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RECOVERY PLAN E SVILUPPO DEL MEZZOGIORNO

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L’ultima versione del PNRR, rispetto alle versioni preliminari, ha cercato di conciliare due esigenze opposte: allargare la fetta della torta per gli investimenti pubblici, portandola al 70%, riducendo ulteriormente quella dedicata ai sussidi, ma senza sfondare le linee di deficit e debito scritte nei tendenziali di finanza pubblica. Il 34% dei fondi al Sud, ma parte di queste risorse andrà a finanziare progetti già eseguiti o in esecuzione

di Antonino Gulisano

Il Sud Italia resta indietro e il suo PIL rispetto a quello nazionale diminuisce negli anni. Tutti

Della crescita e dello sviluppo del Sud si parla da decenni, ma il Mezzogiorno non decolla, il suo PIL continua a rallentare dal 1995 a oggi e sono tanti i fattori di debolezza. Le regioni meridionali, infatti, restano fanalino di coda nella produzione nazionale, con scarse opportunità di crescita se non si interviene in fretta, perché sono sempre più deprimenti i dati riguardanti la produzione e la dimensione sociale.

La produzione nel Meridione è peggiorata, così come non sono affatto positivi gli altri dati dal 1995 al 2019, a partire dalla crescita cumulata dell’occupazione: 4,1% contro il 16,4% della media nazionale.

Gli ultimi numeri provengono da uno studio di Confcommercio: “Economia e Occupazione al Sud 2015-2019”, prospetto delle debolezze di questo territorio.

Cosa è emerso? Innanzitutto, la parte di PIL prodotta al Sud in rapporto a quella nazionale si è attestata al 22%, in ribasso rispetto al 24% del 1995.

Lo stesso turismo, settore chiave per lo sviluppo di questa parte d’Italia, è ancora troppo poco remunerativo: la spesa dei turisti stranieri sui consumi interni ha mostrato un 2,3% al Sud, rispetto al 5,6% del Centro e del 5% del Nord-Est.

Oggi, in vista dell’elaborazione del Recovery Plan, il Mezzogiorno potrà tornare protagonista? Ma come rilanciare il Sud Italia, come intervenire per rilanciare in modo efficace il Meridione?

Desidero offrire qui alla riflessione delle lettrici e dei lettori alcuni spunti.

Importanti gli investimenti che verranno fatti nei prossimi anni, ma non bisogna fare l’errore di pensare che vi sia una sorta di automatismo tra risorse spese e soluzione dei problemi, la priorità va data alle infrastrutture, è necessario prima di tutto rimuovere il gap di contesto nel quale si trovano le regioni del Sud rispetto al resto d’Italia.

Non basteranno, dunque, le risorse messe a disposizione dagli strumenti europei (Draghi le ha quantificate in circa 96 miliardi di euro). Bisognerà superare una mentalità e sistemi radicati, dall’illegalità alla burocrazia nociva, per portare sviluppo e investimenti stranieri.

E, infine, rivoluzionare lo stesso turismo. “Bellezze naturali, percorsi culturali e clima favorevole, dovranno tradursi in ricchezza per il Sud Italia”.

Analizzando le risorse messe a disposizione dal Recovery Plan: 34% dei fondi al Sud, cosa prevedono a rendiconto per ogni spesa? Una parte di questi fondi sono già spesi su progetti eseguiti o in esecuzioni.

Realisticamente quante risorse reali sono disponibili per nuovi investimenti e sviluppo tra 2021/ 2027? Sono pochini.

Rivediamo la ripartizione dei fondi europei proposti dal Recovery Plan nei sei pilastri del PNRR:

Missione 1 “Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura”.

Avrà a disposizione un tesoretto di 46,3 miliardi di euro e si articola in tre componenti:

Digitalizzazione, innovazione e sicurezza nella PA, che potrà contare su 11,7 miliardi,

Digitalizzazione, ricerca e sviluppo e innovazione del sistema produttivo, in cui rientra anche il Piano Transizione 4.0, con una dotazione complessiva di circa 26,5 miliardi,

Turismo e cultura, con 8 miliardi.

Ammontano a 69,8 miliardi.

Missione 2 “Rivoluzione verde e alla transizione ecologica”.

Nella versione definitiva del Piano ci sono quattro componenti sul tema:

Impresa verde ed economia circolare, con un budget pari a 7 miliardi,

Transizione energetica e mobilità locale sostenibile, che potrà contare su 18,2 miliardi,

Efficienza energetica e riqualificazione degli edifici, con 29,5 miliardi,

Tutela e valorizzazione del territorio e della risorsa idrica, con una dotazione di 15 miliardi.

Missione 3 “Infrastrutture per una mobilità sostenibile”.

