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Tutto quello che sappiamo sul giallo delle tre valigie contenenti resti umani

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AGI –  Il mistero dei resti umani di un uomo e una donna trovati in tre valige alla periferia di Firenze, nelle vicinanze del carcere di Sollicciano, potrebbe essere ad un punto di svolta.

Prende corpo l’ipotesi che possano appartenere a una coppia di origini albanesi. In particolare i resti dell’uomo e la decodificazione di quello che resta di un tatuaggio sul suo avambraccio, rappresentano per gli investigatori un indizio importante.

Il disegno sarebbe simile a quelli realizzati in alcune aree dell’Albania. Tra le tante direzioni in cui si indaga, le attenzioni degli investigatori sono appuntate anche su una coppia di albanesi che sarebbe dal 2015 scomparsa da Castelfiorentino, in provincia di Firenze.

La cronologia dei fatti

Il caso resta, ad oggi, un rompicapo per gli investigatori. Di seguito le varie tappe della vicenda.

Valigia numero uno

Giovedì 10 dicembre pomeriggio viene trovata la valigia numero uno, di colore scuro simile a un grosso trolley. Dentro, scopriranno poi i carabinieri chiamati da un uomo che di tanto in tanto coltiva quell’appezzamento, il busto di una persona. Poco più del tronco di un corpo umano.

Saranno i medici legali chiamati a indagare sui resti che spiegheranno che si tratta di un uomo adulto, tra i 40 e i 60 anni, di carnagione chiara. Ma dagli esami autoptici emergerà anche che ad ucciderlo sarebbe stato un profondo taglio inferto alla gola. Mentre su un pezzo dell’avambraccio si scopriranno anche i contorni di un tatuaggio.

Valigia numero due

Venerdì 11 dicembre si scopre la seconda valigia. Anch’essa di colore scuro, semi sepolta dalla terra. A ritrovarla i carabinieri, perlustrando l’appezzamento di terreno. All’interno arti inferiori, fatti a pezzi. Anche questi, in avanzato stato di decomposizione. E le prime ipotesi hanno fatto immaginare che nelle due valigie fosse stato occultato il corpo intero di un adulto. Ma si scoprirà che così non è due giorni dopo.

Valigia numero tre

Lunedì 14 dicembre. Il puzzle si ingarbuglia. Nel tardo pomeriggio, quasi all’imbrunire, i carabinieri scoprono una terza valigia, sempre tipo trolley a circa 150 metri dai primi ritrovamenti. Questa volta il macabro ritrovamento riguarda il busto di una donna. Il cadavere e’ privo degli arti inferiori e anche questi resti sono in avanzato stato di decomposizione.

Secondo alcune indiscrezioni i corpi sembrano appartenere a una coppia di origini albanesi. Tra gli arnesi utilizzati per depezzare i cadaveri, si suppone una sega circolare, di quelle in uso a chi taglia la legna in piccoli pezzi. 

Criminologa: “Escluderei il serial killer”

“Mi sento di scartare l’idea di un serial killer”, dice all’AGI la criminologa Flaminia Bolzan. “Il grande interrogativo del momento – aggiunge – è che noi abbiamo trovato dei resti ma non sappiamo ancora a chi appartengono. Sembra si tratti di un uomo e una donna e allora è probabile ipotizzare che tra i due vi fosse un qualche tipo di relazione. In questo sarà importante vedere cosa emerge dal dna e dal confronto con le banche dati”.

La criminologa sottolinea ancora: “Sembrerebbe che i corpi siano saponificati. Significa che è intervenuto un fenomeno trasformativo, quindi un processo che avviene in determinate condizioni climatiche: assenza di ventilazione e conservazione in un luogo umido. Cosa che potrebbe corrispondere al fatto che fossero chiusi nelle valige”.

Poi bisogna capire da quanto tempo visto che”questi resti potrebbero appartenere a persone morte in un arco di tempo lungo, la saponificazione per essere completa richiede infatti un tempo compreso fra i 12 e i 18 mesi”.

Quanto al luogo del ritrovamento “penso che l’ipotesi più probabile è che le valigie siano state portate da qualcuno e il tempo di permanenza delle valigie può essere valutato attraverso l’analisi del terreno sottostante il punto del ritrovamento, confrontato con la flora circostante”.

