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PNRR: RAGGIUNTI 40 OBIETTIVI O HANNO MENTITO O SONO MANDRAKE

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Avevano accusato Draghi di non aver lavorato bene: come è possibile allora che siano andati così avanti nella realizzazione del Piano? È questa la vera sfida ancora più della legge di bilancio…
Claudia Fusani

Norma Lotito La norma voluta da Lotito prevede di spalmare su cinque anni i debiti delle squadre. All’inizio era prevista nel decreto Aiuti quater. Il Terzo Polo si è messo di traverso e ora rientra nella manovra con un emendamento dei relatori
Delle due l’una: o il governo Draghi ha lavorato molto bene sul Pnrr, ha fatto tutti i compiti a casa lasciando le cose in ordine e aver detto il contrario – come ha fatto la premier ma anche i ministri – è stata una strategia di parte; oppure il governo Meloni è il governo Mandrake che zitto-zitto lavorando è riuscito a realizzare 40 dei 55 obiettivi da raggiungere. E i restanti 15 “sono a portata di mano per la fine dell’anno rispettando così il cronoprogramma del Pnrr”. Se per qualche motivo – che sono tanti e subdoli – non si dovesse riuscire, il ministro uno e trino – Sud, Affari europei, delega al Pnrr, al secolo Raffaele Fitto – ha pronto un decreto choc tra Natale e Capodanno che andrà a tagliare tutti i nodi per lo più burocratici che tengono bloccate riforme e progetti. Ma può essere che avvenga il miracolo – governo Mandrake appunto – e che a fine anno il governo Meloni abbia svolto tutti i compiti a casa andando così a riscuotere, una volta passata la verifica di Bruxelles, la rata di 20 miliardi.
Il fine settimana prima di Natale è tradizionalmente un week end lavorativo per gli uffici del Parlamento. In questo caso della Camera dove la Commissione Bilancio è alle prese con i 450 emendamenti selezionati dalla legge di Bilancio. Un lavoro quasi inutile come ben sanno tutti i deputati perché in queste ore – oggi in tarda mattinata – sarà depositato il “pacchetto” di emendamenti del governo che andrà a tagliare ulteriormente il numero da 450 a 200. Tutti i gruppi parlamentari sono contrari ma sanno che dovranno cedere. In cambio, è ovvio, di qualche concessione che il ministro Giorgetti dovrà trovare il modo di soddisfare pur nelle ristrettezze del bilancio. Due regali alla maggioranza hanno preso corpo in queste ore: proroga del Superbonus e norma salva-calcio. Quest’ultima grazie al pressing di mr Lazio, Claudio Lotito.
Se si usa un po’ di prospettiva, è chiaro però che non è la legge di bilancio il problema del governo bensì il Pnrr. È sullo stato di avanzamento del Piano che Meloni si gioca credibilità, affidabilità e tenuta sui mercati. Soprattutto alla luce delle decisioni della Bce (anche ieri ha alzato i tassi di 0,50 e le borse europee, Italia in testa, sono crollate) che per il 2023, quando l’Italia dovrà emettere titoli di Stato per oltre 450 miliardi, ci impongono di incassare le due tranche del Pnrr, 19 miliardi a gennaio e altri 16 in estate. “Un impegno che dobbiamo onorare” disse il Presidente Mattarella nei giorni in cui il governo aveva iniziato a mettere le mani avanti “non ce la facciamo”. Il ministro Fitto lavora giorno e notte sul dossier Pnrr e fondi europei, gli ci vorrebbero giornate di 48 ore. Il commissario Gentiloni è stato ugualmente esplicito: “Saremo inflessibili sulle riforme: concorrenza, giustizia e lavoro nero”. Temi che riguardano “l’impegno politico e non una circostanza oggettiva”. Tradotto: è noto che il governo Draghi è caduto anche sul disegno di legge sulla concorrenza tra Bolkestein, balneari e tassisti. E questi, al pari del capitolo Giustizia, sono nodi politici che la maggioranza per prima deve risolvere.
Ieri il Consiglio dei ministri ha licenziato tre di queste riforme mancanti: il nuovo codice degli appalti; il riordino della disciplina dei servizi pubblici locali (un pezzo del dl Concorrenza) e il Riordino degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico. Soprattutto il codice degli appalti era molto atteso. “Abbiamo semplificato, velocizzato e sburocratizzato nell’interesse dei comuni più piccoli e abbiamo alzato la soglia dell’affidamento dei lavori per aiutare le piccole e medie imprese appaltanti” ha spiegato soddisfatto il ministro delle Infrastrutture e vicepremier Matteo Salvini. “Con queste norme più dell’80 per cento degli appalti avrebbero potuto essere già conclusi” ha sottolineato.
