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Riflessioni sul sistema creditizio. La lunga catena dei dissesti bancari

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Dopo avere bruciato enormi ricchezze, danneggiato moltissimi risparmiatori, polverizzato cifre a due zeri del PIL nazionale, contribuito a bloccare parecchie iniziative di investitori e operatori economici piccoli e grandi, il fenomeno delle ricorrenti crisi bancarie, piuttosto che essere circoscritto e bloccato, è divenuto endemico e tuttora minaccia di travolgere, in una sorta di effetto domino, altri Enti creditizi, anche di rilevante importanza

di Augusto Lucchese

Pochi italiani hanno conoscenza e percezione di quanto nocive e onerose siano state le crisi bancarie e finanziarie susseguitesi in Italia nell’arco temporale di circa 50 anni, dal 1974 ad oggi.

Tuttavia, pur in presenza di tutta una serie di episodi che hanno evidenziato la poco accorta gestione di parecchi Istituti di credito, solo nell’anno di grazia 2017 (Legge 12 luglio 2017, n. 107, Gazzetta Ufficiale n. 162 del 13 luglio 2017),  con molto ritardo e peraltro a fronte di multiformi incertezze, fu deciso di dare corso alla istituzione di una Commissione d’inchiesta sul “sistema bancario e finanziario”, compresa la CONSOB.

L’unica precedente Commissione di inchiesta che seppure marginalmente e parzialmente  avesse attinenza con il sistema bancario e finanziario italiano, fu quella istituita con legge 22 maggio 1980, n. 204, poi prorogata con legge 23 giugno 1981, riguardante l’incredibile e rovinoso intreccio fra Banche, finanza internazionale, politica dei piani alti, massoneria P/2, IOR (Istituto Opere Religione – Vaticano), mafia e criminalità.  Intreccio venuto alla luce a seguito della spaventosa deflagrazione dell’italo americano “caso Sindona” del 1974, maturato dopo il tracollo e il fallimento della Banca Privata Italiana e della Franklin Nazional Bank di Long Island, gioielli di casa del citato super “bancarottiere”.

Emerse un turbinio di fatti criminogeni concepiti e realizzati nell’ambito di un certo mondo sommerso e spregiudicato dell’alta finanza. Fatti che risultano tanto squallidamente intrecciati e foschi da rendere pressoché impossibile farne una seppur approssimativa esposizione. Essi, per inciso, portarono all’omicidio dell’Avv. Giorgio Ambrosoli e al presunto e mai provato “suicidio da caffè alla Pisciotta” dello stesso Sindona, avvenuto nel carcere di Voghera il 22 marzo 1986, alla fine del suo peregrinare tra Europa e America, fra processi, condanne, latitanze, arresti, estradizioni.

Malgrado la lunga catena dei dissesti bancari passati e recenti, il cui costo di diverse centinaia di miliardi è finito col gravare pesantemente sull’erario e quindi sul contribuente, non è stato difficile constatare che, dalle parti delle Istituzioni preposte e del Parlamento italiano, il tempo, allora come ora, sembrava essersi fermato a qualche lustro addietro.

Le “crisi bancarie” antiche e recenti sono parecchie, dalla Banca Privata Italiana di Sindona del 1974 all’Ambrosiano del 1982 (in cui risultarono coinvolti Roberto Calvi – Licio Gelli / P/2 – Paul Marcinkus / IOR e alcuni politici dell’epoca), passando attraverso lo sfaldamento delle Casse di Risparmio di Parma, Venezia, Ferrara, Calabria, Puglia, della Popolare di Brescia, della Banca del Salento, per finire alla Popolare di Vicenza e alla Banca Etruria, del periodo 2014-2016.

Il susseguirsi delle numerose “crisi”, più o meno gravi e dagli esiti incerti o letali, ebbe a riguardare, inoltre, alcune fra le Banche più prestigiose del Gotha bancario italiano quali la Banca Commeciale Italiana,  il Banco di Napoli, il Banco di Sicilia, la Sicilcassa,  l’Antonveneta, la Carige.

La più grave, la più lunga, la più costosa per l’Erario, rimane però quella riguardante la più antica Banca italiana e, si dice, la più longeva del Mondo (1472), il Monte dei Paschi di Siena. Crisi avviata nel 2002, a seguito dell’improvvido acquisto della Banca 121 (ex Banca del Salento) e quindi dei prodotti bancari “tossici” denominati My way e Four you dalla stessa diffusi. Lo stato di difficoltà ebbe a complicarsi nel 2008 per l’altrettanto improvvido acquisto dal Gruppo spagnolo “Santander” della Banca Antonveneta (9/miliardi) che pochi mesi prima era stata valutata e pagata per  6/miliardi. La debacle del Monte Paschi è tuttora presente e pare che abbia arrecato un complessivo danno di circa 64/miliardi di euro.

In che misura le influenze politiche abbiano pesato su tale disastro è ancora tutto da accertare pur se non è certo facile trarre delle conclusioni. Anche la Magistratura, in merito ai processi tuttora in itinere, non ha dimostrato incisività e rapidità.

