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"Questo non è un racconto", l'incontro mancato tra Sciascia e Leone

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AGI – A cent’anni dalla nascita vengono pubblicati per la prima volta tre soggetti per il cinema inediti di Leonardo Sciascia. Si tratta di dattiloscritti senza firma ma certamente attribuibili allo scrittore siciliano scomparso nel 1989 che vengono pubblicati nel volumetto “Questo non è un racconto” a cura di Paolo Squillacioti (Piccola Biblioteca Adelphi, pagg. 170 – euro 13,00). I tre testi sono stati segnalati da Vito Catalano, nipote di Sciascia nel contesto di altre simili iniziative dedicate al cinema e alla televisione, ma sono solo bozze se non addirittura idee messe per iscritto, ben lontane da diventare un soggetto cinematografico. 

Per Carlo Lizzani

Il primo manoscritto, quello più completo, è sicuramente stato scritto per Carlo Lizzani nel 1968. Questi aveva chiesto a Sciascia, insieme al produttore Dino De Laurentiis, di scrivere un soggetto sulla storia di Serafina Battaglia, che aveva sfidato la mafia nelle aule giudiziarie per far arrestare gli assassini dl figlio. Sciascia aveva messo giù un breve soggetto di 9 pagine dattiloscritte a cui si affiancava un testo di 17 pagine contenente la ricostruzione della vicenda, ma non aveva intenzione di andare oltre. E per questo si creò un malinteso con Lizzani e il produttore che dichiararono ai giornali che Sciascia avrebbe scritto la sceneggiature del film. 

Per Lina Wertmuller

Ancor più vago è il secondo testo ‘riscoperto’ da Catalano: quattro paginette risalenti alla primavera del ’68 che raccontando di due giovani, un ragazzo e una ragazza, che assistono a un omicidio di mafia che stravolge le loro vite. In questo caso l’incertezza è massima: dato per buono che si tratti di opera di Sciascia (anche qui non c’è firma), manca un riferimento del destinatario. Catalano ipotizza si tratti di Lina Wertmuller, che effettivamente lo scrittore siciliano incontrò nella sua casa palermitana. A sostegno di questa tesi c’è la stessa Wertmuller che gli scrisse una lettere a maggio 1970 in cui lo informava che “la cosa nata per un film – ricorda quelle pagine che lei gentilmente mi buttò giù in un pomeriggio? – si è completamente trasformata”. Anche se lo stesso nipote dello scrittore siciliano avanza la possibilità che si tratti di “un’idea che buttò giù e poi lasciò perdere”  piuttosto che una bozza di soggetto vero e proprio. 

Per Sergio Leone

Più interessante di tutti questi testi inediti, poi, è il terzo scritto per il cinema: si tratta di una testimonianza della collaborazione che poteva essere e non è stata con Sergio Leone, di cui esiste anche una bozza di contratto per la sceneggiatura di ‘C’era una volta in America’ datata 8 marzo 1972. Prima di incontrare il regista romano andato a Palermo per lui, Sciascia scrisse un dialogo tra l’autore /se stesso) e un ipotetico assistente del regista: 17 pagine dattiloscritte (e senza firma) in cui lo scrittore siciliano mette giù idee e dubbi sulla storia che Leone vuole raccontare. Dalla prima frase di questo testo, “Questo non è un racconto” (che prosegue così: “L’incipit è di Diderot’. “Lo so. Volevo dire: questo non è un racconto, ma un soggetto per un film”. “Ah, un soggetto”. “A pensarci bene, non è nemmeno un soggetto”. E poi prosegue), prende il titolo il libro pubblicato da Adelphi. Nel testo si possono ripercorrere le direttive che in parte seguirà Leone per raccontare la sua epopea americana a partire dal “vecchio gangster che ha smesso di uccidere da parecchi anni ma che torna ad uccidere, ma positivamente…”.

Un dialogo interessante che diventa ancor più potente se si pensa al capolavoro di Sergio Leone, che però rimane l’unica testimonianza di una collaborazione mai nata. Sciascia infatti incontrò il regista e, secondo testimonianze credibili – Vincenzo Consolo e Roberto Andò – si scontrò con l’esuberanza del regista che gli parlava come se fosse un suo collaboratore. Invitato da Leone a Villa Igea, a metà pranzo lo scrittore si alzò e se ne andò dicendo che la collaborazione non gli interessava. Fine della storia.  

Sciascia e il cinema

Questi tre soggetti diventano emblema di un rapporto difficile tra Sciascia e il cinema. Un rapporto che non ha mai visto lo scrittore siciliano riuscire a concretizzare una collaborazione con alcun regista, andandoci vicino a più riprese: tra le collaborazioni mancate spiccano quelle con Alessandro Blasetti, Andrea Camilleri, Gianni Grimaldi, Elio Petri, Michelangelo Antonioni, Roberto Rossellini, Florestano Vancini. Una situazione difficile da immaginare, se si pensa a quanto il cinema abbia preso da Sciascia: da ‘Il giorno della civetta’ di Damiano Damiani a ‘Cadaveri eccellenti’ di Francesco Rosi, da ‘A ciascuno il suo’ e ‘Todo modo’ di Elio Petri a ‘Porte aperte’ e ‘Una storia semplice’ di Gianni Amelio, solo per citare i più famosi.

Eppure Sciascia, grande amante del cinema americano da ragazzo, iniziò a disertare le sale negli anni ’60. Faceva eccezione solo per l’amato Federico Fellini. Eppure continuava a scrivere di cinema. E nel volumetto pubblicato ora da Adelphi sono raggruppati suoi interventi (per lo più mai raccolti in un libro) in occasione di alcuni eventi particolari: i 100 anni di Eric von Stroheim (1985), la morte dell’amatissimo Renè Clair (1981) o di Buster Keaton (1966), l’uscita del film ‘Il bell’Antonio’ di Mauro Bolognini nel 1960 (“Non ci è mai capitato di essere d’accordo con la censura, e di rimpiangere anzi che la censura sia così imprevedibilmente di manica larga”).

Testimonianze importanti che, assieme ad altre che riguardano trasposizioni cinematografiche di suoi libri – ‘Todo modo’ e ‘Cadaveri eccellenti’ oggetto di censura e accuse politiche da parte della Dc – offrono un aspetto inedito di questo scrittore che è giustamente considerato uno dei massimi intellettuali del Novecento il cui acume e la cui lucidità non saranno mai abbastanza rimpianti.

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Fonte: cultura agi


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