Il punto è che ieri mattina nella riunione della Cabina di regia a palazzo Chigi non è stata data la lista dei 50 obiettivi raggiunti e dei 15 da raggiungere. Tra questi di sicuro c’è buona parte dei decreti attuativi del dl Concorrenza e della riforma della giustizia. Bruxelles, scrivendo la norma, ha lasciato quel margine di ambiguità circa la realizzazione delle riforme. Basta il via libera del Cdm? O serve l’ok definito del Parlamento? Di sicuro sono necessari i decreti attuativi. E sono soprattutto questi che mancano. “Se vediamo che non riusciamo a raggiungere i 15 obiettivi mancanti ma tutti già avviati e in via di definizione – spiega una fonte di governo – tra Natale e Capodanno faremo un decreto per finalizzare il lavoro fatto”. Raccontano che Fitto sia abbastanza ottimista. Sicuramente lo è stato il ministro economico Giancarlo Giorgetti. La riunione della Cabina di regia è servita per un aggiornamento sulla situazione in vista di un nuovo confronto con la Commissione Europea in programma la prossima settimana. Di sicuro Fitto vorrebbe cambiare metodo di lavoro e ha invitato i ministri presenti a “concentrarsi su valutazioni complessive che abbraccino una visione di tutto l’arco di Piano fino al 2026”. Dopodichè resta il tema tutto politico di coerenza politica: Fratelli d’Italia e non solo avevano imbonito i propri elettori promettendo di tutelare le imprese dai “burocrati di Bruxelles”. A questi stessi burocratici adesso vanno garantiti determinati parametri, non esiste più che si faccia come ci pare. È chiaro quindi che la “coerenza politica” andrà sacrificata. Ma questo è un altro tema. Su cui mette il dito l’ex ministro Mariastella Gelmini oggi senatrice e vicepresidente del Terzo Polo che seguiva le cabine di regia sul Pnrr ai tempi del governo Draghi. “Il tempo è galantuomo, talvolta più dei politici – riflette Gelmini – la riunione della cabina di regia sul Pnrr ha confermato oggi il raggiungimento di quaranta obiettivi del Piano su cinquantacinque. Da tale ricognizione emergono anche rassicurazioni sulle scadenze del 31 dicembre. La polemica, innescata da alcuni rappresentanti dell’esecutivo, sui presunti ritardi lasciati in eredità dal governo Draghi era dunque del tutto immotivata. Non avevamo dubbi: il governo precedente ha sempre rispettato tutte le scadenze del Piano e se il nuovo esecutivo saprà fare altrettanto ne saremo lieti”.
Di fronte al nodo Pnrr, la legge di bilancio sembra quasi una passeggiata. Stamani, in tarda mattina, arriveranno i circa 20 emendamenti supersegnalati del governo. Contestualmente arriveranno quelli dei relatori. Le proposte del governo, ha spiegato Roberto Pella uno dei tre relatori della manovra, riguardano “il Sud, ci sono norme giudiziarie, ma anche superbonus e norme sulle società sportive, decontribuzione per i giovani, enti territoriali e imprese”. Ci sarà la soglia al di sotto della quale non è obbligatorio usare il pos (pare siamo intorno ai 30 euro, la metà del previsto ma il giudizio di Bruxelles sull’eccesso di contante e condoni ha sortito qualche effetto. Alla fine torna in legge di bilancio il Superbonus edilizio che sarà prorogato fino a fine anno. Sui crediti incagliati ci sarà la copertura di Sace. Come voleva Forza Italia. E ci sarà anche la norma salva-calcio che permetterà di spalmare su cinque anni i debiti delle squadre. Il senatore Lotito ci ha lavorato su tutto il pomeriggio di giovedì bloccando nei fatti i lavori al Senato sul decreto Aiuti quater. Ci sono state le barricate. Il Terzo polo si è messo di traverso. Così ieri mattina la norma è uscita dal decreto Aiuti e trasferita in legge di Bilancio dove entrerà grazie all’emendamento dei relatori. Si tratta di un mancato incasso per le casse dello Stato. Non è ancora chiaro con quale copertura. Il Reddito di cittadinanza, ad esempio, potrebbe essere ridotto a sei mesi anziché otto.

Fonte: Il riformista