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Regolate subito le criptovalute: un’altra bolla sta per esplodere

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L’assenza di norme e il rischio di un Lehman bis

Angelo De Mattia

Un provvedimento europeo è in progettazione da lungo tempo, ma neppure quanto sta ora accadendo, con le difficoltà che sono segnalate, ne accelera l’adozione. Il legislatore di Bruxelles sa dove porta questa crisi; perché non agisce?

Scrisse molto sui fallimenti intellettuali ma riuscì a sfuggire al comune destino di una generazione nata di contropiede fra la catastrofe nazista, la voglia di socialismo dialogante col mondo sovietico e il rifiuto dall’americanismo che aveva invaso la Germania sconfitta in un tentativo di clonazione di cui oggi abbiamo smarrito le tracce. Enzensberger però sapeva resistere al fallimento delle sue stesse ideologie attraverso la commistione e la libertà di ritrarsi. È stato un combattente di tutte le barricate di una sinistra ancora in cerca di se stessa e adorava gli anarchici baschi di cui diceva che avevano un solo limite: non riuscivano a vedere più in là dell’ultima barricata perdendo di vista sia il presente che il futuro.
Scrisse molto sui fallimenti intellettuali ma riuscì a sfuggire al destino di una generazione nata di contropiede fra il nazismo, la voglia di socialismo dialogante con l’Urss e il rifiuto dall’americanismo che aveva invaso la Germania sconfitta
Chi era Hans Magnus Enzensberger che è morto ieri mattina a Monaco a 93 anni? Certamente era un poeta paradossale che scriveva poesie per chi odia la poesia ed era un eccellente produttore di paradossi, ma non è questo un motivo sufficiente per la celebrazione che merita. Probabilmente la sua miglior qualità – un poi come “l’uomo senza qualità ” di Musil – è che aveva, ha avuto, molte e grandiose caratteristiche, ma quasi tutte fuori tempo. Essendo nato nel 1929 ha detto di “esser vissuto nel fascismo” ma senza sapere che stava vivendo nel fascismo, detestava la Repubblica Federale Tedesca per il suo consumismo all’americana, ma al tempo stesso si rendeva conto che non esisteva una vera alternativa.
La gloria maggiore, per un vero intellettuale letterato e poeta come Hans Magnus fu la matematica e la commistione delle arti come la commistione delle rivoluzioni e delle utopie per provare davanti al suo stesso specchio di intellettuale cangiante la prova di quel che esiste e di quel che potrebbe esistere: aver scritto bellissimi libri per bambini allo scopo di insegnare sia a loro che ai genitori quanto sia impossibile oltre che deprecabile, essere ignoranti in matematica e ripetere di non poter sopportare le equazioni e persino le tabelline.
Era, è stato, un uomo di sinistra ed era curiosissimo di tutto ciò che appariva di sinistra, salvo saturarsene presto e poi detestare ciò di cui si erta innamorato. Gli accadde a Cuba dove andò a vivere nel biennio folgorante 1968-1969 che segnò l’uscita di Che Guevara dalla Cuba castrista per andare ad esportare le rivoluzioni che fallirono e da cui fu sepolto. Il regime castrista non era benevolente, ma era proprio un regime: rivoluzionario, anti libertario, sordo alle richieste delle libertà civili comprese quelle di orientamento sessuale e in questo paradossalmente più vicino al franchismo fascista spagnolo. Hans disse di non essersi mai fatto incantare dalla retorica di Fidel, dal suo straripante verbosismo con cui ammanniva attraverso la flebo degli altoparlanti e dalle radio un pensiero privato nazionalista e trasudante retorica e si dedicò a difendere un poeta cubano perseguitato dal regime. Ciò lo fece entrare in conflitto frontale con Gunter Grass che apparteneva alla stessa generazione di tedeschi che ebbero un’infanzia sotto la svastica, scelsero poi il socialismo o il comunismo come Bertold Brecht che, assaggiata Hollywood con l’Opera da Tre Soldi, fece marcia indietro scelse Berlino Est . E insomma lo scontro sul socialismo cubano tra Grass ed Enzensberger segnò un’epoca di malintesi ideologici, speranze promettenti e fallite, negazioni della realtà, sostituzioni della realtà con sogni che avevano il difetto di non attecchire sulla realtà. Scrisse molto sui fallimenti intellettuali ma lui stesso riuscì a sfuggire al comune destino di una generazione nata di contropiede fra la catastrofe nazista, la voglia di socialismo dialogante col mondo sovietico e il rifiuto dall’americanismo che aveva invaso la Germania sconfitta in un tentativo di clonazione di cui oggi abbiamo smarrito le tracce. La Repubblica Federale Tedesca non era minimamente simile all’attuale Germania unificata.
