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Traffici e omicidi, l'ascesa dei Grande Aracri nell'olimpo della 'ndrangheta

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Quella dei Grande Aracri, il clan con cui il presidente del Consiglio regionale calabrese, Domenio Tallini, arrestato stamani, avrebbe avuto legami,  è una cosca di ‘ndrangheta con salde radici nel proprio territorio di appartenenza, Cutro e la provincia di Crotone, ma che negli anni ha sviluppato importanti ramificazioni in tutto il nord Italia – a cominciare dall’Emilia Romagna, passando per Lombardia e Piemonte – e anche all’estero, principalmente in Germania dove, fin dai primi anni Novanta, ha reinvestito i cospicui proventi del traffico di droga e armi in attività ricettive come bar, pizzerie e ristoranti.
 

 A capo del clan c’è Nicolino Grande Aracri, 62 anni, detto “mano di gomma”, da tempo recluso nel carcere milanese di Opera dove sta scontando un ergastolo, ormai divenuto definitivo con sentenza della Cassazione del giugno 2019, che gli è stato inflitto nell’ambito del processo Kiterion per l’omicidio del vecchio capobastone di Cutro, Antonio Dragone, avvenuto nel 2004 nelle campagne del Crotonese, del quale Nicolino Grande Aracri era stato il braccio destro.

 La scissione con il clan Dragone comincia a maturare nei primi anni Novanta, mentre il vecchio boss è confinato al nord Italia, fino a sfociare in una vera e propria faida che raggiunge il culmine quando, nel 1999, viene assassinato a Cutro Raffaele Dragone, figlio dell’anziano capo bastone. Da allora è un susseguirsi di agguati che lasciano una scia di sangue tra la Calabria e l’Emilia Romagna, dove sono radicati molti dei componenti della cosca cutrese ormai spaccata in due tronconi. E quando Antonio Dragone, dopo molti anni di confino torna a Cutro, meditando di vendicare la morte del figlio e di riprendere in mano il controllo del territorio trova a sua volta la morte. Per la cosca Grande Aracri, che nel frattempo ha stretto alleanze con altri importanti clan mafiosi del crotonese, a cominciare da quelli dei vicini comuni di Isola Capo Rizzuto, Mesoraca, Petilia Policastro, non ci sono più ostacoli. 

 Accanto al boss Nicolino Grande Aracri ci sono il fratello Ernesto, a sua volta condannato all’ergastolo per omicidio, e l’altro fratello Francesco, condannato per associazione mafiosa, che risiede in provincia di Reggio Emilia dove il clan cutrese ha da tempo una delle sue roccaforti, esercitando un controllo asfissiante sulle principali attività economiche della ricca Emilia Romagna. Il business prediletto, accanto alle estorsioni e al traffico di droga, è quello dell’edilizia; il clan arriva a controllare, con le buone o con le cattive società di costruzioni e movimento terra, riciclando il denaro in attività dalla facciata lecita; ma continua ad esercitare il suo potere criminale, ormai consolidato dalla grande disponibilità economica, anche sul territorio crotonese estendendosi alla vicina provincia di Catanzaro. I principali villaggi turistici della fascia ionica calabrese sono sottoposti ad una asfissiante cappa di estorsioni: ogni attività, ogni assunzione di personale è decisa dalla cosca.

Le numerose inchieste non hanno fermato il clan

Le numerose inchieste giudiziarie che negli anni sono state condotte dalla magistratura antimafia – Scacco Matto, Grande Drago, Pandora, Kiterion – non sembrano ridurre la capacità criminale della cosca Grande Aracri che anzi, secondo quanto hanno accertato gli analisti della Dia, nel 2014 avrebbe conseguito il grado ‘ndranghetista di Crimine assumendo così il controllo di tutte le attività illecite nella parte settentrionale della Calabria. Finché, nel gennaio 2015, viene portata a termine l’operazione Aemilia, con l’arresto di 160 persone in Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte, Veneto, Calabria e Sicilia; un attacco imponente alla cosca Grande Aracri che porta in carcere gran parte degli affiliati alla cosca Grande Aracri ma anche importanti esponenti politici collusi con il clan.  Le persone coinvolte sono accusate di associazione di tipo mafioso, estorsione, usura, porto e detenzione illegali di armi, intestazione fittizia di beni, reimpiego di capitali di illecita provenienza, emissione di fatture per operazioni inesistenti.

E’ l’indagine che più di altre alza il velo sullo strapotere acquisito dalla cosca negli anni e la sua capacità di infiltrazione nel  mondo politico e imprenditoriale. Ma non solo. Nel gennaio 2016 si conclude l’operazione Kyterion 2 diretta dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro che porta all’arresto di 16 affiliati ai Grande Aracri; dalle indagini emergono tentativi della cosca di collegarsi ad esponenti del Vaticano e della Corte di Cassazione ai quali sarebbe stato chiesto di aggiustare una sentenza, nonché l’intrusione in ordini massonici e cavalierati da parte del boss Nicolino Grande Aracri.

 Le infiltrazioni nella pubblica amministrazione

Si scopre, inoltre, che il boss ha intestato un conto corrente con 200 milioni di euro a cui è collegata una fideiussione per un imponente investimento edilizio in Algeria. Le infiltrazioni nelle pubbliche amministrazioni, il condizionamento delle elezioni, sono da ultimo testimoniate dall’indagine che nel gennaio di quest’anno scaturisce  nell’operazione Thomas della Guardia di Finanza che arresta l’ex dirigente dell’area tecnica del comune di Cutro nonché presidente del Cda della banca di credito cooperativo crotonese, un medico del policlinico di Roma e un imprenditore accusati a vario titolo di associazione di stampo mafioso, abuso d’ufficio e traffico di influenze illecite. Da quell’indagine, pochi mesi dopo, scaturisce lo scioglimento del consiglio comunale di Cutro per infiltrazioni mafiose.  

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Fonte: cronaca agi


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