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Riflessioni filosofiche sul concetto di libertà

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di Antonino Gulisano

Nel dizionario Treccani la libertà è la facoltà di pensare, di operare, di scegliere a proprio talento, in modo autonomo. Dal punto di vista giuridico, per libertà si intende in linea di massima il diritto di ogni individuo di disporre liberamente della propria persona. Libertà (ant. libertate e libertade) s. f. [dal lat. libertas -atis].
Desidero iniziare questa riflessione sul concetto di libertà con una valutazione sullo stato dell’essere uomo: l’uomo è libero e uguale perché nasce nudo.
«Nessuno è mai nato schiavo per natura»: così Filemone, tra IV e III secolo a.C., ribalta la concezione aristotelica della condizione servile. Preconizzata nella tragedia ateniese del V secolo, quest’idea risulta tanto più rivoluzionaria se la schiavitù è quella delle donne, per giunta prigioniere e straniere, che, vivendo una condizione di duplice subordinazione, si pongono all’intersezione delle due categorie più ai margini della società greca antica.
Nella concezione greca in Atene il concetto di libertà, si individua con la parola individualismo e l’eguaglianza con la parità dei diritti; la libertà è un valore naturale, un diritto innato.
Nei secoli antichi, in Occidente, i confini tra schiavitù e libertà non furono così netti e non un fenomeno unitario, la schiavitù, come dipendenza personale giuridicamente sancita, nella polis e nella società ellenistico-romana. E che cosa si può dire del nostro mondo globalizzato? Alcuni filosofi contemporanei affermano che l’idea di libertà è utilizzata dalle religioni e dall’ordine giuridico per riconoscere la responsabilità delle azioni degli individui e quindi la loro punibilità. L’idea di libertà serve all’ordine sociale, ma non ha alcun fondamento.
La Questione della Libertà nel pensiero filosofico, fra Cinquecento e Seicento la introdusse Erasmo Da Rotterdam. Egli sosteneva che l’uomo era responsabile della propria salvezza e solo le sue azioni permettevano di giudicarlo. Differente però era l’idea di Martin Lutero, che invece assegnava unicamente a Dio la scelta su chi salvare.
Ancora, con Cartesio, vi è una nuova concezione della realtà, detta “meccanicistica”, la quale ritiene che il mondo sia retto da regole precise. Ed in questo contesto, l’uomo si riserva la libertà di azione grazie alla sua volontà infinita e il suo intelletto finito.
Vi è poi Hobbes che nega ogni libertà umana, sostenendo che tutte le azioni dell’uomo, sono necessitate. All’uomo è concessa sì la libertà di azione, ma non la libertà di volere.
Erasmo Da Rotterdam, in polemica con Lutero sulla questione della libertà, scrive un libro intitolato “De Libero Arbitrio”, egli elabora una tesi, secondo la quale la grazia che Dio dà all’uomo, non annulla il suo libero arbitrio, poiché solamente attraverso il riconoscimento umano all’opera della salvezza si evita di ridurre l’uomo a semplice “Argilla” nelle mani di Dio.
I punti principali del pensiero di Erasmo sono:
• L’uomo, non è destinato all’inferno, come affermato da Lutero.
• L’azione umana è divisa in tre parti: inizio, sviluppo e compimento.
• Il libero arbitrio, sta nel momento dello sviluppo, mentre le altre parti sono regolate da Dio.
• La grazia divina è autosufficiente, mentre la libertà dell’uomo e la sua volontà, dipendono dalla grazia divina.
Per Martin Lutero, “Il libero arbitrio è un semplice nome, e dopo il peccato originale quando un uomo fa ciò che sta in lui, pecca mortalmente”.
Lutero pone un accento sull’onnipotenza di Dio e afferma che la salvezza dell’uomo è unicamente affidata alla sua misericordia. Solo la misericordia di Dio porta alla salvezza, e non la libertà umana.
I punti principali del pensiero di Lutero sono:
• Un profondo pessimismo antropologico.
• L’uomo è una creatura segnata dal male.
• Solo la fiducia in Dio, conduce l’uomo alla pace del cuore e all’adorazione della mente.
• Nessuno, tranne gli eletti, possono credersi amati da Dio. Quelli che non saranno scelti, lo bestemmieranno.