La Rft era una terra di guerra fredda, di fedeltà atlantica molto armata, era un Paese che perdeva i contatti con la tradizione linguistica tedesca che invece era curata e coltivata nella Repubblica Democratica Tedesca, cosa di cui ti accorgevi quando in metropolitana attraversavi Berlino da Ovest ad Est ed entravi in una Prussia tradizionalista, dai grandi baffuti a manubrio e le uniformi antiche che marciavano al passo dell’oca come ai tempi di Hindenburg. Le Germanie erano veramente due con due diverse poetiche, le vite degli altri nelle mani di una Stasi stagnante e una accettazione convinta degli slogan sovietici.
Hans Magnus era uno dei tanti apolidi in patria, come Gunter Grass e Bertold Brecht e tanti altri intellettuali come Herbert Marcuse e come loro e insieme a loro scatenò la grande offensiva intellettuale nata con la Scuola di Francoforte e con l’Adorno dei “Minima Moralia”, un testo abbondantemente purgato anche in Italia da un’editoria poco incline allo scandalo in casa. Enzensberger però aveva una marcia in più: sapeva resistere al fallimento delle sue stesse ideologie attraverso la commistione, il rifiuto fecondo e la libertà di ritrarsi. In un’epoca in cui gli intellettuali non erano molto inclini a sopportare le disfatte della memoria e della prova storica. Lui sì: odiava il consumismo e alla fine non lo amò ma si depurò dall’ostentazione antiamericana. Amò ogni tentativo rivoluzionario e si dette anima e corpo alla grande rivoluzione culturale del 1968 gettandosi con ardore e sarcasmo in una guerra collettiva contro l’autoritarismo occidentale che però non poteva non investire con le stesse armi del disprezzo e della libertà anche l’autoritarismo del mondo sovietico.
Ricordo sempre un giorno di quell’anno fatato in cui, nella redazione spoglia de l’Avanti di cui ero redattore, tutte le telescriventi mitragliavano notizie di manifestazioni che si svolgevano contemperamenti nella Parigi gollista, nella Spagna franchista, nella Praga comunista, a Berlino in entrambe le parti del muro, a Berkley California e naturalmente a Milano, Roma e persino nella Lisbona salazariana. Le polizie erano impotenti, ma anche le rivoluzioni erano impotenti, eravamo su tutte le barricate e un vento di insofferenza e di delirio soffiava da tutti punti cardinali senza poter far altro che far fremere l’albero del potere e mettere alla gogna i governi e tutti i loro fantocci. Che cosa è rimasto di quella memoria? Nulla. L’invasione dell’agosto a Praga, le bastonature di tutte le polizie. Una manciata di morti, una manciata di versi, una manciata di ricordi che non reggono l’astio e la noncuranza del tempo, tutto è svanito come la sabbia su cui l’onda cancella i passi degli amanti che la vita e la rivoluzione separa, come nelle foglie morte di Prévert.
Ed ora è chiusa anche la partita di questo amabile e presuntuoso testimone dell’umanità in rivolta ma anche onesto e sarcastico combattente quasi ormai ignoto, che è stato Hans Magnus Enzensberger, che ricordavamo come un maturo giovanotto splendente sulle barricate delle parole.
Fra le sue frasi celebri segnalo questa: “Le arti non sono concepite come attività storicamente invariabili del genere umano e neppure come un arsenale di “beni culturali” che vivono un’esistenza senza tempo, ma piuttosto come un processo che avanza senza sosta, come work in progress di cui ogni opera è partecipe”. Hans Magnus è stato un eroe di questa visione dell’arte così diacronica e così permanente al tempo stesso.
È stato un combattente di tutte le barricate di una sinistra ancora in cerca di se stessa e adorava gli anarchici baschi di cui diceva che avevano un solo limite: non riuscivano a vedere più in là dell’ultima barricata perdendo di vista sia il presente che il futuro.
L’ingiustificabile temporeggiamento sta finendo con il favorire fenomeni di contagio delle difficoltà tra gli operatori di monete virtuali, ma anche – e ciò dovrebbe particolarmente allarmare – nel settore finanziario
Nella proposta di legge di bilancio compaiono anche le norme sull’emersione delle cripto-valute non dichiarate al fisco, con una sanzione dello 0,5 per cento del loro valore per ogni anno in cui sono state detenute. Per i relativi redditi conseguiti si prevede, invece, un’imposta sostitutiva del 3,5 per cento del valore delle attività al termine di ogni anno o in occasione del loro realizzo. Vi è chi suppone che si tratti di uno specchietto per le allodole: sarebbe una base per stimolare, poi, a livello parlamentare una eventuale decisione di ampliare l’emersione e promuovere una nuova “voluntary disclosure” dei capitali non dichiarati. In ogni caso, per le “cripto” si prevede l’emersione, ma esse emergeranno, se così sarà, nel vuoto pneumatico, cioè prive di regolamentazione e di controlli di Vigilanza: il principale, grave “punctum dolens”.
