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"Perché l'agenda digitale è ancora in ritardo. E come si può ripartire"

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Domani mattina il Commissario Straordinario per l’attuazione dell’Agenda Digitale Luca Attias interviene al teatro San Carlo in occasione del XIII Simposio Cotec con i capi di Stato di Italia Spagna e Portogallo che chiude i quattro Digital Days di Napoli organizzati da AGI. In questo post anticipa alcune delle cose che dirà)

Il Team per la Trasformazione Digitale nasce, sotto la guida di Diego Piacentini, per avviare la costruzione del “sistema operativo” del Paese, una serie di componenti fondamentali sui quali costruire servizi più semplici ed efficaci per i cittadini, la Pubblica Amministrazione e le imprese, attraverso prodotti digitali innovativi. La struttura commissariale è stata istituita il 16 settembre 2016 con una scadenza iniziale al 16 settembre 2018. La struttura ha operato in regime di prorogatio fino al 30 ottobre 2018.

Il 25 ottobre 2018 sono stato nominato, su proposta dello stesso Diego Piacentini, dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri come nuovo Commissario Straordinario per l’attuazione dell’Agenda Digitale e la struttura è stata rinnovata. Il Team opererà fino al 31 dicembre 2019.

Domani mi troverò davanti al nostro Presidente della Repubblica il cui livello di attenzione e sensibilità verso l’innovazione e le nuove tecnologie è notoriamente altissimo. Mi colpì molto che a questi argomenti, e in particolare alla lotta al divario digitale, riservò uno spazio, probabilmente in maniera inedita, sin dal suo discorso di insediamento

La legge istitutiva del mio ufficio [D.Lgs. 179/2016] mi affida il compito di dare attuazione all’agenda digitale italiana anche in coerenza con l’agenda digitale europea e, dunque, nella sostanza, il compito di trasformare il nostro Paese consentendo ai suoi cittadini, e alle imprese che vi operano, di cogliere gli straordinari vantaggi offerti dalle nuove tecnologie in termini civili, sociali ed economici. Il raggiungimento di questo ambizioso obiettivo richiede un investimento importante in due direzioni:

  • progettazione e sviluppo di servizi e infrastrutture digitali (materiali e immateriali)
  • diffusione di un adeguato livello di alfabetizzazione e cultura digitale.

Sottolineo che percorrere solo una delle due strade suindicate renderebbe vano l’intero lavoro. Dobbiamo però essere consapevoli di quale sia il contesto da cui siamo partiti alla nomina di Diego Piacentini.

Ha pesato l’approccio di contrapposizione a prescindere

I fattori che maggiormente hanno influenzato negativamente il processo di trasformazione digitale della Pubblica Amministrazione italiana negli ultimi 25 anni sono stati certamente la quasi costante assenza del tema ai primi posti dell’agenda politica dei governi che si sono succeduti e il dover ad ogni cambio di governo ricominciare comunque da capo per un approccio, anche sul digitale, di contrapposizione a prescindere, drammaticamente tipico della politica italiana, ma che proprio in questo settore ha prodotto i risultati più dannosi.

Questa situazione ha fatto sì che la maggior parte delle Amministrazioni Pubbliche si sono trovate abbandonate e impreparate a dover affrontare un complesso processo di cambiamento e ciò ha generato una frammentazione e una conseguente situazione caotica nel digitale caratterizzata da ordini di grandezza ingestibili e inefficienti. L’ulteriore aggravante è che a tutto ciò siamo sempre rimasti inconsapevolmente indifferenti.

Partiamo dall’enorme numero di data center pubblici (anche se, a fatica, la maggior parte di essi si può definire tale). Questo numero, tra censiti e non, è notoriamente maggiore di 10.000. Ma, se la situazione infrastrutturale è decisamente complessa, quella applicativa appare tragica. Nella nostra PA sono state sviluppate un numero spaventoso di applicazioni non interoperabili, che fanno le stesse cose, sulle stesse norme ed in modo incomprensibilmente diverso.

In questi data center e su queste applicazioni, fatto ancora socialmente più grave, lavorano centinaia di migliaia di persone della PA e soprattutto dell’indotto che lavora per le PA che svolgono nella maggior parte dei casi in quasi totale buona fede un lavoro inutile se non dannoso.

Ci troviamo quindi davanti ad un grande spreco di denaro pubblico, ad una carenza di servizi adeguati e ad una occupazione non al passo con i tempi.