Il libero arbitrio è inefficace senza la grazia di Dio, e l’uomo sarebbe spinto al male. Dato che non può da solo volgersi verso il bene, l’uomo è obbligato ad avere fiducia in Dio, e allora la libertà viene a mancare.
Cos’è la libertà in Cartesio? La libertà di un uomo, sta nella sua volontà, che è infinita, poiché si estende anche alle cose che non sono sempre dimostrabili e quindi oltre l’intelletto finito. Né la volontà può essere in errore, poiché essa ci è concessa da Dio, e in quanto tale deve essere buona, né l’intelletto può essere causa di errore poiché grazie ad esso noi intendiamo ciò che Dio ci ha concesso di intendere. L’errore, sta unicamente nel fatto che, la volontà, poiché infinita ci spinge a conoscere ciò che va oltre quello che ci è consentito intendere, quindi oltre quello che ci concede Dio, portandoci nell’errore.
Per Hobbes non esiste alcun libero arbitrio, ma solo la libertà di agire, che è assai diversa: la volontà dell’uomo, non è altro che appetito o desiderio di qualcosa che non si ha, e ciò ci obbliga ad agire in modo da soddisfare i nostri desideri.
Per Henri Bergson la libertà dell’uomo va ricercata nella sua coscienza, quel luogo in cui il tempo è diverso da quello reale, dove tutti gli eventi si mescolano in eterno. L’uomo è libero in quanto coincide con il suo io profondo, dato che è il riflesso della sua anima o coscienza. La libertà vera e propria la si scopre non nelle normali azioni abituali, ma quando la nostra coscienza deve prendere una decisione importante, una decisione che deciderà il destino di noi stessi o di qualcun altro.
Il poeta Paul Eluard non sviluppa una vera è propria riflessione sulla libertà umana, afferma però che essa è ovunque, analizzando la forza che essa ha nella vita dell’uomo.
In Hegel la libertà è un negativo assoluto, ovvero il nulla. Che significa che il nulla “per-sé” è la libertà? Che vi sono un nulla-in-sé e un nulla-in-sé-e-per-sé distinti dalla libertà. Dato che ogni determinazione è dialettica e si svolge in tre momenti (auto)esplicativi, occorre studiare il concetto di nulla in questo suo movimento; partiamo dall’in-sé del nulla, e torniamo indietro per affermare di nuovo che esso è: in quanto il nulla non si è ancora rapportato all’altro-da-sé, che a dire il vero è lo stesso di sé, perché non è ancora uscito da sé.
In Hegel, la libertà nasce come negativo, progredisce come negativo–negato, e giunge al positivo dialetticamente. Cosa ci sia di particolare è evidente: di solito, la quidditas iniziale d’una dialettica è un positivo, negato, indi riaffermato. Nel caso della libertà questo processo, pur non mutando nelle tappe, assume ben altre forme a causa 1) della negatività di partenza, 2) della negazione particolare antitetica e 3) della sintesi come sussunzione di “negazione della negazione del negativo”: non nuova-negazione, bensì positiva-posizione, libertà-in-quanto-bene-vivente. In definiva l’essenza dello spirito con il termine libertà: conseguentemente, la branca più adatta allo studio della libertà-in-sé-e-per-sé, è la filosofia dello spirito. Hegel afferma: La libertà-in-sé-e-per-sé quale oggetto precipuo del diritto è sintesi di libertà-astratta (negativa) e di necessità-naturale: la libertà-in-sé-e-per-sé è bene vivente proprio in quanto «forma infinita, e non solo libertà-in-sé, bensì parimenti libertà per sé – verace idea».
Nello Stato, la libertà perviene al suo supremo diritto di fronte agli individui. Essere liberi, dunque, significa inserirsi in una comunità plurale, questo almeno secondo il maestro di Stoccarda; questa opinione, tuttavia, trova Kierkegaard (e colui che scrive) in disaccordo. La comunità serve (per) la verace libertà, ma non rende veracemente liberi. Ognuno di noi si veda chiamato a sciogliere questo paradosso come meglio crede (ecco, questa è libertà).
