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Quei momenti che fanno vincere (o perdere) una finale NBA

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Nel basket ci sono momenti che in un attimo possono cambiare il corso degli eventi. In qualche caso anche della storia. A Toronto, questo notte, si è giocata gara 5 delle finali NBA ed è stata piena di quei momenti. Valeva tanto, tantissimo. Il primo titolo per i canadesi; il primo passo di una clamorosa rimonta per gli americani.

A 9 minuti e 50 secondi alla fine del secondo quarto piomba improvvisamente il silenzio. È il primo di quei momenti. Lo sanno tutti. I giocatori in campo, i tifosi in tribuna, quelli che stanno a casa, davanti al televisore. Kevin Durant attacca la difesa di Toronto, si arresta mettendo tutto il peso del corpo sul polpaccio infortunato. È un attimo che dura dieci secondi. Il giocatore del Maryland si ferma, perde il pallone, si trascina per qualche passo tenendo la caviglia alzata da terra e infine si accascia sul caldissimo parquet canadese. Per lui, è finita. Sono gli applausi a ribadirlo, mentre esce di scena. La stella dei Warriors ha provato a far parte di questa partita, di questa serie e per 12 minuti c’è riuscito: 11 punti, 3/3 da tre, 2 rimbalzi. Quel bentornato KD scritto su twitter è durato davvero poco.

L’inizio di Golden State e dei “big three” è stato impressionante. O forse siamo noi che nelle ultime settimane ci eravamo dimenticati della potenza di quella macchina offensiva perfetta che, negli ultimi anni, è stato il marchio di fabbrica di Steve Kerr e del suo staff. Cinque triple realizzate su cinque tentativi con i primi 24 punti di Golden State segnati esclusivamente da Curry, Thompson e Durant. Zero errori, tre tenori, una pallacanestro fantastica. Toronto è rimasta aggrappata alla partita con i suoi veterani e con i tiri liberi: Gasol, Lowry e Leonard. Siakam, futuro della franchigia, ha patito l’atmosfera e la pesantezza che match del genere conferiscono al pallone. Golden State, in fondo, ha condotto per più di 40 minuti. Toronto ha tirato malissimo dal campo ma è rimasta lì, a lottare, senza riuscire a fare quell’ultimo passetto per ricucire distanze e umori.

Poi, come detto, ci sono i momenti. Quelli davvero decisivi possono durare più di qualche secondo. Quello che ha visto come protagonista Kawhi Leonard è durato un minuto, a metà dell’ultimo quarto. Due triple, due canestri in penetrazione: dieci punti da maestro del gioco dopo una partita orribile al tiro e nelle scelte offensive. Una pennellata di classe su uno sfondo opaco. Toronto sorpassa, finalmente. È una liberazione. Sembra tutto perfetto. Prima la sofferenza, poi il delirio. Prima il pianto, poi la festa. Ad un certo punto un paese intero si ritrova a intravedere la linea di un traguardo dai contorni ancora sfocati ma che sembra prendere forma. Ma è ancora troppo in fondo, troppo lontano per poter rilassarsi. La volata deve ancora iniziare La ScotiaBank Arena però è esplosa in un entusiasmo difficile da contenere. C’è chi ha già apparecchiato la tavola per gustare quella che sembra ormai una vittoria. Ma i momenti sono così. A volte illudono.

Questa è la NBA. Anzi, è la finale NBA. Ovvero la finale del più importante campionato di basket del mondo. E i Warriors sono forse la squadra più forte di tutti i tempi. Quella che di momenti così ne ha vissuto, creato, subito a dismisura nelle ultime stagioni. Tripla di Thompson, tripla di Curry, tripla di Thompson. Solo la retina si muove in un palazzetto paralizzato e sorpreso. Sono nove punti che stravolgono ancora inerzia e partita. Così si entra nell’ultimo minuto di gioco, punto a punto. In attesa di un altro momento. L’ultimo.

A quindici secondi dalla fine Toronto ha nelle mani il tiro del pareggio o della vittoria. Quello che vale una partita, una serie, una stagione. Tutto. È il momento di Leonard, l’uomo arrivato in Canada per trasformare questo sogno in realtà. L’uomo con la valigia pronta e che, quest’estate, deciderà se disfarla o ripartire per altri lidi. Nessuno crede veramente alla prima opzione. Ma Golden State cancella quell’epilogo di festa, quello scritto apparentemente nel destino. Lo raddoppia costringendo il pallone a passare per altre mani. Diventa il momento di Kyle Lowry. Non è una cattiva seconda opzione. Lui a Toronto è arrivato sei anni fa e, a meno di terremoti inaspettati, ci rimarrà anche il prossimo anno. È un metronomo, un leader, un punto di riferimento. Il tiro però è cortissimo, storto, brutto. Non gli rende onore. Alla fine, almeno, per stanotte, è ancora il momento dei Warriors. Anche senza Durant.

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Fonte: sport agi


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