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Silvia rapita, XVII giorno. L'ottimismo si è trasformato in incertezza

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Si restringe l’area in cui si sta cercando Silvia Romano rapita in Kenya il 20 novembre scorso nel villaggio di Chakama a 80 chilometri nell’entroterra di Malindi, nella contea di Kilifi. Secondo le informazioni raccolte dai cronisti del giornale keniano “The Standard” gli inquirenti keniani e italiani starebbero setacciando un’area di savana e foresta nella zona di Garsen, dove un testimone sentito nei giorni scorsi, avrebbe detto di aver visto Silvia viva e prigioniera in una casa proprio nei pressi di quella cittadina. Notizia, tuttavia, che non ha avuto riscontro.

La zona delle ricerche si trova a sud del fiume Tana, attraversato il quale si entra in un’area che potrebbe portare i sequestratori facilmente in Somalia. Ipotesi che gli inquirenti escludono avendo, a detta loro, chiuso ogni via di fuga verso quel paese. Dopo la positività espressa dalle forze di polizia keniane nei primi giorni ora, invece, silenzio e riserbo prevalgono su tutto. Qualcosa è andato storto durante le trattative che si sono aperte e non sono ancora chiuse. Le ipotesi si sprecano. Il nodo, rimane, almeno così sembrerebbe, la cifra del riscatto.

La cifra del riscatto

I rapitori potrebbero aver alzato la posta, visto il clamore e la rilevanza mediatica che la vicenda ha suscitato. Di quanto? Nessuno lo sa, ma questo non dovrebbe rappresentare un ostacolo alla liberazione. L’altra ipotesi, forse la più inquietante, e che la giovane italiana sia stata venduta a una banda più organizzata e strutturata. Un gruppo sconosciuto alle stesse forze di sicurezza keniane, che hanno sempre contato sull’incapacità organizzativa dei rapitori.

La terza è che le trattative si siano interrotte, non per una questione di denaro e nemmeno per la vendita dell’ostaggio, ma perché i sequestratori si sono addentrati in una zona a loro sconosciuta, muovendosi a fatica o avendo perso l’orientamento. Le comunicazioni, inoltre, con i rapitori sono avvenute via telefonino, ma per mantenerli in vita occorre essere in un’area fornita da corrente elettrica e abitata, con tutti i rischi del caso. Anche per questo le forze di polizia contano su una collaborazione fattiva delle persone che abitano quella porzione di foresta.

Gli arresti della polizia, e le conseguenze

Subito dopo il rapimento della cooperante italiana la polizia ha messo in atto una raffica di arresti, prima 14, fino ad arrivare a 20 persone. Arresti che hanno fatto pendere la bilancia verso l’ottimismo, perché gli arrestati hanno “fornito notizie molto importanti”. Subito è partita una caccia all’uomo massiccia. La polizia ha messo in campo anche i droni per monitorare l’area del rapimento. Il capo della polizia regionale, Noah Mwivanda, ha spiegato che è “stata lanciata una grande operazione di sicurezza con il coinvolgimento di diversi corpi di polizia e delle forze speciali, incaricati di rintracciare i sospetti che, si ritiene, si nascondano nella foresta”.

Gli inquirenti, inoltre non hanno dubbi: i sequestratori sono criminali comuni e la possibile pista di un rapimento messo in atto da gruppi affiliati ai terroristi somali di al Shabaab, viene esclusa. Anche perché non c’è stata nessuna rivendicazione in proposito. Già dal quinto giorno dal rapimento sono state diffuse le foto segnaletiche di quelli che si ritiene siano gli autori del rapimento: tre persone. E questo è un buon segno.

La polizia, poi, ha chiesto l’aiuto della popolazione promettendo una ricompensa in denaro, 6800 euro, a chi fornisce notizie utili per la liberazione della giovane italiani. In quei giorni sono state trovate le tracce dei rapitori, oltre alle motociclette servite al commando per fuggire e alle treccine di Silvia. Ma, quella che sembra una svolta arriva con l’arresto della moglie, Elima, di uno dei sequestratori grazie alle intercettazioni telefoniche. Fatto che riveste molta importanza per gli inquirenti. La donna, sempre secondo la polizia, ha fornito notizie utili.

Silvia è viva, ma l'ottimismo è diventato incertezza

La notizia più importante di quei giorni è che “Silvia è viva”. Ai sequestratori sarebbe stata chiesta una prova in vita della giovane per avviare le trattative con i sequestratori. Prova che è stata fornita e quindi si sono avviate le trattative. L’ottimismo prevale. “Ci stiamo avvicinando. Tutto indica che abbiamo quasi raggiunto i rapitori”, sostiene Mwivanda. Alle indagini, inoltre, stanno collaborando anche gli anziani dei villaggi e della comunità dei pastori semi-nomadi Orma, che si sono dissociati dal sequestro, ma non solo, hanno lanciato un monito: guai a chi aiuta i rapitori. Aiuto, tuttavia, che è arrivato. Ormai gli inquirenti sembrano convinti di una svola positiva.

Entusiasmi che si smorzano rapidamente lungo la giornata di giovedì scorso, quando la liberazione sembrava essere una questione di ore. L’ottimismo si è trasformato in “no comment”.  Nell’arco di poche ore si è passati dal “Ci siamo, avrete presto buone notizie” al mutismo più assoluto. Quel giorno tutto diceva che l’annuncio della liberazione sarebbe stato dato nel giro di poche ore e, invece, tutto è piombato in un silenzio denso di incognite. Evidentemente qualcosa è andato storto, certamente non nel verso sperato.

Le uniche certezze, almeno quelle che sembrano essere tali, nella vicenda del rapimento di Silvia Romano, che dura ormai da diciassette giorni, è che la giovane sarebbe ancora nella foresta e che è viva.

 

Vedi: Silvia rapita, XVII giorno. L'ottimismo si è trasformato in incertezza
Fonte: estero agi


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