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Sarri, Mourinho e un'incognita chiamata Roma

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AGI – Giochiamo al Fantacalcio. Chi vuole Mourinho alla Roma, e Sarri alla Lazio? IO! IOOO! E giù milioni inesistenti, con in più le figurine di Caputo e Lasagna, che poi tocca andare a spulciare tutte le settimane le pagelle dei giornali per sapere che fine hanno fatto.

Una cosa è certa: tra provocazioni e recriminazioni, tra mani portate all’orecchio o incrociate a mo’ di manette, tra aggettivi – ohibò – diplomatici per dire che l’indisciplina di chi si crede Dio perché è solo un campione rovina anche la società più sabauda del mondo, c’è una sola cosa che è certa. E senza dirla, l’abbiamo detta. Non esplicitiamo, quindi: sarebbe rovinare tutto il gusto per scadere nella banalità. Nel trito e ritrito.

Più istruttivo soffermarsi su un fatto: con buona pace dei predecessori, alla Lazio è dai tempi di Maestrelli che non arrivava un allenatore di cotanta personalità. Sven Goran Eriksson, per dire, era un vero talento di professionista, ma non era certo toccato dal dono della leadership nazional-popolare.

E alla Roma, con rispetto parlando, vallo a trovare un leader nazional-popolare come questo che abbia letto altrettanti libri, sappia vestirsi che neanche Kenzo, abbia un fisico da allenatore del Milan (lo disse il Berlusca, che per il Milan ci voleva anche un certo phisique du role alla Allegri o alla Maldini, che le ragazze fanno innamora’) e sappia tutte quelle lingue. Ce lo vediamo già, a cena con Totti o con De Rossi, per non dire il giovane Zaniolo, a parlare di neuroscienza, che pare sia uno dei suoi argomenti preferiti.

Oddio, l’inglese lo saprà anche Sarri, che col Chelsea non ha certo sfigurato. Lo saprà anche Conte, che anche lui al Chelsea s’è cavato le sue soddisfazioni. Lo sa anche Ranieri, che in Inghilterra ha fatto la cosa più grande di tutti, prendendo una compagine di mezzi brocchi da retrocessione e trasformandola in una gioiosa macchina da guerra.

Ma Mourinho ha sempre qualcosa in più; o forse sono gli altri che hanno qualche fatica in più di Mourinho. Mourinho è disinvolto, piacione e anche un po’ canaglia. Antipatico come il “Francamente me ne infischio” di Clark Gable in Via col Vento. Ranieri, che pure è testaccino ma è riservato, piace alle mamme. Come un film di Frank Capra.

Lo diceva Formica

Sarri non si veste alla Kenzo, e in fin dei conti ricorda più che altro Carletto Mazzone. Già lo vediamo correre sotto la curva dell’Atalanta rivendicando l’onore della mamma. Essendo tradizionalmente (ma le tradizioni si sa sono fatte per non essere rispettate) che a Roma Nord si tifi Lazio, e nel resto dell’Urbe Roma, verrebbe da dire: rifacciamo il Fantacalcio. Abbiamo invertito i ruoli. Ridiamo indietro tutto, con in più tanti fantamilioni. Ci siamo sbagliati, noi fantallenatori dilettanti che non sappiamo nemmeno che gli allenatori nel Fantacalcio non ci sono, essendo noi essi stessi. Fantasticamente.

 Oppure no, perché Sarri – Mourinho, tu così in alto non sai mai salito – ha avuto persino l’onore del lemma sulla Treccani, il tempio della cultura nazionale. Recita: “Sarrismo –  La concezione del gioco del calcio propugnata dall’allenatore Maurizio Sarri, fondata sulla velocità e la propensione offensiva; anche, il modo diretto e poco diplomatico di parlare e di comportarsi che sarebbe tipico di Sarri”.

Soave eufemismo, quello sulla scarsa diplomazia. Ebbe uno scontro, una volta, con Mancini. Non si limitò a dirgli “inallenabile”. Quanto alla velocità e alla propensione offensiva, nulla quaestio. Ma ridurre a tal banalità una filosofia di gioco è roba da plebei, da incompetenti. Insomma, da gran dottori e professoroni.

Il calcio invece è soprattutto quello che la politica era per Rino Formica e cioè (chiediamo scusa alle signore) “sangue e merda”. Questo vogliono le tifoserie opposte, a Roma. E questo sanno dare, l’uno e l’altro. Ecco perché non c’è bisogno di scambi e ripensamenti da Fantacalcio.

Roma sarà anche la capitale, ma calcisticamente non sai mai se è l’ultima delle grandi potenze o la prima delle provinciali. È un cavo teso tra l’asse Milano-Torino e la Fiorentina. Terzo, quarto, quinto posto. Champions e allora è gran festa. Ogni tanto, ma tanto tanto, un grande acuto: gli scudetti vinti in due assommano ad una manita.

Uno, per la Roma, lo si deve a Falcao ma soprattutto a Liedholm: altro gran signore, fascinoso, gran produttore di vini di alta classe e collezionista di arte contemporanea. Sapeva portare la giacca come la tuta. In questo le prospettive sono buone.

La Lazio invece arriva in fondo quando le si impone una dura disciplina di gioco unita ad un tocco, e qualcosa di più, di goliardica spensieratezza. E anche qui, allora, c’è da ben sperare: il coach viene dalla Toscana Profonda e ha sangue partenopeo.  Un mix che portò a Roma anche il Bernini, e allora fu l’esplosione del barocco.

Immaginarsi derby infuocati è scoprire l’ovvio. Immaginarsi tutto il resto è variabile indipendente. Ma è sul resto che si dipanerà la rivalità, e si determineranno i risultati. Anzi, vuoi vedere che i due sorprenderanno tutti, alla vigilia delle stracittadine, con caramellosi messaggi di pace? Sarebbe nel loro carattere, nella loro capacità di stupire come stupiti furono gli juventini nel vedere Sarri, alla sesta di campionato, buttare alle ortiche la giacca e la cravatta di ordinanza, come un prete con la sua tonaca al momento del ripensamento, per tornare all’amata tuta modello Mazzone.

E alla fine abbiamo scoperto questo: che la vera sfida non sarà tanto tra di loro, o alla Juventus poco amata, o all’Inter dei ricordi o al Milan che è sempre lì. E nemmeno al Napoli, che alla fine non devi mai ignorarlo. Sarà tra loro e la città.

Il risultato non è per nulla scontato. Affidiamo le nostre scommesse al Fantacalcio.

Source: agi


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