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Perché Trump ha voluto incontrare il capo di Twitter

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Trenta minuti per parlare della perdita di follower, delle novità introdotte per gestire le conversazioni pubbliche in vista delle elezioni e del futuro, in ripresa secondo gli ultimi numeri, della piattaforma tecnologica creata nel 2006. Tanto è durata l’udienza che il presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, ha concesso a Jack Dorsey, Ceo di Twitter.

Un incontro proficuo se si considera quanto scritto da entrambi nei loro profili. Sembrano lontani i tempi in cui Dorsey venne escluso, senza apparentemente motivo, dal famoso e chiacchierato incontro tra Trump e i big della Silicon Valley, a New York, nel 2016. 

Thank you for the time. Twitter is here to serve the entire public conversation, and we intend to make it healthier and more civil. Thanks for the discussion about that.

— jack (@jack)
23 aprile 2019

Trump ama Twitter e lo usa costantemente. Non solo per propaganda elettorale. Da quando ha creato il suo profilo, poco più di 10 anni fa, ha postato più di 40 mila cinguettii, rivolti a un pubblico di quasi 60 milioni di follower. Nel 2018, su Politico, Nicholas Carr raccontò il rapporto tra il Presidente e il social usando una metafora molto forte: “Twitter è una sorta di droga digitale progettata per alimentare costantemente il nostro ego. Ma cosa succede quando il tossicodipendente in questione è l’uomo più potente del mondo?”.

Secondo Carr, Twitter consentirebbe a Trump di trasformare i suoi discorsi preferiti, quelli con un “linguaggio da spogliatoio”, in discorsi presidenziali, comprensibili a tutti. Ma soprattutto gli darebbe la possibilità “di maneggiare l’attenzione del pubblico, puntando costantemente su se stesso i riflettori dei media ogni volta che inizia a twittare”.

Una strategia estremamente diversa dai primi messaggi pubblicati sul profilo @realdonaldtrump da parte dell’entourage dell’uomo d’affari, così era considerato Trump all’epoca, che usava quel profilo per promuovere le iniziative di marketing, i programmi televisivi, come The Apprentice, o i libri, come Think like a Champion, prodotti all’interno del variegato impero familiare. La politica, insomma, era ancora un tema assai marginale nella comunicazione trumpiana.

Le cose sono cambiate, anche per altri politici, il 6 luglio 2011, quando Barack Obama dimostrò le potenzialità di quel mezzo nell’arrivare a una vasta fetta di cittadini ottenendo consenso e plauso con un semplice hashtag: #AskObama. Bastò poco tempo per vedere lo stesso ex presidente democratico diventare, almeno all’inizio, il bersaglio preferito dal tycoon.

An ‘extremely credible source’ has called my office and told me that @BarackObama‘s birth certificate is a fraud.

— Donald J. Trump (@realDonaldTrump)
6 agosto 2012

Un presidente senza filtri

Rapidamente, come racconta il Time, il numero dei tweet di Trump quadruplicò. Anche perché, come racconta il suo primo Social Media Manager, Justin McConney, (leggetela, è una grande intervista), pian piano aveva imparato a usare il suo profilo social in autonomia. Senza filtri o approvazioni di staff ed esperti. Nel gennaio 2012, più di sette anni fa, comparve il primo post legato allo slogan preferito da Trump: “Make America Great Again”.

My @foxandfriends interview discussing the “Make America Great Again” Texas filing and the Iowa caucus http://t.co/HwnskYQT

— Donald J. Trump (@realDonaldTrump)
3 gennaio 2012

L’accusa principale che viene rivolta al presidente americano è quella di infrangere le regole di comportamento all’interno della piattaforma. Negli anni, Twitter ha ricevuto più volte le denunce di chi chiedeva provvedimenti a riguardo Dalla sospensione temporanea dell’account alla definitiva cancellazione. Ma ci sono profili che contano più di altri. Ed è stata la stessa azienda a spiegarlo all’interno del suo blog.

I leader mondiali godono di maggiore libertà e concessioni per il ruolo che ricoprono e per l’impatto che ogni loro messaggio può avere nell’opinione pubblica. Censurare questi tweet significherebbe nascondere informazioni per la collettività che deve poter leggere, giudicare e, eventualmente, controbattere approvando o dissentendo. Trump è libero di scrivere ciò che vuole, insomma. Ma anche noi abbiamo libertà di rispondere. Almeno finché non è lo stesso Trump a renderci muti.

Le lamentele di Trump

L’incontro si è svolto pochi giorni dopo i nuovi attacchi del tycoon al social network. Secondo Trump, infatti, Twitter mette in atto politiche discriminatorie nei confronti dei conservatori e, più in generale, degli appartenenti al partito repubblicano. Dorsey, a dirla con le sue parole, sarebbe invischiato in “political games”. Giochi, o affari, che non favorirebbero l’appartenenza politica di Trump ma i suoi rivali.

…..But should be much higher than that if Twitter wasn’t playing their political games. No wonder Congress wants to get involved – and they should. Must be more, and fairer, companies to get out the WORD!

— Donald J. Trump (@realDonaldTrump)
23 aprile 2019

Per il presidente, inoltre, Twitter avrebbe agito direttamente sui suoi follower in maniera non trasparente. Il Washington Post, che cita una fonte rimasta anonima presente al meeting di martedì, racconta che Trump si sarebbe fatto portavoce di una protesta più ampia e che riguarderebbe molti dei suoi colleghi di partito. Dorsey, dal canto suo, ha risposto che la diminuzione è frutto delle nuove politiche dell’azienda volta a cancellare i tanti profili fake e i bot che popolano la piattaforma minandone l’autorevolezza.

Dalla scorsa estate, come racconta lo stesso giornale americano, tutti i principali account hanno visto assottigliarsi il numero di seguaci. Trump ne avrebbe perso circa 200 mila. Obama più di 2 milioni. Justin Bieber e Katy Perry, stelle del pop, più di 3 milioni. Cristiano Ronaldo, per stare più vicino al nostro mondo, quasi 900 mila.

Secondo Motherboard, che invece sostiene di aver letto alcune mail interne di preparazione all’incontro, sono stati diversi gli impiegati ad aver alzato più di un sopracciglio di fronte alla possibilità che il loro capo incontrasse l’inquilino della Casa Bianca. Dorsey avrebbe sottolineato come “la conversazione, e non il silenzio, sia fondamentale per colmare le lacune e trovare soluzioni. Ho incontrato ogni leader mondiale che abbia voluto rivolgermi un invito e credo che incontrare i capi di stato sia importante per ascoltare e condividere i nostri principi e idee”. 

Una nota rilasciata dall’azienda ha spiegato come al centro delle discussioni del meeting ci sia stato un impegno duplice assunto da Twitter: da una parte il voler proteggere l’imparzialità, e il discorrere civile, all’interno dei dialoghi in vista delle prossime elezioni (nel 2020); dall’altra gli sforzi in corso per rispondere alla crisi degli oppioidi che sta colpendo gli Stati Uniti con una campagna congiunta di sensibilizzazione contro l’abuso delle droghe. Per ora, quindi, è tornata la pace. Almeno fino al prossimo tweet del Presidente, la prossima richiesta di sospensione, o i prossimi 30 minuti di chiarimenti.

Vedi: Perché Trump ha voluto incontrare il capo di Twitter
Fonte: estero agi


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