Un Paese in “emergenza digitale”

Questo è uno dei fattori che ha condotto l’Italia in uno stato che io da anni definisco di “emergenza digitale”. L’Italia è un Paese che vive di costanti emergenze (in alcune delle quali siamo purtroppo, ahimè, best practice) di cui la popolazione è consapevole, basti pensare alla criminalità organizzata, alla evasione fiscale, alla corruzione, o al tema della disoccupazione unito al più alto tasso mondiale di fuga di cervelli. Queste ultime sono emergenze di cui la popolazione è totalmente consapevole mentre quasi nessuno percepisce che esiste un’unica emergenza trasversale, appunto l’emergenza digitale, che, se non verrà affrontata una volta per tutte in modo serio e risolutivo, non consentirà neppure in parte di combattere le numerose altre emergenze di questo Paese che, anche per questo motivo, resteranno irrimediabilmente tali.

Particolarmente interessante in questo contesto è analizzare il legame tra digitalizzazione e lotta alla corruzione. La corruzione, l’inefficienza, la cultura della raccomandazione possono essere combattute anche con l’informatica ma la digitalizzazione è ostacolata proprio da questi fattori. È una situazione di stallo (“deadlock” come dicono gli anglosassoni) non è dettata solo dal buon senso ma anche dall’indicatore della correlazione tra il Digital Economy and Society Index (DESI, fonte UE) e la classifica dei Paesi meno corrotti (fonte Transparency International), che risulta essere superiore a 0,9, un valore che fa pensare che i due ranking siano quasi lo stesso ranking. Interessante notare che anche Spagna e Portogallo mantengono nei due ranking la medesima posizione in classifica.

Pur non potendo parlare di causalità o di uno studio scientifico, tutto ciò ci porta senza ombra di dubbio ad affermare che se riuscissimo a recuperare posizioni nel DESI (Indice digitale, economico e sociale all’interno dell’UE) sviluppando una corretta politica del digitale in Italia, certamente la corruzione nel nostro Paese subirebbe un significativo ridimensionamento. Dai ranking internazionali l’Italia appare come un Paese in digital divide pur essendo il Paese al mondo con il maggior numero di smartphone pro capite e ciò non può non far riflettere.

Ad oggi l’emarginato digitale non è più solamente colui che non ha accesso alla rete, o non possiede le tecnologie per accedervi, quanto piuttosto colui che non “sa vivere” né la rete, né le tecnologie. L’emarginato digitale pertanto è colui il quale non possiede la competenza culturale, né le capacità critiche, per godere pienamente della sua «cittadinanza digitale» e partecipare, nei termini più democratici del termine, alla vita in seno alla comunità di appartenenza.

L’emarginato digitale non è, pertanto, in grado di godere delle opportunità che la collettività può offrirgli. Per i fattori appena enunciati si può pertanto asserire che, se in passato si è sempre ritenuto che un digital expert non potesse essere in digital divide, questa considerazione oggi non è più del tutto vera.

Siamo quindi un Paese in grande difficoltà ma evidentemente anche un Paese che ha un potenziale di risalita enorme se riuscissimo a trasformare le intelligenze singole (la “fuga di cervelli italiani” non è un caso) in una intelligenza collettiva e ad operare con un maggiore senso etico.

Il Team di Trasformazione digitale di Diego Piacentini nasce nel settembre 2016 anche per andare in questa direzione e ad oggi dopo due anni e mezzo si porta appresso diverse buone notizie.

  • Il team è costituito da talenti selezionati dal mercato per lo più dotati di spiccate competenze tecnologiche al passo con i tempi e con esperienza internazionale che vengono per svolgere un “servizio civile”, non è un caso che chi esce da Team e ritorna al privato continua “pro bono” a dare il proprio contributo.
  • Le piattaforme abilitanti che il Team ha preso in mano che hanno l’obiettivo di creare il cosiddetto “sistema operativo del Paese” e combattere la parcellizzazione di cui sopra cominciano a funzionare e a diventare asset strategici del Paese.
  • Il Team è consapevole che 30-40 persone non possono trasformare da sole il digitale italiano e per questo cerca di fare squadra con tutto ciò di buono da questo punto di vista, ed è tanto, c’è in Italia e cercando di confrontarsi il più possibile con le best practice presenti all’estero. Ed è fondamentale in questo contesto che iniziative indipendenti dal Team Digitale ma che vanno in una direzione analoga, come ad esempio il piano industria 4.0, l’implementazione della dorsale in fibra e della rete 5G. il Piano Nazionale Scuola Digitale continuino ad essere portate avanti con convinzione.
  • L’ultimo cambio di Governo, per la prima volta, ha dato continuità totale al lavoro del precedente esecutivo sul digitale pubblico confermando al 100% le scelte fatte da Diego Piacentini.
  • Si sta propagando una maggiore consapevolezza diffusa a tutti i livelli dell’importanza del tema e della gravità dell’emergenza digitale.

È chiaramente ancora un processo lungo e complesso che ha bisogno di continuità, non necessariamente nelle persone, ma nell’idea e nella strategia.

