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Quella passione un po’ morbosa per le case museo

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Trasformare l’abitazione di un personaggio famoso o di una famiglia in uno spazio aperto al pubblico. Forse la forma espositiva più diffusa, in Italia ma anche all’estero

AGI – “Abitare la storia”. È il principio preminente della casa-museo e delle dimore storiche in sé. Funzione che si fonda sulla trasformazione dell’abitazione di un personaggio famoso o di una famiglia in museo aperto al pubblico. Forse la forma espositiva più diffusa, in Italia ma anche all’estero.

A Roma se ne contano ufficialmente undici di case-museo, a Milano ne sono censite quattro ma in giro per l’Italia ce ne sono ben 51, per esempio, sono le sole “dimore storiche” nella disponibilità del Fai, il Fondo per l’Ambiente italiano.

Nella capitale troviamo la Keats-Shelley House affacciata direttamente sulla scalinata di piazza di Spagna, dove poi, al n. 31 c’è anche casa De Chirico, dove il pittore metafisico ha vissuto gli ultimi trent’anni della sua vita. E ancora: casa Goethe, il museo Pietro Canonica, la casa museo di Alberto Moravia sul Lungotevere della Vittoria 1, dietro la Rai di viale Mazzini, lo studio di Luigi Pirandello, villino del primo ‘900 in via Bosio 138, il museo Hendrik Christian Andersen, l’atelier del pittore Francesco Trombadori, la casa museo Giacinto Scelsi dinanzi al Foro Romano con ancora il pianoforte suonato dal Maestro, la casa museo Mario Praz e il museo Fondazione dello scultore Venanzio Crocetti. Ma poi c’è anche la recente casa del pittore Balla, villa Alberto Sordi a Caracalla ma anche casa Bellonci, sede del Premio Strega. Sempre a Roma è stato proposto che il Comune acquisti la casa di Pier Paolo Pasolini dove il poeta ha abitato, tra Rebibbia e Ponte Mammolo.

A Napoli c’è casa Caruso, “il tenorissimo”, a Siracusa Casa Vittorini, a Ravenna casa Dante, a Rimini la casa museo Federico Fellini, a Ghilarza, in Sardegna, casa Gramsci, a Catania casa Verga, a Ponte di Piave, in provincia di Treviso, il museo Parise, a Racalmuto persino la casa museo delle zie di Sciascia; a Gardone Riviera, in provincia di Brescia, c’è il Vittoriale, la casa museo del poeta Gabriele D’Annunzio, che nel solo e lontano 1981 è stata visitata da oltre 253 mila persone.

E a Venezia la casa davvero museo d’arte internazionale di Peggy Guggenheim, sul Canal Grande, dove la grande collezionista americana ha abitato e che oggi è la sede espositiva dell’omonima Fondazione. Sempre in laguna, Palazzo Fortuny. Si potrebbe continuare ancora con le dimore di due ex presidenti del Consiglio, ad esempio, De Gasperi a Pieve Tesino in Trentino, e Spadolini a Pian dei Giullari sulla zona collinare di Firenze.

Di case-museo ce n’è per tutti i gusti lungo la penisola. Segno che le residenze dei personaggi storici diventano luogo di “mediazione culturale”, nel quale si possono vedere e visitare gli oggetti, le opere, gli spazi e rivivere la vita del personaggio tramite percorsi tematici.

Con un’intrinseca forza di autenticità, la vocazione principale di questi luoghi consiste “nel creare una relazione diretta tra l’ex-abitazione, il luogo e il personaggio facendo rivivere l’atmosfera e lo spirito del tempo”. In alcuni casi, come casa Moravia, tutto è rimasto intatto come l’ha lasciato lo scrittore al momento della morte. Tavolo in disordine, fogli sparsi, libri aperti.

Petrosino e Diotallevi, il poliziotto e il boss

Ma cosa porta ad istituire una casa-museo? Ciò che rende eccezionali le case museo “è la loro capacità di rappresentare la vita, le tradizioni e i valori non solo di chi ci abitava, ma anche della società in cui il padrone di casa viveva”, si legge sul sito del Mic, il Ministero della Cultura, perché “visitare una casa museo è un’esperienza affascinante. Tutto, in una casa museo, diventa parte del percorso espositivo: mobili, quadri, libri, oggetti di uso personale e quotidiano”.

Alcune di loro si configurano come musei veri e propri, promuovono attività culturali e sono regolarmente aperte al pubblico, altre sono visitabili invece solo su appuntamento. Sono meta di ricercatori, studiosi, che si immergono per ore nelle biblioteche a disposizione a leggere e prendere appunti.

Una ricerca sul ‘900 letterario non può prescindere da una full immersion nella biblioteca di Alberto Moravia, per esempio. Molto spesso sono visitate per curiosità di singole persone o di gruppi di appassionati oppure, ancora, sono meta di scolaresche che si avvicinano alla scoperta e allo studio delle opere dei personaggi attraverso le loro case, le loro abitudini.

Negli ultimi due anni della pandemia molte case museo sono rimaste chiuse alle visite per evitare contatti e contagi di gruppo mentre alcune tra loro hanno trasferito sul web alcuni incontri e seminari. Ma non è stato affatto la stessa cosa, perché è venuto meno l’impatto emotivo con il luogo e gli oggetti appartenuti ai loro abitanti. L’appeal s’è rivelato di minore intensità.

Molti di questi luoghi si trovano poi a dover fare i conti con problemi amministrativi, a partire dai finanziamenti che spesso dipendono da Regioni o Comuni, sempre più alle prese con scarsa la disponibilità finanziaria. Ma poi ci sono anche istituzioni più ricche: nel 1998 il Vittoriale di D’Annunzio ha affrontato restauri per 700 milioni di lire dell’epoca ma con il lockdown del 2020 ha dovuto fare i conti invece con una perdita secca di un milione e 200 mila euro in mancate visite.

Le case non si contano: c’è casa del grande Toscanini a Parma, di Manzù ad Ardea, di Pavese a Santo Stefano Belbo, vicino a Cuneo, del Bellini a Catania, del generale Graziani a Frosinone, di Ennio Flaiano a Pescara, di Giulietta a Verona, quella dei fratelli Cervi, martiri della lotta al fascismo, di Federico Zeri, critico d’arte, a Mentana, fuori Roma, e persino la casa di Joe Petrosino, famoso poliziotto italo-americano a Padula, in provincia di Salerno, la casa di Giacomo Matteotti al quartiere flaminio a Roma, Modigliani a Livorno, poi chiusa per un bisticcio tra gli eredi, quella della poetessa Alda Merini, poi chiusa per mancanza di fondi.

Infine anche la casa-museo dell’ex boss della Banda della Magliana Ernesto Diotallevi a Fontana di Trevi, non certo aperta al pubblico, ma conteneva preziosi quadri e collezioni di Giacomo Balla, Mario Schifano, Sante Monachesi, Franco Angeli, Norberto Proietti, Ana Maria Laurent, Antonio Balbo, dipinti della Scuola romana, campana e francese dell’800 e del ‘900 oltre a mobili di antiquariato di ingente valore. Frutto di ricettazioone.