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Quel lato oscuro della scuola.

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La Pedagogia è protagonista di questo processo, insieme alla Psicologia e alla Sociologia, perché uno studente è una persona in crescita, con la complessità dei suoi processi psicologici ed è parte integrante del suo ambiente: l’insegnante deve potersi muovere bene in mezzo a tutto questo, se vuole assicurare il successo formativo ai suoi alunni, ma soprattutto farne uomini e donne di valore.

di Ettore Minniti

La scuola è composta da più elementi: l’immobile sede dell’istituto scolastico, la dirigenza, il personale ATA o amministrativo, gli alunni/studenti, i rappresentanti di classe o istituto, in qualche modo i genitori, e poi ci sono loro: gli insegnanti.

Ma chi sono gli insegnati? Sono solo persone di cultura che amano studiare e che amano questa professione? O dietro la loro quotidiana disperazione, per una scuola che affoga nella burocrazia e nella poca attenzione della politica, c’è dell’altro?

Abbiamo intervistato la professoressa Anna La Mattina di Cinisi, in provincia di Palermo, una docente in prima linea nell’affrontare le difficoltà oggettive in una scuola del sud, collaboratrice volontaria del nostro Quotidiano.

  1. Professoressa La Mattina si sente spettatore o parte attiva di un processo, come quello scolastico che dovrebbe prevedere per il docente il riconoscersi come soggetto, come co-autore, protagonista dell’apprendimento dei giovani studenti?

Sicuramente, nello specifico del mio lavoro con gli studenti, mi sento parte più che attiva. Non si può certamente dire lo stesso dei processi che “regolano” tutto il meccanismo scolastico di questi ultimi tempi.

  1. Come interagisce come docente con i ragazzi? Riesce ad instaurare con loro una relazione costitutiva dell’esistenza e della conoscenza, pedagogicamente orientata?

L’interazione tra me e i miei studenti è l’unico motore che ogni mattina mi dà la forza di andare avanti nel mio lavoro di insegnante (in-segnante è colui che lascia il segno dentro qualcun altro). La relazione è fondamentalmente umana ed è fatta, tra le altre cose, del dovere di tramandare le conoscenze e i saperi acquisiti attraverso le generazioni e favorire l’acquisizione delle competenze professionali scelte, attraverso i vari percorsi formativi.

La Pedagogia è protagonista di questo processo, insieme alla Psicologia e alla Sociologia, perché uno studente è una persona in crescita, con la complessità dei suoi processi psicologici ed è parte integrante del suo ambiente: l’insegnante deve potersi muovere bene in mezzo a tutto questo, se vuole assicurare il successo formativo ai suoi alunni, ma soprattutto farne uomini e donne di valore.

  

  Anna La Mattina

3. Diciamolo, a denti stretti, forse è colpa di una concezione ancora tradizionale e autorefenziale di alcuni docenti se, come hanno dimostrato gli ultimi rapporti Invalsi e Ocse-Pisa, vi è un progressivo peggioramento delle competenze dei nostri studenti. In un caso su due si esce dalle aule senza le competenze di base in italiano, matematica e (in parte) inglese. In alcune aree del Sud e nelle realtà familiari svantaggiate, la situazione è peggiore?

Io sarò più esplicita: il progressivo aumento dell’ignoranza, presso le nuove generazioni è colpa di un sistema-scuola che non funziona, ma temo che questa sia una scelta politica, più che un caso o semplicisticamente colpa degli insegnanti.

Alunni e professori sono finiti nello stesso tritacarne del sistema che vuole fare tutto e non fa nulla! Molti progetti, molta formazione, ma il tempo della scuola rimane sempre lo stesso, le strutture non sono adeguate ad accogliere un lavoro di applicazione intellettuale; non si prevedono mense, i costi della scuola dell’obbligo sono a carico delle famiglie, sempre più povere di denaro, ma anche di tempo da dedicare ai propri figli, a causa di lavori sempre più precari e inadeguati al sostentamento familiare…. E come dice il Prof. Umberto Galimberti, i giovani sono sempre più disorientati in un contesto sociale del genere, e preferiscono vivere di notte, piuttosto che di giorno, dove nessuno li considera parte di un futuro che non avranno mai, probabilmente, nel nostro Paese! altro che colpa della “concezione tradizionale e autoreferenziale” degli insegnati… se dipendesse da questo, con tutta questa formazione a buon prezzo, avremmo già risolto.

4.      Lei si sente più docente o psicologa tenuto conto che dovrebbe comprendere i ragazzi nelle loro “persecuzioni” e fragilità?

