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Tra Cina e Usa la Guerra Fredda dei consolati

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Contro il “Frankenstein” creato “con l’apertura al Partito Comunista Cinese”, il presidente Donald Trump si appella alle nazioni libere. “Se ci pieghiamo ora, i figli dei nostri figli potrebbero ritrovarsi alla merce’ del Partito Comunista Cinese, le cui azioni rappresentano la principale minaccia per il mondo libero”, dice il segretario di Stato Mike Pompeo. “Il mondo libero – esorta – deve trionfare contro questa tirannia. Proteggere le nostre liberta’ dal Partito Comunista Cinese, è la missione del nostro tempo“.

La nuova Guerra Fredda

La sfida si gioca sul piano ideale, esistenziale, sulla scelta tra il bene e il male, come ai tempi della guerra fredda con l’Unione sovietica. E di guerra fredda si tratta, perché siamo dentro uno scontro diplomatico intenso: gli Stati Uniti chiudono il consolato di Houston, la Cina risponde facendo altrettanto con quello americano a Chengdu.

È un continuo rimando di simbologie, date del calendario della storia, biografie: nel 1979 Den Xiaoping fu il primo leader della Cina comunista a recarsi in visita ufficiale negli Stati Uniti e la sua foto in bianco e nero con il cappello da cowboy a Houston fece il giro del mondo.

L’escalation con la Gran Bretagna

Il ciclo dell’eterno ritorno della storia. Non solo, se allarghiamo lo sguardo all’Anglosfera, un’altra notizia conferma quanto sia in corso un’escalation nel confronto tra Cina, Stati Uniti e Regno Unito: Pechino minaccia di non riconoscere più come validi documenti di viaggio i passaporti britannici d’oltremare dei cittadini di Hong Kong. Una risposta alla mossa di Boris Johnson di concedere la cittadinanza agli abitanti dell’ex colonia britannica

“Il vecchio paradigma è fallito. La cieca ricerca di intese con la Cina non va portata avanti”, ammonisce il capo della diplomazia Usa, parlando in un luogo emblematico: la biblioteca di Richard Nixon, il presidente dello storico disgelo con Pechino, il fautore della diplomazia del ping pong varata con Henry Kissinger e il premier cinese Zhou Enlai.

La minaccia cinese

Anche il titolo del discorso di Pompeo è evocativo: “La Cina comunista e il futuro del mondo libero”. Pompeo segnala come l’esercito cinese sia diventato “più forte e minaccioso” e parafrasando l’adagio di Ronald Reagan “fiducia ma verifica” reclama “diffidenza e verifica”, senza per questo decretare la fine delle relazioni diplomatiche.

“La verità è che le nostre politiche, e quelle di altre nazioni libere, hanno fatto risorgere la fallimentare economia cinese, solo per vedere Pechino mordere le mani internazionali che la stavano alimentando“, dichiara Pompeo.

Oggi, “indossiamo tutti mascherine e vediamo il bilancio delle vittime della pandemia aggravarsi perché il Partito Comunista Cinese non ha mantenuto i suoi impegni con il mondo”, insiste il capo di Foggy Bottom, rilanciando tutte le accuse americane al Dragone, dal Covid al commercio, da Hong Kong al Mar Cinese Meridionale.

Una spy story nel consolato

Intanto, come in una storia di Le Carré, l’Fbi segnala l’incriminazione di quattro ricercatori cinesi, di cui tre agli arresti e una rifugiata nel consolato della madrepatria a San Francisco. Avrebbero tutti dichiarato il falso sui loro legami con l’Esercito popolare di liberazione per poter entrare negli Usa e trafugare materiale scientifico.

Il caso è emerso 24 ore dopo la chiusura della rappresentanza diplomatica di Pechino a Houston, definito “un hub di spionaggio” e dove nelle 72 ore concesse prima dello sgombero sono stati dati alle fiamme documenti.

La nuova guerra fredda ha travolto l’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms), dalla quale gli Usa si sono ritirati. Pompeo ha accusato il direttore Tedros Adhanom Ghebreyesus di essere stato comprato dal governo cinese. “L’Oms non è a conoscenza di queste affermazioni ma respingiamo con forza qualsiasi attacco e personale e accuse infondate”, è stata la replica.

“Le nazioni che amano la libertà devono indurre la Cina a cambiare in modi più assertivi e creativi perché le azioni di Pechino minacciano la nostra gente e la nostra prosperità”, asserisce Pompeo, accusando anche un alleato Nato di non volersi battere per la libertà di Hong Kong temendo di perdere un importante mercato di sbocco.

Le relazioni sino-americane sono ai minimi termini, in piena campagna presidenziale è un’occasione retorica per i candidati. Dunque Donald Trump e lo sfidante democratico Joe Biden fanno a gara a chi è più duro con Pechino in vista del 3 novembre, mentre i media del Dragone accusano Trump di voler scaricare sulla Cina il suo crollo nei sondaggi. Tra i due litiganti, di solito vince il terzo e si chiama Xi Jinping che assiste silente allo scontro.

Vedi: Tra Cina e Usa la Guerra Fredda dei consolati
Fonte: estero agi


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