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Pensioni. Come sarà la riforma della previdenza dopo Quota 100?

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di Antonino Gulisano

La partita entrerà nel vivo in autunno: il vero obiettivo la sostenibilità del sistema previdenziale. Priorità alla gestione delle uscite collegate a crisi aziendali.
Come ha più volte ribadito il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, il dossier pensioni è al momento in naftalina, si aprirà soltanto tra l’inizio dell’estate e il prossimo autunno. E anche il resto del governo è concentrato su altre priorità: dai vaccini fino ai sostegni.
Ma alcune indicazioni sono di fatto arrivate dal primo DEF, targato Draghi e Franco.
Il sistema pensionistico italiano è impostato sul criterio dell’imbuto. La base lavorativa in attività paga l’assegno pensionistico a coloro i quali vanno in pensione.
Fin tanto che l’occupazione era crescente e il numero dei pensionati decrescente, il sistema pensionistico era sostenibile. Oggi il sistema dell’imbuto si è invertito.
A seguito dell’allungamento dell’aspettativa di vita si è allargata la base dei pensionati. E a seguito della crisi occupazionale e della decrescita della natalità si è ristretta la base contributiva delle nuove generazioni attive. Quindi, nelle attuali condizioni il sistema pensionistico non è più sostenibile.
Quali le soluzioni possibili e le proposte?
In campo si schierano 8 opzioni per il dopo quota 100. 1) La proposta Tridico: anticipo uscita a 62-63 anni solo con parte contributiva, 2) Corsia preferenziale solo per le mansioni faticose, 3) Proroga Ape sociale, 4) Opzione donna quasi strutturale, 5) Flessibilità per i lavoratori “fragili”, 6) Più forza ai contratti d’espansione, 7) Lega e sindacati per Quota 41, 8) Rispunta Quota 102.
Fin qui il suo “appeal” si è rivelato al di sotto delle aspettative, ma l’eredità di Quota 100 continuerà a gravare sui conti pubblici fino al 2035. Con un peso aggiuntivo medio sulle uscite pensionistiche di 0,2 punti percentuali di PIL, pari a oltre 3,2 miliardi l’anno. Nella bozza del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) il Governo aveva messo nero su bianco che i pensionamenti anticipati con almeno 62 anni d’età e 38 di contributi cessano definitivamente a fine anno al termine della sperimentazione triennale della misura voluta dal “Conte 1”. Ma il riferimento è scomparso nella versione del testo licenziato dal Consiglio dei ministri di sabato 24 aprile.
Lo stop va incontro anche alle richieste di Bruxelles di garantire la solidità e la sostenibilità del sistema previdenziale nel medio periodo. Resta da capire in che modo si cercherà di attutire l’impatto dello “scalone” che si prospetta tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022. Sul tavolo ci sono diverse opzioni, almeno le otto che abbiamo visto prima.
La proposta del Presidente dell’INPS propone la divisione della quota pensione in due parti: retributiva e contributiva: «Si permetterebbe a 62-63 anni di uscire dal lavoro con la parte contributiva mentre quella retributiva si otterrebbe al raggiungimento dei 67 anni. Garantirebbe il principio della sostenibilità dei conti e si potrebbe legare anche a idee di permanenza sul lavoro a orario ridotto visto che il ministro Orlando ha parlato di staffetta generazionale».
Corsia preferenziale solo per le mansioni faticose. L’ipotesi di partenza presa in considerazione al MEF, e inserita nelle ultime bozze del Pnrr, poggia su un ritorno “in toto” alla legge Fornero lasciando aperti i tre percorsi aggiuntivi già previsti per uscire anticipatamente ma in una versione più estesa, oltre al canale tradizionale che attualmente consente il pensionamento, a prescindere dall’età anagrafica, con 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne. La prima opzione aggiuntiva sarebbe quella garantita a tutti lavoratori impegnati in attività considerate gravose e usuranti (dai minatori agli addetti alla “linea catena”) per i quali sono già previsti distinti canali di uscita anticipata che potrebbero essere resi ancora più “flessibili” e soprattutto accessibili da platee più vaste.
Proroga Ape sociale. Un’altra possibilità di uscita sarebbe quella con l’Ape sociale, l’Anticipo pensionistico al quale possono accedere (con almeno 63 anni d’età) alcune categorie di lavoratori in difficoltà, come ad esempio i disoccupati di lungo corso o i disabili (e i caregiver che li assistono). La misura, che è stata prorogata per tutto il 2021 dall’ultima legge di bilancio, potrebbe essere ulteriormente prolungata ampliandone anche il raggio d’azione.
In queste condizioni del sistema pensionistico non si può pensare di continuare a cambiare le regole in corsa.
In conclusione le ipotesi possibili sono solo due. La prima ipotizzare un triennio di adeguamento per coloro i quali sono prossimi alla pensione con il sistema dei 102, 39 anni di contribuzione e 63 anni di età.
L’altra ipotesi è una riforma radicale del sistema pensionistico superando il metodo ad imbuto. Inoltre, va inserita la divisione della Previdenza dalla assistenza. L’innovazione, nuova nel sistema previdenziale, va suddivisa da una parte sulla fiscalità generale versata dalle imprese e una parte a contribuzione del lavoratore con l’istituzione di un Fondo pensionistico dei lavoratori gestito direttamente dai lavoratori e sotto il controllo pubblico. Questo al fine di rendere il sistema sostenibile e solido e di evitare un eventuale fallimento del Fondo.