Il docente è un insegnante e credo si debbano rispettare i ruoli. Lo psicologo fa altro e in altro luogo, anche a scuola, ma fuori dall’aula; tuttavia, avere una formazione psico-pedagogica favorisce senz’altro la buona relazione docente-discente e quindi aiuta a capire le problematiche interiori dei propri ragazzi, che spesso determinano le difficoltà dell’apprendimento.

5.     Come ha vissuto la DAD e tutto il periodo pandemia?

Male. Ovviamente! abbiamo dovuto improvvisare tutto; però è stato l’unico modo per non perdere del tutto i contatti con gli studenti, sia pure con mille problemi e tanti limiti. Inoltre, bisogna ricordare al Paese che la DAD, in quel marzo 2020, l’abbiamo “inventata” letteralmente noi docenti: l’abbiamo messa in piedi, per non perdere la continuità didattica e non lasciare buchi, che sarebbero diventati voragini, se non ci fossero stati i mezzi informatici a supportare la didattica a distanza. Ma di questo non ha mai parlato nessuno. Noi lo sappiamo perché l’abbiamo vissuto sulla nostra pelle e su quella dei ragazzi.

In Dad ci siamo dovuti misurare anche con alunni che sono caduti in depressione, che non volevano uscire dalla loro stanza neanche per consumare i pasti, figuriamoci per collegarsi con il telefonino per “fare” scuola a distanza.

6.    Dica la verità si sente discriminata rispetto ai suoi colleghi europei che hanno stipendi più alti e migliore tutela giuridica?

La verità è sotto gli occhi di tutti… non c’è bisogno di dirla: si sa che gli stipendi degli insegnanti italiani sono paragonabili a quelli di un qualsiasi impiegato, talvolta anche senza il diploma. Di contro ci viene chiesto sempre di più, sul piano della burocratizzazione del lavoro.

Ritengo questo offensivo ed inaccettabile, specialmente oggi! Penso che questo sia uno degli effetti dell’Autonomia scolastica, che ha fatto della Scuola Pubblica un’azienda, con utenti che sono diventati clienti da accontentare, con vertici superpagati e la base che deve accontentarsi delle briciole. Ma non può funzionare così: trattasi di personale altamente qualificato, grazie al possesso della laurea e di formazione permanente, che costa tempo e denaro.

7.    Il rinnovo del contratto crocevia d’autunno per il mondo della scuola. Cosa vi aspettate che sindacati e Governo possono concedere agli insegnati, tenuto conto che vi è il solito nodo delle risorse, che per voi sono solo elemosine?

Governo e sindacati non devono concedere nulla agli insegnanti, tantomeno le briciole: è il concetto di fondo che è profondamente sbagliato; si ritorna al rispetto dei ruoli: il Governo deve disegnare una politica a difesa del proprio sistema dell’istruzione e dell’Educazione (altrove in Europa e nel mondo esistono i Ministeri per l’Educazione… cosa che dai noi non riusciamo neanche ad immaginare, pur riempiendoci la bocca della parola Pedagogia, nella sua accezione demagogica, ovviamente!), dimostrando così che tiene a cuore lo sviluppo del proprio popolo, la continuità culturale e il tramandare i saperi che tengono in piedi la nostra società.

8.   Lei è stata molto critica nei confronti del ‘docente esperto’, conferma questa sua opinione?

Assolutamente sì! La scuola italiana ha bisogno di soluzioni serie, di una ristrutturazione profonda e non di pseudo-soluzioni. Siamo agli ultimi posti in Europa per l’incapacità a comprendere un testo. e questa la dice lunga, non sulla presunta incapacità dei docenti, ma sulla società italiana in generale, decadente, senza prospettive per il futuro dei giovani, senza capacità progettuali, al pari degli altri Paesi europei e non.

9.  Ritiene che occorra ‘formare di più e meglio gli insegnanti’, ovvero si può ipotizzare una nuova e più moderna didattica?

Gli insegnati sono super formati di questi tempi, sottraendo loro del tempo prezioso per organizzare il lavoro per i propri studenti. Siamo diventati un fenomeno da baraccone, ai quali non si pensa più come professionisti già formati dalle università degli Studi del nostro Paese, taluni laureati anche all’estero, con master e specializzazioni varie, che ognuno ha già fatto per conto proprio, durante la propria carriera. In realtà, lo sappiamo tutti: dalla legge 107/2015 in poi, l’industria della formazione ha avuto uno sviluppo notevole e così ci si inventa i bisogni formativi della categoria… peccato che a fronte di cotanta super formazione, non corrisponda l’effettiva evoluzione della preparazione dei ragazzi: ciò, a mio modesto avviso, perché si produce un enorme sperpero di tempo e di denaro, che spreca la vera formazione pre-acquisita dai docenti, della quale gli studenti non possono beneficiare. Discorso a parte è l’evoluzione tecnologica, che necessita di formazione, ovviamente, ma quella è legittima e fuori discussione.