Le notizie trapelate sulla stampa e localmente circa il crescente deterioramento del “sistema Banche” avrebbero dovuto mettere in allarme, a tempo debito, gli organi di vigilanza della Banca d’Italia e della CONSOB (ciascuno per la propria sfera di competenza) e, di riflesso, l’apparato  istituzionale governativo e il Parlamento.

Risalta, ovviamente, il fatto che ove tali preposte Istituzioni della “democratica” Nazione Italia fossero funzionate a dovere (senza condizionamenti lobbistici e senza interferenze di gruppi di potere o degli inaffidabili partiti politici), la Commissione d’inchiesta di cui sopra avrebbe dovuto essere istituita già all’inizio degli anni ‘80, quando regnavano i vari Spadolini (1982), Fanfani  (1982), Craxi (1983), Amato (1992 / 1993), Ciampi (1993 / 1994), Berlusconi (1994 / 1995 – 2001 / 2006 – 2008 / 2011), Dini (1995 / 1996), Prodi (1996 / 1998 – 2006 / 2008) e non ultimo l’amletico D’Alema (1998 / 2000).

In quegli anni, oltretutto, erano ancora in lizza i vari De Mita, l’intramontabile Andreotti, l’indefinibile Forlani, oltre ai super ministri Tremonti, Fantozzi, Siniscalco, Padoa Schioppa, Visco, Monti, mentre sul trono di Governatore della Banca d’Italia s’erano succeduti, dopo Carli e Banfi, Ciampi (1979 / 1993), Fazio (1993 / 2005) e Draghi (2005 / 2011).  Il tutto inframmezzato dall’apertura dello sconvolgente scandalo denominato “mani pulite”.

Ciampi e Dini, poi peraltro chiamati a ricoprire importanti incarichi di Governo e Istituzionali, avevano espletato, rispettivamente nel 1978 / 979 e nel 1979 / 1994, l’incarico di Direttore Generale della importante, complessa e autonoma struttura della Banca d’Italia, cui per legge è demandato il compito di sovraintendere e vigilare sul sistema bancario nazionale.

In seno al Parlamento, in tutte altre faccende affaccendato, mai si profilò, nel corso di quel nebuloso lungo periodo, l’idea di istituire una Commissione d’inchiesta.

Dal confuso quadro segnaletico riguardante la malconcia Nazione Italia, balza in evidenza quanto fosse predominante la storiella tutta italiana del “controllato che diviene controllore” e viceversa, con conseguenti insabbiamenti, spericolati provvedimenti riparatori in danno delle finanze statali, eliminazione di contenitori di prove.

Nel corso del grave e turbolento lasso di tempo che va dal 1974 al 1994, i sintomi delle preoccupanti “disfunzioni” del comparto creditizio c’erano già tutti ed erano abbondantemente palesi.

Sembra però che si fosse scelto di optare per una linea di sottovalutazione della dilagante epidemia di malgoverno del sistema, nascondendo sotto il manto protettore della burocrazia e della adusa tattica del rimpallo di compiti e responsabilità, i più o meno allarmanti “accertamenti” emersi.

Fu adottato, più che altro, il sistema del “vivi e lascia vivere”, sia in relazione al ventilato pericolo della perdita di fiducia dei risparmiatori nei riguardi del sistema bancario che in funzione, forse, della paura dei famosi “scheletri” che sarebbero potuti venire fuori dagli “armadi” di molti santuari del mondo della finanza dell’epoca ove da lungo tempo s’era adusi approntare, nei sontuosi “laboratori” esistenti, succose torte da offrire in omaggio a chi di ragione.

Attraverso la consultazione della stampa di quegli anni, oltre che mediante le notizie riportate da taluni servizi televisivi, si può facilmente avere conoscenza di circostanziate situazioni di rischio, di denunce a carico di taluni notabili del settore, della chiamata in causa di illustri personaggi  “a conoscenza dei fatti”, di diffuse pecche operative del sistema, di situazioni gestionali che, più o meno chiaramente, ponevano in evidenza fatti riprovevoli, abusi, fenomeni di anatocismo, magagne, connivenze.

Da quando i partiti, irresponsabilmente e per giochi di potere territoriale ed elettorale (talvolta con il tacito assenso o con il placet delle competenti autorità di controllo), ebbero facoltà di incuneare i propri adepti, magari impreparati, arrivisti e faziosi, nei posti chiave (sottogoverno) dei vari Consigli di Amministrazione degli Istituti di Credito e delle Fondazioni bancarie, un modus operandi niente affatto affidabile e men che meno trasparente si impadronì del sistema creditizio.

Non sono le aride cifre, le statistiche, i diagrammi più o meno elaborati, a fornire le dimensioni e l’ampiezza dei logoranti fenomeni che investirono il sistema creditizio italiano.

Ancora oggi s’asserisce che il gravoso ammontare dei crediti in “sofferenza” (è risaputo che trattasi di diverse centinaia di miliardi di euro, ben superiore a tre volte della media europea) che asfissiano e deprimono la funzionalità gestionale di un po’ tutti gli Istituti di Credito, non è solo conseguenza delle lunghe e ricorrenti “crisi economiche”, ma è frutto delle spesso rilevanti concessioni di crediti elargiti a fronte di “interferenze” e di “pressioni inopportune” esercitate dal mondo politico attraverso i propri “referenti”  inseriti nei gangli decisionali degli Istituti eroganti.

