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Quindici anni fa moriva Pantani. La vita in salita del "Pirata"

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Un tornante e una bandana che vola in aria. Poi la scatto secco sulla bici per “abbreviare l’agonia”, gli avversari fermi sempre più piccoli e l’arrivo solitario al traguardo: così milioni di appassionati ricordano ancora Marco Pantani, uno dei più grandi scalatori di tutti i tempi. Fu trovato morto a soli 34 anni, il giorno di San Valentino del 2004, in un anonimo residence di Rimini. La fine di una vita ‘in salita’ segnata da trionfi e cadute. Con gambe d’acciaio, l’agilità del felino e un cuore immenso domò il Mortirolo, l’Alpe d’Huez, il Galibier.

Esordì da bambino come ala destra nel calcio ma il colpo di fulmine fu per le due ruote. Iniziò per gioco pedalando sulla bicicletta di mamma Tonina fino a guadagnarsi una ‘poltrona’ nell’Olimpo conquistando in un solo anno (il 1998) Giro e Tour. Nato sul mare parlava alle montagne. “Quando stacchi tutti e arrivi da solo, la vittoria ha il sapore del trionfo”; “la fatica in montagna per me è poesia”: diceva di sè il ‘Re delle salite’.

Mingherlino, cranio rasato, orecchie grandi, sguardo profondo, lo scalatore di Cesenatico, assaggiò non solo vittorie ma anche il cemento perché ‘baciato’ più volte dalla sfortuna. In pieno allenamento per il Giro d’Italia, nel maggio 1995 fu investito da un’auto così da puntare sul Tour dove il 12 luglio conquistò la sua prima Alpe d’Huez con una fuga di oltre 40 chilometri ed un attacco a 13 chilometri dalla vetta. Nell’autunno dello stesso anno lo scontro frontale con una jeep in contromano durante la Milano-Torino. Rimediò una frattura alla tibia e al perone.

Consacrazione e declino

Poi il recupero e di nuovo la mala sorte: un gatto bianco attraversò la strada, nel maggio 1997, sulla discesa del valico di Chiunzi (Salerno): cadde, finì la tappa del Giro ma ne uscì malconcio dovendo poi abbandonare la corsa. Tempo qualche mese, ed eccolo di nuovo in sella per il Tour dove si fece apprezzare dai francesi lottando a lungo per la maglia gialla. La consacrazione arrivò nel 1998 con la doppietta maglia rosa e maglia gialla. Marco Pantani entrò nella storia. Via il berrettino, via la bandana, via l’orecchino: immagini di un campione mai dimenticato. Poi il declino.

“Non sono dopato, ho la coscienza pulita. Mi sento stritolato in un sistema che non riesco a comprendere. Mi sono rialzato, dopo tanti infortuni, e sono tornato a correre. Questa volta, però, abbiamo toccato il fondo”: parole, dense di amarezza, testimoni dell’inizio della discesa sportiva e umana per lo scalatore romagnolo. Già con un piede sul primo gradino del podio, con la maglia rosa ‘incollata’ addosso fu fermato a Madonna di Campiglio per un valore di ematocrito oltre i limiti consentiti. Era il 5 giugno 1999.

“Un’enorme ingiustizia. Fu un complotto”: ripetono a distanza di anni parenti e amici. Il ‘Pirata’ iniziò a morire in quel momento. Tornò a correre nel 2000 ‘zoppo’ non tanto nel fisico quanto nel morale. Solo ‘fiammelle’ ben lontane dalle storiche scalate del campione. Marco morì il 14 febbraio 2004 per un’overdose di cocaina e psicofarmaci. Ai funerali furono letti dalla sua manager e amica alcuni appunti scritti da Pantani stesso sulle pagine del passaporto: “Sono stato umiliato per nulla. I sogni di un uomo si infrangono sulle droghe, ma solo dopo la vita da sportivo. La mia speranza è che le regole siano uguali per tutti”.

Vedi: Quindici anni fa moriva Pantani. La vita in salita del "Pirata"
Fonte: sport agi


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