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Storia del Caravaggio che riuscì a raggirare le leggi razziali del fascismo 

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È una delle opera più ammirate della Pinacoteca di Brera ma ha una storia sconosciuta ai più. Si tratta della ‘Cena in Emmaus’ di Caravaggio, dipinto realizzato nel 1606 e che raffigura un episodio raccontato nel Vangelo di Luca.

Per arrivare nel museo milanese nel 1939, dovette scontrarsi con le leggi razziali fasciste che avevano portato all’allontanamento dall’istituzione meneghina del sovrintendente Ettore Modigliani, reo di essere d’origine ebrea. Ma fu proprio lui, dal suo nascondiglio da esiliato a ideare, trattare e portare a termine l’operazione che portò alla Pinacoteca il primo e tutt’oggi unico, capolavoro di Michelangelo Merisi.

A sostenerlo l’allora ‘giovane’ Associazione Amici di Brera, che, mettendo a disposizione il proprio fondo di 9 mila lire, consentì di dar vita a un’operazione che raggirò l’ostracismo fascista. La storia è raccontata oggi, con molti altri aneddoti, in un libro realizzato per celebrare i 90 anni dell’associazione, ‘Una meraviglia chiamata Brera’. All’epoca invece l’arrivo del dipinto passò quasi sotto silenzio, annunciato solo in un breve articolo scritto da un allora sconosciuto collaboratore del Corriere della Sera, Guido Piovene.

Era stato proprio Modigliani, costretto prima, nel 1935, a lasciare Brera per essere spedito all’Aquila e poi, nel novembre del 1938 rimosso dalla pubblica amministrazione, a venire a sapere che la ‘Cena’, proveniente dalle raccolte del Marchese Patrizi, era disponibile sul mercato. Un’occasione unica.

Da privato cittadino quindi il 27 aprile del 1939 scrisse una ‘lettera confidenziale’ al ministro dell’Educazione Nazionale Giuseppe Bottai, col quale aveva mantenuto un rapporto di stima maturato negli anni precedenti. Nella missiva lo informava che sul conto del “Comitato Britannico” della Banca Commerciale erano disponibili le 9 mila lire degli ‘Amici di Brera’ la cui associazione, presieduta dal senatore Ettore Conti, aveva intenzione di acquistare il Caravaggio.

Il ministro non rispose personalmente ma attese la richiesta formale di Ettore Conti e autorizzò quindi il prelievo del denaro e l’acquisto del quadro informando solo a posteriori il sovrintendente in carica, Gino Chierici, suscitandone le ire. Il dipinto in realtà costò 500 mila lire messe a disposizione da tre mecenati che non vollero apparire.

Come spiega un breve saggio di Chiara Bonalumi pubblicato in occasione di una mostra nel 2016, si trattava di Mario e Aldo Crespi, zio e padre di Giulia Maria Crespi, attuale presidente onorario del Fai e del conte Paolo Gerli di Villagaeta. L’arrivo della ‘Cena ad Emmaus’ a Brera avrebbe dovuto essere celebrato in pompa magna con un programma di festeggiamenti e una mostra. Ma l’inaugurazione che avrebbe dovuto celebrare la ‘generosita’ degli ‘Amici di Brera’ alla fine non ebbe luogo per la contrarietà del regime. E anzi, alla fine del 1939, anche l’associazione venne soppressa dal governo fascista. Rinascerà solo nel dopoguerra.

Vedi: Storia del Caravaggio che riuscì a raggirare le leggi razziali del fascismo 
Fonte: cultura agi


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