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Piazza Armerina: la capitale non si svende.

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di Livio Mario Cortese

Emigrazione e case in svendita nella città storica. Ma di fronte alla crisi c’è chi non si rassegna.

Sotto le mura di Piazza Armerina tempo storico ed attuale procedono intrecciati alla terra e ai boschi. Ma la città rischia di soccombere alla crisi economica: nei quartieri, densi di epoche ed avvenimenti, centinaia di “affittasi” e ”vendesi” sono la spia di una situazione comune a tutto l’Ennese. Dove la media è di 4000 immigrati l’anno: un salasso, quando su 170 mila abitanti si contano 69 mila pensionati. Varie e contrastanti le reazioni dei residenti, tra i quali non mancano i discendenti di quei normanni scesi dal Monferrato medievale a ripopolare la Sicilia non più araba. Una coppia di commercianti racconta del figlio 22enne impiegato alla BMW tedesca. “Ritornerebbe, ma qui il posto fisso è in nero: 6-700 € o meno,al mese, magari 16 ore al giorno”. I giovani imparano presto a spostarsi: chiuse molte sedi universitarie, studi e occupazioni vanno cercati nei capoluoghi e in continente. Il nord Italia attrae, benché la vita sia più cara. “Meglio inventarsi un lavoro qui: non è facile, se riesci vivi bene. Io lavo macchine con mio fratello, anche 30 al giorno”, racconta dopo un’esperienza in Friuli un abitante del quartiere Canali. Oppure, come negli anni ‘50, si va in Germania: molte le comunità piazzesi a Dortmund, Francoforte, Mannheim, Colonia. Se va bene: un piccolo capitale, risorse familiari reimpiegate, poi la fantasia fa il resto. Può non bastare: allora qualcuno cede alla tentazione “razzista”. Ben poco fondata: ma non sono rare affermazioni come “Il lavoro lo prendono tutto gli stranieri”, secondo alcuni ospitati con una certa comodità ed agiatezza economica (2,5 euro al giorno). Ma su 18 mila abitanti, africani e bengalesi sono circa 200, riferisce Agostino Sella, presidente dell’associazione che gestisce il centro SPRAR. Alcuni irriducibili invece restano o si affrettano a ritornare: certi che questo lembo di Sicilia sia colmo di possibilità. Tra loro c’é Caty Procaccianti: inventer turistica, esperta di marketing, intima conoscitrice di luoghi e vicende, sposa le tecnologie contemporanee con un senso pratico antico. “E’ da mio nonno che ho imparato ad amare quelle piccole cose che compongono la vita: perciò non ho intenzione di andarmene. Più osservo un’Italia in vendita pezzo per pezzo, più sento di voler riscattare questa terra –la mia- che ha ispirato generazioni di artisti. Come poche altre cose, l’arte è fatta per restare”. Trasformando beni familiari, la famiglia Savoca ha lavorato in grande, destinando la propria azienda agricola a turismo ed eventi. L’ultima generazione, composta da tre fratelli ben determinati, punta su una genuina cultura dell’ospitalità (“quella siciliana!”, precisano), sulla tutela del paesaggio e prodotti locali d’ottima qualità. Nei locali, alberi interi e mobili rustici, accanto ad attrezzi da campagna e ricami d’epoca, compongono l’arredo. All’ombra di un’altissima siepe centenaria, passeggiano alcuni pavoni; il fiume Salso attraversa la proprietà accompagnando i visitatori. Anche Davide Barresi basa su genuinità e passione la gastronomia appena aperta nel centro cittadino: realizza piatti semplici ed intensi, di quelli ai quali poi associare il sapore del luogo stesso. “Non sono un virtuoso ma un entusiasta: a queste condizioni puoi vivere con poco. Parti dai fiori al ciglio della strada per comprendere il valore di quel che hai”. Lo chef ,che negli anni ha portato la propria arte in giro per l’Italia, condivide l’esigenza di far rete tra imprese: ”Qui i commercianti non si fidano, le istituzioni non sempre aiutano. Del nord Italia apprezzavo la maggior facilità nel coltivare le proprie inclinazioni”. Un altro giovane ristoratore ha tentato la sorte in Texas: “Ma negli USA sei un numero, vali soltanto per quanto produci. Non potevo portare lì la mia famiglia: sono tornato ed ho messo in piedi una pizzeria insieme a mio fratello. Credo che da noi il problema più grosso sia la rassegnazione”. Massimiliano Ansaldi porta la Sicilia in Cina, con tre società che si occupano di architettura, design e relazioni universitarie. Si racconta volentieri, smonta luoghi comuni: “A volte qui ci si sente invasi, ma nessun cinese intende farlo: si tratta di un popolo dallo stretto legame con le tradizioni, ed una visione a lungo termine più ampia della nostra nel gestire lo Stato”. Ormai superata,a dire di Ansaldi, la logica del copiare i prodotti europei, la produzione si migliora in loco. E l’inquinamento, per i cui massimali la Cina è nota? “Shanghai è l’unica città al mondo con mezzi pubblici e taxi elettrici; sui fiumi navigano chiatte per la pulizia in superficie e a mezz’acqua, è comune impiegare energie rinnovabili”. Tolte le differenze storiche e di contesto, viene in mente un piazzese secentesco: Prospero Intorcetta, missionario gesuita in Cina, primo europeo a tradurre le opere di Confucio. Di traduzioni, testi ed autori eccellenti vive la casa editrice Nulla Die; incontriamo il direttore editoriale Salvatore Giordano. “Mio figlio ha studiato a Milano, decidendo quindi di tornare per aprire quest’attività. Curiamo autori italiani e stranieri, pochi i siciliani”. E’ un progetto che dà soddisfazione: “Ripubblichiamo autori del ‘900, poi c’è una sezione di scienze sociali, una di psicologia, i testi archeologici entrano nelle università”. La poesia, settore quanto mai problematico, cerca fuoriclasse: “Coi versi miriamo ai premi letterari”, ammette Giordano. L’associazione Unimpresa cerca d’interconnettere piccole imprese agroalimentari. “Non si tratta di cooperative o consorzi”, spiega il presidente della sede ennese Salvatore Puglisi, ”è un rapporto contrattuale in autonomia che prevede iniziative comuni: fiere, o interscambio di lavoratori per accrescerne le competenze”. Ma è una delle tante battaglie aperte con l’intento di riavviare l’economia locale, tra il forte retaggio agricolo e un settore turistico in corso di sviluppo. Per ripartire, la nuova amministrazione comunale punta sulla rivalutazione degli immobili: “Se riusciremo, magari collegandoci all’iniziativa ‘Case a 1 euro’ , potremo creare occupazione tra i settori edile, alberghiero ed artigianale”, dice Salvatore Cancarè, referente del sindaco Cammarata. Ma mentre il processo è agli inizi, la sopravvivenza della città si gioca tutta sulla capacità di resistenza e sull’inventiva dei piccoli imprenditori. Livio Mario Cortese   


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