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Per il governo è finita la pacchia

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L’èra dei tassi alti è un guaio per i paesi indebitati, ma il rigorismo della Bce ora può essere arginato

17 Mar 2023

Roma. La Bce ha aumentato ieri i tassi d’interesse (un altro mezzo punto percentuale) con una decisione presa a maggioranza con l’opposizione, ha ammesso Christine Lagarde, di 3-4 membri del board i quali “volevano più tempo per monitorare la situazione”. Le colombe hanno dispiegato le ali. La presidente non ha fatto nomi, ma non è difficile pensare a Italia, Grecia, Portogallo e Spagna. Ignazio Visco, governatore della Banca d’italia, una settimana fa aveva mandato un chiaro messaggio ai falchi che insistono per aumenti continui e prolungati. E parlando il primo marzo a Francoforte aveva avvertito che “un eccessivo irrigidimento comporterebbe ripercussioni significative sull’attività economica, sulla stabilità finanziaria e, in ultima analisi, sull’andamento dei prezzi a medio termine”.
La seconda questione, strategica, riguarda la capacità che avrà l’italia, nei prossimi mesi, di presentarsi sulla scena pubblica come un paese desideroso di attrarre capitali, capitalisti e investitori e da questo punto di vista il combinato disposto tra delega fiscale e riforma della giustizia costituirà la vera cartina al tornasole dell’affidabilità del paese (il protezionismo rende più deboli). La terza questione, fondamentale, riguarda la volontà del governo di premiare più le competenze che le appartenenze e non ci vuole molto a capire che un paese desideroso di scommettere sulla leva della responsabilità non può permettersi di avvicinarsi alle grandi nomine di stato seguendo il modello Anastasio (occhio a Eni, Enel, Poste e Leonardo). La quarta questione, di forte attualità, riguarda la capacità che avrà il governo di non perdere tempo in discussioni senza senso, come quella legata alla ratifica del Mes, e il fatto che l’italia sia l’unico paese in Europa che si chieda, ancora, se sia necessario avere un freno d’emergenza da attivare in caso di crisi finanziarie simili a quella che ha patito due giorni fa la Svizzera, con Credit Suisse, dimostra la pericolosità della posizione italiana su questo tema. Il quinto punto, se si vuole ancora più pragmatico, riguarda un punto centrale dell’agenda del si farà ed è legato alla consapevolezza o meno che mostrerà l’italia nell’affrontare una fase potenzialmente densa di pericoli, come può essere quella caratterizzata da tassi di interesse al rialzo, forte di una consapevolezza che oggi non sembra essere presente all’interno del governo: costruire in Europa le alleanze necessarie per evitare che le due grandi riforme del futuro, Patto di stabilità e aiuti di stato, siano per l’italia un pugno nello stomaco. Archiviare la fase del non farò per entrare nella stagione di quel che si farà. L’affidabilità del governo Meloni, più che dal Ponte sullo stretto, da oggi passa da qui.

Fonte: Il Foglio