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Riforma fiscale, garantismo, premierato forte. Quante battaglie non di destra la sinistra ha regalato alla destra?

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Stefano Firpo direttore generale di Assonime

L’importante e per nulla scontato discorso pronunciato ieri mattina da Giorgia Meloni al congresso della Cgil, a Rimini, ha messo di fronte agli occhi spaesati degli oppositori del governo una realtà politica tanto difficile da ammettere quanto impossibile da negare. Il tema è semplice: ma a forza di considerare di destra estrema tutto quello che sta facendo il governo, quante battaglie di sinistra la sinistra sta regalando alla destra? Giorgia Meloni, evidentemente, deve essere consapevole di questa contraddizione e lo spirito con cui ieri ha affrontato la platea della Cgil riflette bene questo ribaltamento della realtà. Siamo noi, ha detto Meloni, a voler difendere davvero i diritti dei più deboli, e questa riforma fiscale è pensata prima di tutto per loro. Siamo noi, ha detto Meloni, a voler difendere davvero le donne da ogni forma di violenza, e il fatto che a dirlo sia la prima premier donna dà al proclama un valore diverso rispetto al passato. Siamo noi, ha detto ancora Meloni, a voler difendere i diritti dei lavoratori, affermando di voler scommettere, con il suo governo, non sul diritto al Reddito di cittadinanza per tutti ma sul diritto al lavoro per tutti. Siamo noi, ha infine ribadito Meloni, a voler difendere davvero i piccoli imprenditori, vessati da uno stato ossessivo che gli rende ogni giorno la vita difficile. Meloni, in sostanza, ha compreso che la fine della trasversalità politica del Pd rappresenta un’occasione d’oro per la destra che sogna di muoversi da partito più perno della nazione che da partito perno di una singola coalizione e la presentazione della riforma fiscale, in fondo, non ha fatto altro che confermare questa impressione, considerando che su almeno quattro punti la riforma fiscale targata Meloni coincide perfettamente con la riforma fiscale targata Draghi, nata a sua volta da un testo partorito grazie al lavoro della vecchia commissione Bilancio guidata da Luigi Marattin, riforma osannata nella scorsa legislatura anche dal Pd. Vale per il superamento dell’irap, con l’abolizione per le società di persone e sostituzione con sovraimposte Ires per le società di capitali. Vale per il cambiamento della tassazione sulle rendite finanziarie, con la scelta di unificare alcune categorie in modo da permettere le compensazioni. Vale, ancora, per la riforma Irpef a tre aliquote, vecchia battaglia della sinistra. E vale, infine, per la riforma dell’iva, con razionalizzazione del numero delle aliquote. Il Pd, considerando la riforma fiscale del governo Meloni frutto della peggiore cultura politica proveniente dalla destra estremista, ha scelto dunque di regalare alla destra alcune sue battaglie storiche ed è una scelta che si trova in coerenza con altre battaglie altrettanto storiche che il centrosinistra ha involontariamente scelto di mettere nelle mani della destra di governo. Pensate al tema del garantismo, per esempio, e a prescindere da ciò che combinerà Nordio, con le sue riforme annunciate, si può dire che il Movimento 5 Schlein, ops, ha scelto, dalle sue prime battute, di considerare la difesa delle garanzie come una battaglia più di destra che di sinistra.
Tuttavia è da sottolineare come la prevenzione e la riduzione dei fenomeni evasivi ed elusivi viene anche affidata al potenziamento agli istituti di collaborazione tra amministrazione finanziaria e contribuenti. Qui risiede uno dei maggiori punti di forza di questa riforma, ovvero favorire con decisione quel cambiamento culturale fra gli attori del rapporto tributario che può portare, sperabilmente, il nostro sistema a essere più business friendly e a recuperare gli svantaggi competitivi che si sono accumulati rispetto ad altri paesi. Qui, particolare attenzione è stata posta dalla delega al rafforzamento dell’istituto della cooperative compliance ampliandone i benefici e prevedendone l’estensione a una platea più ampia di contribuenti.
Concentrando l’analisi sulle linee di riforma dell’ires, probabilmente la modifica più importante è quella che prevede la riduzione dell’aliquota d’imposta per le imprese che effettuano investimenti qualificati o assunzioni entro i due anni successivi a quello in cui è stato prodotto il reddito e sempre entro tale biennio non distribuiscono il relativo utile. Si tratta di un meccanismo agevolativo particolare e in un certo senso innovativo, in quanto prevede un’immediata riduzione dell’aliquota Ires sul reddito d’impresa sottoposta, però, alla condizione risolutiva del mancato investimento o della distribuzione dell’utile nel successivo biennio. La finalità è chiara: porre subito le imprese davanti all’opportunità di investire per non subire ex post il recupero dell’imposta. Tuttavia tale particolare meccanismo di possibile tassazione ex post non è esente da qualche difficoltà di applicazione. Si pensi alla complessità e possibile invasività dei controlli ex post sull’effettiva realizzazione degli investimenti qualificati, o ai possibili arbitraggi tesi a distribuire dopo due anni gli utili posti a riserva derivanti da redditi su cui si è ormai acquisito il beneficio dell’aliquota ridotta. Criticità attuative di un certo peso che non sembrano andare nella direzione della semplificazione e che dovranno essere chiarite nel percorso attuativo.
E’ utile poi evidenziare che con questa nuova agevolazione dovranno essere coordinate quelle attualmente esistenti: il patent box, l’ace, i crediti d’imposta per investimenti in beni strumentali e quelli sulla R&S, solo per citare i più conosciuti. E’ molto probabile che alcuni degli attuali incentivi dovranno considerarsi sostituiti dalla nuova previsione. Tuttavia la delega poco o nulla dice su questo aspetto. Un coordinamento con il ddl di delega sugli incentivi alle imprese, licenziato dal governo a fine febbraio, andrà necessariamente trovato. Non va dimenticato, infatti, che molti incentivi – pensiamo ai crediti di imposta – oggi agiscono indipendentemente dalla presenza di un imponibile Ires e che la delega – per espressa previsione – non può comportare né un incremento della pressione fiscale, né tanto meno nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Un coordinamento dovrà infine prevedersi con l’attuazione della direttiva sul cosiddetto Pillar 2 che, come è noto, introduce un’imposta integrativa per i gruppi con fatturato pari o superiore a 750 milioni relativamente alle constituent entities sottoposte nella giurisdizione di residenza a una imposizione effettiva inferiore al 15 per cento.
Un altro aspetto da approfondire riguarda “il graduale superamento” dell’irap nella prospettiva della sua sostituzione con un nuovo tributo che assicuri un gettito equivalente. Dall’indicazione della delega emerge che questo tributo si configurerà come una sovraimposta dell’ires; tuttavia, assoggettare solo i contribuenti Ires a tale tassazione potrebbe essere particolarmente oneroso per alcuni, comportando una intensificazione della pressione fiscale su un bacino più ristretto di imprese societarie. Questo effetto redistributivo non neutro è un altro aspetto delicato che merita di essere preso in seria considerazione.

Fonte: Il Foglio