La situazione vede ancora, e sarebbe sbagliato negarlo, da una parte, la quotidianità di un Paese per molti versi poco consapevole digitalmente, ma comunque, come abbiamo già accennato, in cima alle classifiche internazionali per numero di smartphone pro capite, con oltre 30 milioni di iscritti a Facebook, dove si vendono più App che quotidiani. In Italia, sappiamo bene che queste App ci aiutano in centinaia di occasioni; pagare il parcheggio, sapere quando arriva il bus, arrivare a destinazione più rapidamente, chiamare un taxi, consultare le previsioni meteo, fare la spesa, ecc.

Il progetto IO

Abbiamo adottato lo smart working, la video conference, lo home banking, e l’e-commerce. Dall’altra, c’è la Pubblica Amministrazione, elefantiaca ed arretrata. Dove il tema centrale, molto spesso, è ancora solo quello di varcare il tornello in orario, senza quasi preoccuparsi di cosa succeda dopo. Una sfera pubblica che è sul fondo in termini di digitalizzazione, di offerta di servizi di qualità e all’avanguardia, di diffusione delle competenze digitali di base e non, di integrazione delle informazioni

Il punto è cercare di far convergere questi due mondi che oggi sembrano viaggiare parallelamente, IO cerca di essere questa convergenza.

Il progetto IO è un importante pilastro della visione di cittadinanza digitale del Governo italiano. Lo scopo è rendere più semplice e familiare l’interazione tra i cittadini e i servizi della Pubblica Amministrazione centrale e locale (Comuni, Regioni, agenzie centrali) per attività quotidiane come:

  • ricevere comunicazioni e aggiornamenti
  • ottenere e gestire documenti (atti, notifiche, certificati)
  • ricordare e gestire le scadenze
  • effettuare pagamenti digitali

IO esprime una visione dei servizi pubblici completamente centrata sui bisogni dell’utente: uno degli obiettivi del progetto è proporre infatti un modello in cui non sia più responsabilità del cittadino scoprire ed imparare ad usare i servizi di cui ha bisogno, ma saranno i servizi stessi a contattarlo nel momento in cui gli sia richiesta una azione di qualche tipo. Un modo per rendere ai cittadini “trasparente” la complessità dello Stato.

La chiave oggi per la trasformazione digitale dell’Europa è, in scala più grande, la stessa che il Governo italiano sta affrontando al suo interno, superare le frammentazioni e i personalismi all’interno delle singole nazioni per poi costruire infrastrutture, piattaforme e applicazioni sicure transnazionali all’interno della Comunità Europea. I vantaggi che ne potremmo ottenere in termini di sicurezza, scalabilità efficienza, efficacia, economicità, occupazione, competenze, knowledge management, qualità dei servizi, competitività sono inimmaginabili. 

In qualche modo oggi la tecnologia quasi ci obbliga a lavorare insieme nel pieno rispetto della privacy e dell’indipendenza di ciascuno, oggi le infrastrutture e le applicazioni sono potenti, sicure e flessibili se sono comuni.

Una “Repubblica digitale”

Non abbiamo ancora approfondito il secondo dei due punti elencati all’inizio. Nella mia vita ho spesso cercato di realizzare dei sogni, come quando ho scritto al Comitato del premio Nobel di Stoccolma – diversi anni dopo che qualcuno di nostra conoscenza lo aveva già fatto con l’intento di richiedere di assegnare il Nobel per la Pace ad internet – per richiedere di valutare l’istituzione del Nobel per l’IT. Non sono riuscito nell’intento ma sono comunque riuscito ad ottenere una risposta e comunque a sollevare un dubbio.

Un altro sogno che alcuni di noi vogliono fortemente perseguire si chiama Repubblica Digitale. La tecnologia digitale, che ha dato una forte accelerazione al processo di trasformazione del mondo generando opportunità straordinarie e rischi incalcolabili per la cittadinanza, può rappresentare una grande occasione per “rilanciare” i principi, i diritti e i valori costituzionali che hanno fondato la nostra Repubblica. Condizione necessaria – ancorché non sufficiente – perché questo sogno diventi realtà è che Governi, Aziende e Cittadini collaborino insieme per superare ogni forma di analfabetismo digitale per le stesse ragioni e con la stessa determinazione con la quale, nel secondo dopoguerra, si superò l’analfabetismo linguistico.

Abbiamo appunto chiamato questa iniziativa “Repubblica digitale” che consideriamo il più open dei nostri progetti a cui speriamo aderiscano il maggior numero di organizzazioni cominciando con il firmare un Manifesto, che sarà presentato fra qualche giorno, per una Repubblica digitale aperta, partecipata e inclusiva.

Vedi: "Perché l'agenda digitale è ancora in ritardo. E come si può ripartire"
Fonte: innovazione agi


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