzazione architettonica e la vita nell’antica città pachistana, sui ‘legami’ tra i sovrani greci dell’epoca e il Buddhismo ma anche sull’espansione della religione in tutta la regione.

A raccontarlo all’AGI è il profressor Luca Maria Olivieri dell’Università di Venezia Ca’ Foscari (dipartimento di Studi sull’Asia e sull’Africa Mediterranea), direttore della Missione archeologica italiana in Pakistan dell’Ismeo (Istituto italiano per il Medio ed Estremo Oriente), che ha eseguito gli ultimi scavi del 2021 a Barikot, in collaborazione con altri enti italiani, con il dipartimento provinciale pachistano di archeologia e con i musei locali.

“La scoperta di un grande monumento religioso fondato in età indo-greca rimanda senz’altro ad un grande ed antico centro di culto e di pellegrinaggio”, ha spiegato Olivieri, evidenziando che “l’attribuzione ad età così antica per il Buddhismo in questa regione è di enorme importanza”.

Il tempio con cella circolare

In effetti il Buddismo nacque nella metà del I millennio, pochi secoli prima. Altrettanto significativa è la forma architettonica del tempio rinvenuto – a podio absidato con cella circolare e stupa interno – unica fino ad ora e di chiaro richiamo indiano, che ne fa un caposaldo per futuri studi.  Anche se il monumento religioso è stato ricostruito più volte fino alla fine della città antica nel IV secolo d.C, le prime datazioni degli archeologi italiani e pachistani hanno valutato che possa risalire almeno all’età indo-greca.  “Certamente getta luce ulteriore sul favore con cui i sovrani greci già alla metà del II secolo a.C. guardavano al Buddismo”, ha spiegato il direttore della missione archeologica italiana in Pakistan.

Tra questi sovrani, quello più noto, il fondatore di una vera e propria linea dinastica, fu Menandro, a cui gli studi più recenti attribuiscono nel 150 a.C. la costruzione delle mura di cinta di Barikot. La tradizionebuddhista vuole che Menandro, come è detto nel famoso testo indiano “Le domande di Menandro”, si fosse convertito al Buddismo. In realtà il monumento scoperto a Barikot è ancora più antico, e a giudicare dalla ceramica raccolta, le sue primissime fasi risalgono alla metà del III secolo.

“Aspettiamo i dati radiocarbonici. Se ciò fosse provato si aprirebbero importantissime direzioni di studio riguardo la prima espansione del Buddhismo nei territori nord-occidentali dell’antica India, oggi nel Pakistan del nord e Afghanistan orientale”, ha prospettato Olivieri.

L’ultimo ritrovamento al centro dell’antica Barikot è legato anche alla scoperta di una delle antiche vie cittadine che dalla porta urbica cinta scoperta quest’anno lungo la cinta muraria risalivano verso il centro della città.  Altro risvolto, non meno importante, secondo il team diretto dal docente italiano, è il fatto che questa ultima scoperta possa essere il primo indizio dell’esistenza di una vera e propria via dei templi lungo l’asse viario che dal settore periferico delle mura risaliva verso l’acropoli, come già messo in luce nella più nota città di Taxila (Sirkap), nel Punjab pakistano.

Nel fornire ulteriori dettagli, il direttore della missione ha ancora riferito che l’inatteso ritrovamento è intervenuto proprio quando stavano per ultimare i lavori sull’acropoli della città, alla fine del mese di ottobre, ma è stato annunciato pubblicamente solo di recente. Stavano esplorando una serie di fosse di scavatori clandestini nella zona centrale della città antica, nel terreno recentemente acquisito dal Dipartimento di Archeologia e Musei del Pakistan (DOAM).

Una volta svuotate le fosse e raggiunti i livelli archeologici intatti, lo scavo ha rivelato agli archeologi un monumento buddhista molto importante e conservato, nonostante il vandalismo, per oltre tre metri di altezza. Oltre all’edificio su un podio absidato su cui si erge una cella cilindrica che ospitava un piccolo stupa, ai lati del monumento sono stati rinvenuti uno stupa minore, una cella e il podio di un pilastro monumentale. Inoltre è stata individuata una scala che conduce alla cella, ricostruita in tre fasi, la più recente risalente al II-III secolo d.C., della stessa epoca di una serie di stanze in forma di pronao che conducevano ad un ingresso che si apriva su un cortile pubblico affacciato su un’antica strada, probabilmente uno degli assi viari che portavano da una delle porte cittadine al centro della città antica.

La scala più antica recava ancora in situ un’iscrizione dedicatoria in Kharoshti, paleograficamente del I sec. d.C., metà della quale è stata trovata rovesciata e riutilizzata nel piano tardo di cui sopra. Le monete trovate negli strati affidabili sono coerenti con il materiale ceramico: la fase finale presenta monete kushano-sasanidi e tardo kushana (200-350 d.C.), la fase intermedia, monete kushana insieme a molte iscrizioni su ceramica in kharoshti (100-200 d.C.), nella prima fase di fondazione, monete saka-parthiche (c. 50 a.C.-50 d.C.).

Le informazioni più interessanti provengono dalle fasi pre-Saka del monumento che, con una forma leggermente diversa, risale al periodo indo-greco (c. 150-50 a.C.), come confermato da monete e ceramica. Le fasi che precedono la fondazione presentano caratteristiche risalenti sia all’età Maurya (c. 250 a.c.). Separati da uno strato di abbandono, ci sono evidenze dell’età del Ferro (1200-800 a.C.), queste ultime separate da un profondo strato di alluvione, a circa 8 metri dal punto zero, da evidenze pertinenti all’età del Bronzo (1700-1400 a.C.).

