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Rabbia e frustrazione, non raptus, nella violenza maschile sulle donne

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di Loan

Il pensiero e la pratica femminista ha generato la ricerca sociale sulla violenza di genere, non solo l’aberrazione estrema del femminicidio ma tutto il complesso delle aggressioni, delle violenze fisiche e psicologiche che le donne subiscono nell’intero corso della loro vita.

Il dramma della violenza maschile sulle donne assume varie forme ma è sempre un problema di carattere pubblico, che va guardato in faccia nella sua reale dimensione, quella di un atteggiamento dei maschi, più o meno consapevole, che tende a mantenere una struttura sociale fondata su rapporti di potere diseguali, l’antica condizione del maschio in posizione di privilegio e la donna in stato di subordinazione, incompiutezza, debolezza, dipendenza.

È vero, da anni ormai le donne hanno intrapreso un percorso, sia di lotta che di autocoscienza, che ha consentito loro di emergere dall’invisibilità e di squarciare il velo del silenzio su comportamenti maschili che sono radicati in modo profondo nella tradizione, nei valori dominanti, in qualche caso perfino nella legge, ciò che le donne chiamano “cultura patriarcale”.

La soggettività femminile, nella società occidentale, ha raggiunto un livello di emancipazione tale da cancellare una subordinazione sociale che ancora in tempi recenti appariva scontata. Ma per il raggiungimento di questo traguardo le donne hanno pagato, continuano a pagare giorno per giorno, un prezzo ancora troppo elevato, umanamente, socialmente, politicamente, moralmente insopportabile. È il prezzo della violenza di un maschio disorientato, incapace di adattarsi alla perdita di un ruolo dominante.

Nella violenza del maschio sulla donna nelle relazioni intime e nella sfera privata entrano in gioco gelosia e senso del possesso, ma io ritengo che ad agire nel profondo fino alla perdita dell’autocontrollo sia la frustrazione per la perdita del ruolo, dell’identità socialmente costruita, della tradizionale rappresentazione simbolica delle figure di maschio e femmina.

La rappresentazione della violenza in famiglia come conflitto tra coniugi ha lasciato il campo alla consapevolezza di una violenza orientata e sessuata, ma il salto di qualità compiuto dalla ricerca femminista verso un progetto di trasformazione collettiva e di emancipazione di tutte le soggettività subalterne consente oggi di ripensare il paradigma della violenza sulle donne nel quadro di una sovversione dell’ordine di genere dominante, affermando che l’uguaglianza sostanziale tra le persone passa dal dare voce e visibilità alle differenze, una prospettiva nuova rispetto al femminismo storico.

Impegno e approfondimento andranno avanti, ma i tempi sono maturi per un più deciso intervento del legislatore italiano. Intanto dedichiamo il 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza maschile sulle donne, a spazzare via una volta per tutte l’interpretazione dei fenomeni di violenza come raptus.