Il quadro internazionale riguardante questi asset non è certo confortante. Dopo l’americana Ftx, una nuova società che opera nel settore dei prestiti e dello scambio di cripto-valute sarebbe in gravi difficoltà: si tratta della statunitense Genesis Global Trading la quale, come è accaduto per Ftx, si è rivolta a quella che è ritenuta la più grande borsa cripto, Binance, per ottenere l’erogazione di liquidità, ma, come riferiscono le cronache, la sua richiesta non è stata accolta. Vedremo gli sviluppi di questo nuovo caso. Ftx, sottoposta a procedura fallimentare, deve ai primi 50 creditori 3 miliardi di dollari. La stampa riporta ampie notizie sul dirottamento – o meglio sulla distrazione – dei fondi da parte del principale esponente di quest’ultima impresa. Nonostante che siano stati rivolti dalle autorità competenti dei “caveat” per l’operatività in questo comparto caratterizzato da una inadeguata trasparenza e dalla volatilità delle quotazioni, negli ultimi tempi è aumentata l’emissione di cripto asset e ora si calcola che ben più di ventimila sarebbero i tipi di “cripto” a livello globale. Ovviamente, queste attività non sono monete, non avendo corso legale e non essendo dotate di potere liberatorio nelle transazioni come le banconote. L’aspettativa o l’illusione di facili arricchimenti incentivano la partecipazione a questo “mercato” che, a volte, come ora sta accadendo, provoca pesanti disillusioni. Il fatto è che, nonostante che si continui a definire questa operatività come oggettivamente rischiosa e si adottino espressioni che arrivano finanche a qualificarla come criminale e si parli, negli Usa, non più di “Far West”, bensì di “Wild West”, finora nulla è stato fatto per regolamentare e controllare il settore. Un Regolamento europeo è in progettazione da lungo tempo, ma neppure quanto sta ora accadendo, con le difficoltà che sono quotidianamente segnalate, ne accelera l’adozione.
In effetti, una disciplina di questa operatività non può non basarsi su di una normativa europea e su accordi internazionali (per esempio a livello di G7 o, meglio ancora, di G20), data la possibilità di eludere una eventuale normativa solo nazionale, considerato il carattere di questi asset. L’ingiustificabile temporeggiamento sta ora finendo con il favorire fenomeni di contagio delle difficoltà tra operatori di questo ramo, ma anche – ciò che oggi dovrebbe particolarmente allarmare – anche nel settore finanziario tradizionale, per le connessioni che si stabiliscono tra i due comparti. Se prendesse quota un effetto-domino ad ampio raggio, i problemi si aggraverebbero enormemente. Alcuni paventano un rischio Lehman, anche se le differenze tra i due casi sono significative. Ma il presidente della Consob, Paolo Savona, in un intervento svolto in un recentissimo convegno sulla produttività, il lavoro e la crescita – nel quale ha parlato con grande rigore ed efficacia anche l’ex Governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio della cui opera esce in questi giorni un libro di Ivo Tarolli – ha segnalato il fatto che settori delle “cripto” stanno ibridando, con le loro difficoltà, il settore finanziario tradizionale. Allora diventa ancor più necessario un intervento delle Autorità monetarie. Non si tratta di essere coinvolte in queste vicende o di decidere ora aiuti. Ma, se si verificasse un caso come quello temuto di ampia portata, sarebbe difficile, per la Banca centrale e per la Vigilanza, restare nell’atarassia, immobili, innanzitutto per i problemi di liquidità. Lehman insegna. Gli impatti sarebbero enormi. Non bisogna mai dimenticare, per quel che riguarda l’Italia, il principio costituzionale sulla tutela del risparmio. Allora, piuttosto che intervenire per tentare di riparare i danni, è necessario farlo sin d’ora, agendo d’anticipo perché sia adottata l’auspicata regolamentazione e le Autorità siano dotate di poteri di controllo. I latini dicevano “Principiis obsta; sero medicina paratur”. Occorre agire subito e non corrispondere all’ammalato la medicina quando è ormai tardi. La procrastinazione del temporeggiamento da parte del legislatore, innanzitutto comunitario, costituirebbe un fatto grave, essendo prevedibile ciò che in un lungo vuoto normativo potrà avvenire. L’emersione di cui si è detto sopra dovrebbe essere un ulteriore fattore di impulso ad adottare urgenti misure normative.

Fonte: Il riformista