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Quel 23 Maggio del 1992. Fra sconforto e rabbia. Il teatro in prima linea per non dimenticare

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di Salvo Valentino – Attore

Il ricordo di trent’anni fa, di quel 23 maggio 1992, è sempre vivo nella mia memoria. Un sabato che aveva già i colori ed i profumi dell’estate, squarciato dal fragore di una bomba posizionata all’altezza di Capaci. L’auto su cui viaggiavano il giudice Giovanni Falcone e sua moglie, il magistrato Francesca Morvillo e quelle degli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo ed Antonio Montinaro saltarono per aria, in un boato di morte. Porto sempre con me quel senso di sconforto misto a rabbia che mi prese all’annuncio della notizia in TV. Ed è sulla scia di quella sensazione che scrivo queste righe, pensando a quanto ci sia ancora da fare per dare un senso ad un sacrificio di vite così dissolte dalla mafia. Credo fermamente nell’impegno sociale e morale di ogni artista. L’opportunità che ho di fare teatro, malgrado il momento storico così drammatico per il nostro settore, mi dà la possibilità di parlare e comunicare con moltissimi bambini ed adolescenti che trent’anni fa non erano nemmeno nati. Bisogna partire da loro, dalle loro coscienze in formazione, dall’educazione da impartire che non deve mai perdere di vista, per nessun motivo, il senso profondo della giustizia e della legalità. Il teatro, spesso, ha una funzione culturale e formativa nel nostro tessuto civile. Toglie via dalle strade minorenni che potrebbero facilmente cadere nelle maglie della delinquenza organizzata. Allarga le menti sempre più chiuse ed ottuse da indigestioni di Internet e videogame che declinano continuamente un linguaggio violento ed aggressivo. Protegge il senso profondo della comunità attraverso la sacralità del rito, nel rispetto dell’ armonia tra gli uomini e dell’ aequitas. Questa la nostra funzione. Ed il nostro ruolo di comunicatori e formatori prende perfetta aderenza nella celebre frase di Falcone: “Gli uomini passano, le idee restano, restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini”. Questo messaggio si adatta perfettamente al compito dell’arte, un compito preciso e fermo da continuare di generazione in generazione. Ecco perché dobbiamo parlare di chi ha sacrificato la propria vita in nome di alti e nobili ideali, spesso traviati e troppo spesso dimenticati. Senza retorica, senza eccessi. In modo semplice, chiaro, diretto come il teatro sa e riesce a fare. Stando a contatto con la gente, nelle scuole, nelle associazioni e nei circoli culturali, nelle sale teatrali che anche per questo, devono ritornare a vivere!

Salvo Valentino.