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Salvate il soldato Zverev

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Salvate il soldato Sasha. Alto, bello, col sorriso che conquista, con servizio e rovescio super, Zverev è già numero 1 del mondo juniores, già fenomeno di precocità, già 3 del mondo dei professionisti, oggi 5, ad appena 22 anni, con 11 tornei Atp Tour vinti (due Masters 1000, a partire da Roma 2017) e oltre 17 milioni di dollari di soli premi in banca, il bambino d’oro del tennis, il più serio candidato a raccogliere lo scettro di numero quando Federer, Nadal e Djokovic andranno in pensione, è in crisi, è infelice, è impaurito, è debole.

Non ha più soltanto il tabù Slam, ora s’arena ovunque. E s’aggrappa, invano, alle sue radici: papà Alexander Senior, che giocava anche lui e l’allena da sempre, e la sua Amburgo, dov’è nato il 20 aprile 1997, che ha disertato negli ultimi anni per inseguire i dollari e il cemento americani e dov’è appena inciampato in semifinale contro il peones Nikoloz Basilashvili.

Sascha il predestinato che non deve chiedere mai, Sascha che spara due ace di prima e due ace di seconda nello stesso game e risolve tutti i suoi problemi con la bacchetta magica del talento, Sascha lo sprezzante che vendica con la potenza da fondocampo i torti subiti dal fratello Mischa che gli ha fatto da apripista nell’Atp Tour votandosi al servizio-volée. Sascha dice che si è distratto per vicende extra tennistiche, spaventato e arrabbiato perché l’ex manager Patricio Apey – ottima persona – gli sta rendendo la vita difficile, dice che è preoccupato dalla malattia di papà, dice che anche il rapporto con la fidanzata, la collega Orya Sharypova, che prende e lascia, lascia e prende, contribuisce a confonderlo. 

Sascha dice tante cose, per giustificarsi, e sfuggire dalla grande verità. Che, per qualcuno è addirittura una malattia che lo debilita, com’è stato per Venus Williams. Ma che magari si chiama solo presunzione. E spiega la fuga di due ex numeri 1 del mondo, ugualmente seri e coscienziosi, lo spagnolo Juan Carlos Ferrero e l’ex ceco naturalizzato Usa, Ivan Lendl, che hanno cercato di insegnargli il dritto, ma soprattutto dedizione al lavoro ma sono entrambe scappati. “Era indisciplinato e cominciava ad arrivare sempre più tardi agli allenamenti, si è montato la testa”, lo ha bacchettato un anno fa Ferrero. “Lui è stato irrispettoso col mio team”, gli ribatteva Sascha. “Al momento alcuni problemi fuori dal campo gli impediscono di lavorare nel modo in cui ritengo sia corretto”, gli dice oggi Lendl. “In due ore di allenamento, per mezz’ora parla sempre del cane o delle prestazioni sul campo da golf”, lo sbeffeggia (!!) Sascha.

Morale: quest’anno, Zverev ha incassato l’ennesima delusione Slam, sorpreso nel quarto turno agli Australian Open da Raonic, non ha reagito ad Acapulco, dov’ha perso in finale contro Kyrgios, e poi si è fermato sempre nei primi turni, beffato dal connazionale Struff a Indian Wells e da Ferrer nell’anno dell’addio, a Miami, umiliato da Munar a Marrakech e da Fognini a Montecarlo, sgambettato da Jarry a Barcellona e da Garin a Monaco. Niente e nessuno è riuscito a scuoterlo.

Ha continuato a ingoiare delusioni,  contro Tsitsipas, nei quarti a Madrid, contro Berrettini, subito a Roma. Sembrava sulla via della guarigione, con la finale vinta a Ginevra su Jarry, anche se era dovuto scendere di livello, in un torneo “250”, e al Roland Garros, malgrado il vizietto delle pause e quindi dei troppi set e delle troppe energie perse per strada, era arrivato ai quarti: record nei Majors. Ma l’erba gli è stata avversa col ko d’acchito a Stoccarda contro lo showman Dustin Brown, coi due turni appena superati ad Halle, e con l’immediata sonora bocciatura contro il picchiatore Vesely a Wimbledon. Con la post intervista-sfogo: “Fisicamente sto bene, posso giocare 10 set, ma sbaglio tutto col mio colpo migliore, il rovescio, sono in un fosso e non riesco a venirne fuori, la mia fiducia è a zero”.

Non l’ha aiutato nemmeno la sua Amburgo. Anzi: nella semifinale contro Basilashvili, ha recuperato da un set e un break di svantaggio, ma poi nel terzo set si è fatto riprendere quand’era avanti 5-3 e poi anche 5-2 al tie-break, mancando due match point, con una percentuale sulle palle-break davvero illuminante sulla sua attuale lucidità: 4 su 20. Povero ragazzo viziato! Ora da padre del tennis tedesco, Boris Becker, che già aveva avuto un aiutino per risistemare i suoi crac finanziari come super-coach di Novak Djokovic, si propone: “Sascha è uno dei pochi talenti della sua generazioni ad aver raggiunto un livello superiore. Potrebbe essere il futuro numero uno ma per ottenere ciò dovrebbe migliorare. In questo momento è in crisi, non ci sono dubbi. Gioca come se non volesse correre rischi e questo lo porta a giocare troppo lontano dalla linea di fondo. Con Lendl c’erano problemi, se uno vuole fare il mentore dev’essere disponibile tutto l’anno”.

Sarà Boris a salvare il soldato Sascha?

 

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Fonte: sport agi


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