Da quest’ultima considerazione potrebbe anche scaturire il perché la “vigilanza” della Banca d’Italia, ogni volta pesantemente tirata in ballo e portata sul banco degli accusati, in uno agli organi di controllo della consorella CONSOB, non ha funzionato a dovere nel rispetto delle norme vigenti, pur se parecchio complicate dalle numerose “riforme” che, nel tempo, hanno coinvolto la legislazione di base di cui al Testo Unico datato 1936.

Il fenomeno, invece, dopo avere bruciato enormi ricchezze, dopo avere danneggiato moltissimi risparmiatori, dopo avere polverizzato cifre a due zeri del PIL nazionale, dopo avere contribuito a bloccare parecchie iniziative di investitori e operatori economici (piccoli e grandi), piuttosto che essere circoscritto e bloccato, è divenuto endemico e tuttora minaccia di travolgere, in una sorta di effetto domino, altri Enti creditizi, anche di rilevante importanza.

E’ da porre in evidenza, oltretutto, che le recenti normative adottate in ambito Comunità Europea e Banca Centrale Europea (“burden sharing”  e “bail-in”)  prevedono che qualsiasi aiuto pubblico a una banca debba innanzitutto essere esaminato ed approvato dalla Commissione Europea, ma soprattutto deve essere erogato solamente in seguito alla riduzione del valore nominale delle azioni e delle obbligazioni subordinate, o la conversione in capitale di queste ultime.

In regime di “burden sharing”  gli azionisti e creditori subordinati “devono sopportare parte degli oneri per il risanamento della banca in crisi mediante la svalutazione del valore nominale dei loro crediti o la loro conversione in capitale, prima che siano coinvolti fondi pubblici nel salvataggio della banca o nella sua liquidazione coatta amministrativa”.

A differenza del “burden sharing”, che colpisce solamente “azionisti ed obbligazionisti subordinati, il “bail-inprevede, invece, che a copertura delle perdite debbano partecipare anche obbligazionisti junior, senior ed i soggetti con depositi superiori ai 100.000 euro, fino all’8% delle passività, prima di ricorrere al Fondo nazionale di risoluzione”.

A nulla valgono, oggi, le filippiche di improvvisati o interessati censori al grido di “chi è responsabile deve pagare”.

Quando i buoi sono scappati è inutile chiudere gli steccati o cercare i capri espiatori dell’accaduto. Anche perché le colpe, se tali sono o sono state, coinvolgono, specie moralmente, un po’ tutti i signori parlamentari e governanti che solo con incredibile ritardo ebbero a valutare l’opportunità o meno di istituire la citata Commissione dì inchiesta.

Non sembra, peraltro, che essa sia a suo tempo approdata a concreti risultati o abbia dato vita a provvedimenti sostanzialmente e incisivamente modificativi del pregresso quadro d’insieme. Come spesso accade in Italia, sembra che possa essere annoverata fra le tante e multiformi  “incompiute”.

La “relazione finale” è contenuta in ben 521 pagine, affatto consultabili agevolmente sia per la lungaggine dei contenuti, dei riferimenti temporali, dei resoconti delle numerosissime “audizioni”, che per i sistematici richiami a norme di legge, regolamenti, direttive, comprensibili solo a specifici tecnici e giuristi d’alto bordo. La gente comune, in base alle elementari nozioni di cui può disporre, non è in grado d’addentrarsi in una tale infida giungla.

A pag. 157, 3° e 4° capoverso,  detta “relazione” segnala comunque che “l’azione di vigilanza non è stata sufficientemente efficace, mentre il non adeguato potere sanzionatorio è apparso impotente”.

Per quanto concerne, in particolare, il servizio di Vigilanza esercitato dalla Banca d’Italia, la relazione finale sottolinea innanzitutto  “la necessità di rafforzare ulteriormente la collaborazione tra Banca d’Italia e Consob, a partire dalla tempestiva comunicazione dei verbali integrali delle rispettive ispezioni, assieme ad una indicazione sintetica delle prescrizioni impartite all’istituto bancario; da definire con precisione anche i flussi di informazione tra la BCE e le autorità di vigilanza nazionale, nell’ambito di un complessivo ridisegno dell’assetto istituzionale a livello europeo.  Appare inoltre auspicabile accrescere i poteri ispettivi della Banca d’Italia, in analogia a quelli già attribuiti alla Consob e potenziare il ruolo del Comitato per la salvaguardia della stabilità finanziaria. Viene evidenziata la necessità di regole più stringenti per quanto riguarda l’assunzione di incarichi nelle banche di ex dipendenti delle pubbliche amministrazioni”.

Per comprendere appieno il significato e il peso specifico del linguaggio burocratese  di cui sopra, sembrerebbe che non rimanga altra alternativa a quella di affidarsi ad un valido e provato “traduttore”.