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Principio di insularità, modifica dell’art. 119 della Costituzione

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Stabilito un principio di equità, eliminando quella distanza naturale dovuta al mare e alla discontinuità territoriale. Una condizione che ha una ripercussione sull’intero sistema produttivo che riguarda sia il mondo delle attività produttive, sia quello energetico

di Ettore Minniti

Approvato, in quarta lettura, il principio di insularità in Costituzione, inserito nell’articolo 119, quindi da adesso è legge.

Il riconoscimento dell’insularità nasce dall’esigenza di un pieno riconoscimento istituzionale e costituzionale della situazione di difficoltà delle isole.

Con la riforma, nell’articolo 119 della Costituzione, dopo il quinto comma, si inserisce la previsione: «la Repubblica riconosce le peculiarità delle Isole e promuove le misure necessarie a rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità».

È la prima riforma costituzionale di iniziativa esclusivamente popolare nella storia della nostra Repubblica. Un’iniziativa trasversale cui hanno aderito sia i vari schieramenti politici, sia il mondo degli intellettuali, dei giuristi e delle imprese.

Finalmente, era ora!

È una questione che riguarda 7 milioni di italiani”, ha dichiarato l’onorevole Eugenio Saitta, M5S, “si deve colmare un gap che richiede misure specifiche in grado di non lasciare indietro le comunità isolane, ma necessario anche per tutelare e valorizzare questi territori. Con l’approvazione di questo principio fondamentale nella nostra Carta Costituzionale, lo Stato sarà chiamato ad adottare misure specifiche per garantire l’uguaglianza di tutti i cittadini”.

Si stabilisce così un principio di equità, eliminando quella distanza naturale dovuta al ‘mare’ e alla discontinuità territoriale. Una condizione che ha una ripercussione sull’intero sistema produttivo che riguarda sia il mondo delle attività produttive, sia quello energetico.

Tre saranno gli interventi cui il legislatore, con urgenza, dovrà porre per “promuove le misure necessarie a rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità”: trasporti, infrastrutture ed energia.

Non tutto è immediatamente realizzabile, occorrono i provvedimenti attuativi. Sicilia e Sardegna adesso hanno un’occasione unica e irrepetibile. Occorre incominciare a ragionare seriamente sul regionalismo differenziato e sull’attuazione degli statuti speciali che le due regioni avrebbe dovuto godere e non che non sono mai stati attuati.

Rivedere quel rapporto tra Stato e Regione e riorganizzazione territoriale delle due regioni.

Nel 1901 Sturzo attaccò una concezione dello Stato che «accentra a sé le attribuzioni dei comuni, crea e scioglie le classi (naturale organismo del lavoro e della proprietà), si sovrappone al diritto, si sostituisce alle ragioni dei singoli o di altri enti morali, muta la volontà dei testatori, crea le maggioranze fittizie», inquinando la vita pubblica con l’affarismo, la corruzione e l’immoralità (‘La Croce di Costantino’…, a cura di G. De Rosa, 1958, p. 72).

In tale senso si può applaudire al testo Costituzionale che “riconosce le peculiarità delle isole”, espressione che sottende una valorizzazione delle specificità di carattere culturale, storico, naturalistico di tali territori.

Oltre all’iniziativa popolare sottoscritta da oltre 200 mila sardi, che hanno formulato la proposta di riforma, hanno contribuito all’approvazione in Parlamento anche il disegno di legge voto approvato all’Assemblea Regionale Siciliana.

Purtroppo registriamo che tale riforma ancora una volta è stata adottata per iniziativa popolare e non per iniziativa parlamentare, a dimostrazione ancora una volta, se mai ce ne fosse bisogno, come tra cittadini/elettori e rappresentanza parlamentare oramai si è delineato un solco profondo non facilmente colmabile.