La cronologia relativa sarà confermata da una serie di dati C14: durante lo scavo sono stati fatti flottare più di 10.000 lt di terreno e sono stati ottenuti 58 contenitori con campioni di semi carbonizzati. Al termine dello scavo, il 13 dicembre 2021, sono stati consegnati allo Swat Museum 2.511 oggetti, di cui vasellame, monete, iscrizioni, sculture in pietra e stucco, oggetti in terracotta, sigilli e monili. Il nuovo Swat Museum, con sede nella capitale regionale Saidu Sharif, è stato interamente ricostruito dalla missione archeologica italiana – su un’originaria struttura italiana del 1958 – dopo le pesanti distruzioni causate dall’attentato del 2008 e inaugurato nel novembre 2013.

Le prospettive future di Barikot

Guardando al futuro, Olivieri prospetta che nei prossimi anni le attività si concentreranno ancora a Barikot, dove occorre non solo scavare ma anche restaurare, e su un nuovo sito dell’età del Bronzo rinvenuto sempre nello Swat. Un altro filone di studi, nel quale è molto attiva la Ca’ Foscari di Venezia, è quello degli studi sul paleo-clima e gli effetti del cambiamento climatico su insediamenti, produzione agricola e persino sul Buddismo, durante alcune fasi-chiave del primo millennio avanti e del primo dopo la nostra era.

La collaborazione tra Italia e Pakistan nel campo archeologico risale al 1955 quando la Missione italiana, la prima straniera nel Paese, venne fondata da Giuseppe Tucci. Nel 2025 la Missione celebrerà 70 anni di ininterrotta attività. Le scoperte storiche sono le ultime di una lunga serie di ritrovamenti e restauri ad opera della storica Missione Archeologica Italiana in Pakistan dell’ISMEO, che ha iniziato le sue ricerche a Bir-kot-ghwandai (Barikot) nel 1977, anno in cui il professor Giorgio Stacul dell’Università di Trieste scoprì le fasi più antiche del sito (1700-800 a.C.).

Nel 1984 furono poi trovati i resti della antica città di Bazira di Alessandro Magno nota dalle fonti greche e latine, sotto la direzione del professor Pierfrancesco Callieri dell’Università di Bologna. Dal 1985 al 1992 la ricerca si è invece concentrata sui settori meridionali delle mura di età indo-greca (c. 150 a.C.). Dal 1993 al 1995, è stata condotta un’indagine di superfice su tutta l’area al termine della quale, nel 1996, il terreno dell’acropoli della città antica fu preso in affitto. Dal 1998 al 2000, sono stati effettuati scavi sull’acropoli di Barikot.

Le scoperte recenti

In questi anni sono stati scoperti il tempio induista di epoca Shahi (700-1000 d.C.) e messa in luce in tre trincee l’intera sequenza culturale dell’acropoli dal Calcolitico (1700 a.C.) fino al periodo ghanavide (1020-1080 d.C.). Nel 2001, degli attivisti pro-talebani hanno cercato di distruggere il tempio Shahi sulla sommità dell’acropoli. A seguito di ciò la Missione decise di interrare il tempio in modo da salvarlo da ulteriori danni e distruzioni.

Nel 2002 iniziarono degli scavi illegali al centro del sito, nei quali furono coinvolti anche esperti scavatori, e forse anche trafficanti stranieri. Gli oggetti scavati sono stati contrabbandati e venduti sul mercato antiquario internazionale. Questa pratica è continuata fino al 2008. Quando nel 2008 l’esercito fece dell’acropoli una base militare contro i talebani, gli scavi illegali non furono più possibili e quindi cessarono. I lavori di scavo legali sono stati ripresi dalla Missione nel 2009 che li ha continuati fino ad oggi. Durante questo periodo, dal 2009 al 2021, sono state effettuate 21 stagioni di scavo, tra cui dal 2011 al 2017 quello nel quartiere sud-ovest della città antica.

È stato determinante l’intervento di recupero della missione italiana guidata da Olivieri, che nel 2012 ha ultimato il restauro del celebre Buddha di Jahanabad, statua enorme costruita nella roccia 1.500 anni fa, che i talebani tentarono di distruggere nel 2007.  Dal 2021 all’ISMEO si è unita l’Università di Venezia Ca’Foscari. Gli ultimi scavi a Barikot sono stati diretti dal Prof. Olivieri con la collaborazione della vice-direttrice Dr. Elisa Iori (Max-Weber-Kolleg, Erfurt), del Dr. Michele Minardi (Università di Napoli L’Orientale) e del Prof. Massimo Vidale (Università di Padova), con fondi ISMEO-Ca’ Foscari Università di Venezia, Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Max-Weber-Kolleg/Erfurt, Università di Padova. Gli scavi sono stati autorizzati da una licenza di scavo emessa dalle autorità competenti (DOAM) e sono stati eseguiti sotto la sorveglianza di rappresentanti governativi Mr Faiz-ur-Rahman (Assistant Director, Curator Swat Museum) e Nasir Khattak (Gallery Assistant, In-charge Reserve Collection Swat Museum).

Source: agi


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