I motivi? “Qui, muovendoci sempre nel campo delle ipotesi, potrebbero essere infiniti. Non è stata scartata l’ipotesi di un messaggio da ‘recapitare’ a qualcuno. Soprattutto perché le valige non erano sotterrate sotto metri di terra, ma in superficie. Tuttavia non mi farei condizionare dalla vicinanza col carcere di Sollicciano”.

“Questo – sottolinea Bolzan – può essere un aspetto del tutto casuale. Al contrario, chi ha gettato le valige potrebbe essere un soggetto che ha conoscenza dei luoghi e che pertanto poteva sapere che quei campi non erano sempre battuti e quindi potevano essere un punto ideale in cui occultare due cadaveri a seguito di un duplice omicidio”.

“Questo punto va correlato al tempo di permanenza delle valige nel campo per poter effettuare una valutazione in termini di maggiore o minore probabilita’” aggiunge Bolzan “sarà interessante e molto utile per l’identificazione anche valutare il tatuaggio presente sui resti di uno dei due corpi, unitamente al mezzo che è stato utilizzato per depezzarli“.

Come funzionale la banca dati del Dna

Un mega archivio digitale di profili genetici. Ormai sempre più consultato per accelerare i tempi investigativi, sviluppare nuove indagini e identificare gli autori di reati anche seriali. È la Banca dati nazionale del Dna, quella da cui potrebbe arrivare un aiuto decisivo per risolvere il “giallo” dei resti umani ritrovati in tre valigie in un campo agricolo alla periferia di Firenze. 

Il suo utilizzo ha sin qui consentito di effettuare oltre mille correlazioni tra soggetti sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria e scene del crimine (43% furti, 23% rapine, 10% omicidi dolosi, 5% violenze sessuali, 3% tentati omicidi)

La legge istitutiva è la numero 85 del 30 giugno 2009 ma per l’attuazione si è dovuto attendere il Regolamento pubblicato con il decreto del presidente della Repubblica del 7 aprile 2016 numero 87.

Con altri tre decreti – l’ultimo del maggio 2017 – sarebbero state poi fissate le procedure per il trattamento dei dati, le modalità di cancellazione dei profili e di distruzione dei campioni biologici, di immissione e aggiornamento dei dati.

Per facilitare l’identificazione degli autori di reati e migliorare la collaborazione internazionale di polizia possono essere acquisiti i profili di Dna ottenuti da soggetti indagati in procedimenti penali per delitti, non colposi, per i quali è consentito l’arresto facoltativo in flagranza. Nel caso di arresto in flagranza di reato o di fermo di indiziato di delitto, il prelievo è effettuato dopo la convalida da parte del giudice.

Il titolare del trattamento è il ministero dell’Interno, funzioni di controllo spettano al Garante per la protezione dei dati personali. La cancellazione dei dati personali è prevista a seguito di sentenza di assoluzione, divenuta irrevocabile, o quando le operazioni di prelievo sono state compiute in violazione delle disposizioni previste: in ogni altro caso il profilo resta in Banca dati per 30 anni dalla data dell’ultima registrazione (40 in caso di persone condannate con sentenza irrevocabile per uno o più dei reati in questione).

Decorso tale termine, il profilo viene automaticamente cancellato. Dalla istituzione presso la direzione centrale della Polizia criminale a giugno scorso, è stato analizzato – secondo dati del Viminale – il Dna di 200mila soggetti: 20.000 i profili inseriti, più altri 20mila provenienti da scene del crimine.

Operativa sul piano internazionale, la Banca permette all’autorità giudiziaria e alla polizia di interrogare e ricevere interrogazioni di profili del Dna dalle omologhe banche di altri Paesi, così come previsto anche dal Trattato di Prum: nel solo 2019 sono stati scambiati 487 profili del Dna e 7 “match” (le risposte di concordanza positiva) a livello internazionale tra scene del crimine e soggetti noti in Svizzera e Francia.

La Banca dati viene impiegata anche nella ricerca delle persone scomparse e nel riconoscimento di cadaveri non identificati: il miglioramento delle tecniche analitiche permette di ottenere profili genetici da microtracce e non solo da fluidi biologici come accadeva in passato.

Questo consente di riaprire casi rimasti insoluti da tempo con la possibilità di lavorare su reperti non ritenuti, all’epoca, idonei all’estrazione del Dna. Ben 156 sono i ‘cold case’ risolti dal 2017 ad oggi. 

Vedi: Tutto quello che sappiamo sul giallo delle tre valigie contenenti resti umani
Fonte: cronaca agi


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