Potrà contare su 31,9 miliardi, sono due i cluster da considerare. Sul fronte ferroviario, pari a 28,3 miliardi, è previsto un “consistente intervento” sulla rete, che è stato “ulteriormente potenziato nel Mezzogiorno grazie al supporto dei fondi FSC”. Mentre, dal lato dell’intermodalità, è previsto un budget di 3,6 miliardi per mettere in atto un “programma nazionale di investimenti per un sistema portuale competitivo e sostenibile”.

Da questa proposta di elaborazione del Recovery Plan, il Mezzogiorno può trarre reali risorse per tornare protagonista? Mi sembra difficile.

Missione 4 “Istruzione e ricerca”.

Vale 28,4 miliardi di euro, uno dei capitoli che nel tempo ha subito maggiori modifiche in fatto di risorse. A tal proposito, nel documento finale del Piano, la componente “potenziamento delle competenze e diritto allo studio”, che riguarda anche il contrasto alla povertà educativa e ai divari territoriali nella quantità e qualità dell’istruzione, ha a disposizione una cifra pari a 16,7 miliardi. Il secondo cluster, “Dalla ricerca all’impresa”, invece, avrà a disposizione 11,7 miliardi.

Missione 5 “Inclusione e sociale”.

Questo capitolo, la cui dotazione è pari a 27,6 miliardi, si articola in tre componenti:

Politiche per il lavoro, che potrà contare su 12,6 miliardi,

Infrastrutture sociali, famiglie, comunità e Terzo settore, con una dotazione di circa 10,8 miliardi,

Interventi speciali di coesione territoriale, con 4,1 miliardi.

Sono inseriti in quest’ultimo cluster ulteriori fondi per la ricostruzione privata e il potenziamento della ricostruzione di servizi pubblici nelle aree colpite dai terremoti del 2009 e 2016.

Missione 6 “Salute”.

È l’ultimo capitolo del PNRR e potrà contare su un budget complessivo di 19,7 miliardi di euro. Di questi 7,9 miliardi sono i fondi per la componente “assistenza di prossimità e telemedicina”, che è finalizzata a ” potenziare e riorientare il SSN verso un modello incentrato sui territori e sulle reti di assistenza socio-sanitaria; a superare la frammentazione e il divario strutturale tra i diversi sistemi sanitari regionali garantendo omogeneità nell’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza; a potenziare la prevenzione e l’assistenza territoriale, migliorando la capacità di integrare servizi ospedalieri, servizi sanitari locali e servizi sociali”.

Il secondo cluster, che riguarda “innovazione dell’assistenza sanitaria” e mira all’ammodernamento delle dotazioni tecnologiche del SSN, vale 11,8 miliardi.

Alle 6 macro-missioni, il Recovery Plan nazionale associa parallelamente tre priorità trasversali: donne, giovani e Sud. Questi i tre temi che devono essere contenuti in tutti gli obiettivi del Piano nazionale e che saranno misurati negli impatti macroeconomici, occupazionali e di indicatori BES (per misurare i livelli di benessere).

Il PNRR (piano nazionale di ripresa e resilienza) rappresenta una straordinaria occasione di rilancio degli investimenti nel nostro Paese. Oltre ai 196,5 miliardi tra grants (sovvenzioni) e loans (prestiti) previsti per l’Italia dal Recovery and Resilience Facility, che il Governo ha deciso di utilizzare integralmente, un ulteriore apporto finanziario è fornito, sempre nell’ambito di Next Generation EU (NGEU), dai 13,5 miliardi di React-EU e dal 1,2 miliardi del Just Transition Fund.

Dei fondi assegnati all’Italia per il Piano nazionale di ripresa e resilienza, una quota pari a 65,5 miliardi di euro arriverà in forma di sussidi e 127,6 miliardi di prestiti, ovvero complessivi 193,1 miliardi (a valori 2018), che il Governo ha inteso utilizzare appieno. Con le revisioni delle previsioni macroeconomiche della Commissione e il cambiamento dell’anno base per il calcolo degli importi, le risorse disponibili per l’Italia sono salite a 196,5 miliardi (a valori correnti 2019) e su questa cifra si basa ora la programmazione del Piano.

In base a quanto stabilito dalla Commissione europea, con la pubblicazione del documento sui pilastri del Next Generation EU, condiviso insieme alle nuove linee guida per accedere ai finanziamenti dello Strumento per la ripresa e la resilienza, il 70% di questi grants dovrà essere impegnato tra il 2021 e il 2022, mentre il restante 30%, dovrà essere speso nel 2023.

L’ultima versione del PNRR, rispetto alle versioni preliminari, ha cercato di conciliare due esigenze opposte: allargare la fetta della torta per gli investimenti pubblici, portandola al 70%, riducendo ulteriormente quella dedicata ai sussidi, ma senza sfondare le linee di deficit e debito scritte nei tendenziali di finanza pubblica.

Per accedere alle risorse del Recovery Fund, gli Stati membri devono presentare le proposte di Piani nazionali di ripresa e resilienza strutturate coerentemente con gli obiettivi del Green Deal e con le raccomandazioni specifiche per ogni Paese espresse nel processo del Semestre europeo.