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UN DOCUMENTARIO SU FRANCO ZEFFIRELLI

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Il centenario dalla nascita sarà il 12 febbraio 2023, ma già un documentario in gara nella sezione Venezia classici, scritto e diretto da Anselma Dell’Olio, ne ripercorre biografia e carattere, la carriera larga da artista rinascimentale benedetta da riconoscimenti internazionali e dalla fama popolare malgrado la tiepidità della critica.

 

Fonte: Arianna Finos per “la Repubblica”

 

 

Franco Zeffirelli, conformista ribelle (prodotto da La Casa Rossa e Rs Productions, con Rai Cinema) si vedrà alla Mostra il 7 settembre, arricchito da materiali di repertorio, a partire da quelli preziosi della Bbc, da testimonianze di amici e collaboratori che lo hanno accompagnato fino alla fine.

 

«Zeffirelli, che conoscevo, era la persona più accogliente e generosa che abbia mai conosciuto – spiega la regista – Jeremy Irons ricorda come ogni sera, dopo una giornata sul set, Franco cucinava per il cast. Nelle sue case, sull’Appia Antica e a Positano, accoglieva e manteneva anziane attrici, la vecchia tata, morta a 105 anni in casa sua. Alle feste leggendarie trovavi Michael Jackson, Liza Minnelli, Gregory Peck, ma anche l’uomo che gli aveva montato le persiane». Nelle foto della Fondazione, Zeffirelli affianca, spesso in abito da sera, la sciarpa bianca, le celebrità dei suoi tempi, dalla regina Elisabetta a Lady Diana, Richard Gere e Eduardo De Filippo, Judy Dench.

 

Preziose le amicizie con Elizabeth Taylor e Anna Magnani, con cui aveva fatto l’attore (L’onorevole Angelina) «e che aveva riportato al successo con La lupa a teatro, malgrado le stroncature fece il giro del mondo». Zeffirelli era spiritoso «mondano, ma non superficiale». Una lunga parte del doc ne racconta la difficile infanzia. Poiché i genitori sono entrambi sposati con altri, Franco nasce senza nome. «Quel giorno a Firenze toccava alla zeta, nell’Orfanotrofio degli innocenti. La madre, che amava Mozart, voleva chiamarlo Zeffiretti ma all’anagrafe l’impiegato non tracciò la barra delle t». Lo alleva la zia, che a sua volta convive con un uomo sposato «cresce irregolare in tutto, in una Firenze che allora era molto chiusa. Era un bimbo spesso insultato perché bastardo. Questo gli ha fatto chiudere dentro se stesso la parte più vulnerabile».

 

Sviluppando un’immagine diversa, «era bello, affascinante e con una vitalità leggendaria. Gli si sono aperte da giovane, dopo aver fatto il partigiano, le occasioni migliori». Non sono mancati gli ostacoli. «Luchino Visconti ha fatto di tutto per chiudergli tutte le possibilità, quando si sono lasciati. Lui e Franco Rosi sono stati i due aiuti di Visconti, poi uno ha preso la strada del neorealismo, più celebrato e acclamato, ma il vero continuatore del senso estetico del cinema di Visconti è certamente Zeffirelli, che il bello lo ha proposto in tutto il mondo, a teatro, al cinema e nella lirica.

 

In questo senso la lezioni viscontiana l’ha esplicata meglio di tutti». Come in La lucida follia di Marco Ferreri e Fellini degli spiriti, «ho lavorato per arrivare all’interiorità dell’artista. Ma Ferreri e Fellini erano autori, Zeffirelli no. Nei film di un autore si trova tutto, perché parla di sé anche quando sembra che parli d’altro. Nel caso di Zeffirelli questo non è stato possibile. Non faceva film d’autore, era un artista rinascimentale che faceva cinema, teatro, opere liriche, documentari. Come un maestro di bottega, se ti commissionano nel mondo un lavoro, tu raccogli intorno a te i migliori artigiani, e cerchi di essere all’altezza. di solito di un grande classico. Perché lui ha fatto spesso Shakespeare, Flaiano gli affibbiò il soprannome Scespirelli».

 

Con La bisbetica domata con Burton e Taylor e Romeo e Giulietta, un successo mondiale, «reinventa un modo di raccontare il bardo, lo svecchia. Oggi sembra una banalità, ma lui è riuscito, in Inghilterra, a rendere il testo mobile, cinematografico». Zeffirelli non solo non è – per Dell’Olio – abbastanza ricordato, ma «fu piuttosto ostacolato in vita. C’erano pregiudizi violenti nei suoi confronti in Italia, mentre all’estero era adorato e venerato. Roberto Bolle racconta che dietro le quinte del Metropolitan c’è una targa che ricorda il contributo di Zeffirelli, che ha insegnato a generazioni di americani ad apprezzare l’opera».

 

Il titolo, “conformista ribelle” «l’ho scelto perché era un cattolico, prima democristiano e poi berlusconiano: nell’ambiente del cinema era quanto di più anticonformista». Nel capitolo finale «cerco di arrivare alla radice dei suoi tormenti, le questioni irrisolte e nascoste. Il suo essere omosessuale in un’epoca in cui non era di moda. Se eri Pasolini e Visconti ed eri di sinistra era un conto, ma essere omosessuale e anticomunista, sia pure antifascista, non ti rendeva popolare nell’ambiente. Alla fine però ha vinto lui: ha avuto tante traversie, ma è morto a 96 anni, lavorando fino alla fine»