Berlin è particolarmente noto per il suo saggio “Due concetti di libertà”. Egli definì il concetto di libertà “negativa” come assenza di limitazioni o interferenze nei riguardi di ciò che un soggetto è capace di fare (libertà da). Maggiore “libertà negativa” significa minori restrizioni delle possibili azioni del soggetto. Berlin associò la libertà “positiva” con l’idea di padronanza di se stessi, ovvero la capacità di auto-determinazione, essere padroni del proprio destino. Nonostante Berlin ritenesse i due concetti di libertà quali legittimi e validi ideali umani, di fatto la storia insegna che il concetto positivo di libertà si è mostrato particolarmente suscettibile di abusi in politica.
Berlin sostenne che sotto l’influenza di Jean-Jacques Rousseau, Immanuel Kant e Georg Wilhelm Friedrich Hegel (tutti sostenitori del concetto positivo di libertà di), i filosofi europei della politica spesso hanno posto sullo stesso piano la libertà e le forme di disciplina o imposizione politica. Tutto ciò divenne politicamente pericoloso allorché nel XIX secolo le nozioni di libertà positiva vennero usate per difendere il nazionalismo, l’auto-determinazione e l’idea comunista del controllo collettivo sul destino degli uomini.
Berlin affermò che l’adesione a tale linea di pensiero avrebbe paradossalmente trasformate le richieste di libertà in richieste di controllo e disciplina collettiva — ritenute necessarie per l'”auto-controllo” o auto-determinazione delle nazioni, delle classi sociali, delle comunità democratiche e, addirittura, dell’umanità intera. Quindi, per Berlin, esiste un’elettiva affinità tra libertà positiva e totalitarismo.
In Popper va posta una domanda. “Chi deve comandare?” bensì: “Come è possibile controllare chi comanda e sostituire i governanti senza spargimento di sangue?”. Dovrebbe essere questo l’atteggiamento culturale e politico di coloro che si impegnano a costruire, perfezionare e difendere le istituzioni democratiche a favore della libertà e dei diritti dell’uomo. L’uguaglianza di fronte alla legge, ad esempio, non è semplicemente un fatto ma deve essere una istanza politica che riposa su una scelta morale: “La fede nella ragione, anche nella ragione degli altri, implica l’idea di imparzialità, di tolleranza, di rifiuto di ogni pretesa autoritaria”. In quest’ottica, Popper difende lo stato democratico e liberale in quanto “Il liberale ama la tolleranza e la libertà. Il suo amore per la tolleranza è la necessaria conseguenza della convinzione di essere uomini fallibili. Tuttavia, egli è tollerante con i tolleranti, ma intollerante con gli intolleranti. La tolleranza, al pari della libertà, non può essere illimitata, altrimenti si autodistrugge. Infatti, la tolleranza illimitata porta alla scomparsa della tolleranza. Se estendiamo l’illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti, se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro l’attacco degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi”.
Centrale in Popper è, inoltre, il tema della libertà come corresponsabilità: “Sino ad un determinato punto siamo tutti corresponsabili del governo, sebbene noi non governiamo. Ma la corresponsabilità esige libertà (…) libertà di parola; libertà di accesso alle informazioni e libertà di poter dare informazioni; libertà di stampa e molte altre ancora”.
Popper considera lo storicismo il principale presupposto teorico di molte forme di autoritarismo e di totalitarismo; annovera tra le teorie storicistiche l’interpretazione “hegeliana e nazionalistica”, l’interpretazione marxista e, dopo il crollo di questa, l’interpretazione cinica della storia. Nell’interpretazione nazionalistica la storia è la lotta tra razze; in quella marxista la storia è lotta di classi; nell’interpretazione cinica a dominare la storia è sempre e soltanto la cupidigia.
Popper sostiene quindi che non esiste un senso della storia precostituito rispetto alle decisioni e alle interpretazioni umane: “Per ragioni morali, non dobbiamo mettere ‘niente’ al loro posto”. Non esiste scienza, inoltre, che possa produrre conclusioni definitive: la conoscenza scientifica è sempre congetturale e sempre fallibile. Popper rigetta, di conseguenza, il socialismo scientifico e, ovviamente, il marxismo. In ambito sociale e politico, la popolazione deve guardarsi dagli esperti che dicono di conoscere il destino della società.