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“Sono cattiva, se volete”. Ritratto della “prima donna capo della ‘ndrangheta” in Lombardia

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Dall’inchiesta  che ha portato a 49 arresti emerge la figura di Caterina Giancotti, 45 anni. Brusca, perentoria, solo in un’occasione fa riferimento al suo essere donna

AGI – “Vuoi che divento cattiva e divento cattiva”. “Allora vuoi fare lo stronzo e farò la stronza anche io”. Brusca, perentoria

Il nome di Caterina Giancotti, nata a Triggiano, provincia di Bari, 45 anni, compare 1054 volte nell’ordinanza di 1330 pagine sulla locale della ‘ndrangheta a Rho. Basterebbe questo a dire quanta rilevanza avrebbe rivestito “la prima donna definita capo della ‘ndrangheta in Lombardia”, così l’ha definita la Procura.

Sopra di lei, un solo uomo

A un solo uomo era chiamata a rendere conto: Cristian Leonardo Bandiera, di cui era la “persona di fiducia e che affiancava nella direzione dell’organizzazione mafiosa coi compiti di decisione, pianificazione e individuazione delle azioni da compiere e delle strategie da adottare”.

Antonio Procopio e Alessandro Furno “erano i suoi sottoposti”, la sua ‘specialità’, a leggere le intercettazioni, quella di recuperare i crediti dei debitori “tramite intimidazioni ed estorsioni”. Il colloquio con Procopio appare significativo fin dall’esortazione iniziale.  “Allora stasera devi portare i soldi della fattura di Giuseppe” (alza la voce). “Ma non è venuto quello…”. “Ho detto che devi portare tutto, non me ne frega un cazzo, sennò ti taglia la testa, è sul piede di guerra, regolati i passi …”. “Eh, lo faccio chiamare da Bruno”. “Tonino, troppe tarantelle”. “Ho finito adesso di parlare con…”. “E non me ne frega un cazzo”.

Sul suo nome si è scatenata una faida

Il 2 marzo del 2021 è finita in carcere perché trovata con 200 grammi di cocaina ritirati da Francesca Curinga, pregiudicata, dopo avere pagato 5mila euro, metà del dovuto.  Durante la sua detenzione, l’associazione criminale l’avrebbe sostenuta nelle spese e nei bisogni ma nel frattempo “dall’arresto scaturiva una controversia sfociata in gravi minacce verbali, una sorta di preludio (come confermato dagli indagati) di una faida tra la famiglia Bandiera e Curinga”- 

I Bandiera, “sospettando un tradimento da parte di Francesca Curinga hanno preteso la restituzione dei 5000 euro versati o quanto meno della metà della somma al fine di provvedere alle spese legali e al sostentamento della Giancotti”.  Questa famiglia, si legge nelle carte, l’apprezza perché “dopo l’arresto non ha fatto i nomi” mentre Domenico Curinga l’attacca: “Dopo l’arresto si è permessa di dire, tramite messaggi, che avrebbe mandato in galera tutti, ha fatto i comodi suoi e ora mi dice che mi manda in galera..”.

Solo in un’occasione, Giancotti parla del suo essere donna quando, convenendo con Bandiera, osserva che il suo apporto a un’operazione di traffico di droga sarebbe stato facilitato dal fatto che le donne vengono più difficilmente perquisite.