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Passione cinema

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Riflessioni sui film nelle sale, incassi, documentari e la “strana” sovrabbondanza produttiva nazionale, con decine e decine di film fermi al palo che attendono l’uscita

di Franco La Magna

            In sala con tenitura da record dal 18 agosto, dopo un’anteprima di tre giorni in pieno solleone e due anni di ritardo sulla tabella di marcia (pandemia docet), l’americano “Minios 2 – Come Gru diventa cattivissimo”, triregia di Balda-Ableson-Del Val, conferma le milionarie aspettative di produzione e distribuzione, piazzandosi saldamente in testa alla top ten degli incassi mondiali (oltre un miliardo di dollari), per quanto ancora lontanissimo dallo strabiliante successo di “Avatar” (2009, quasi tre miliardi), quest’anno addirittura rieditato per fan e aficionados, riscuotendo al botteghino mondiale oltre tre milioni di dollari.

A distanze stellari dagli incassi planetari della Mecca del cinema, l’irraggiungibile e sempre più spettacolosa Hollywood, continua la sofferenza delle casse del “piccolo” cinema di casa nostra, che  – con una quota di mercato tra il 2021 e il primo semestre del 2022 intorno al 23% (mentre i consensi del pubblico volano verso Tv e piattaforme) – sembra aver smarrito ogni bussola, incapace come è (tranne rarissime eccezioni, vedi – tra quelli ancora in sala – il catastrofista ed estremo “Siccità” di Paolo Virzì) di fotografare la realtà del paese, pencolante tra stucchevoli commediole, eterne crisi di coppia, comicità stantia, sinossi ripetitive che ormai spingono un pubblico stanco e provato, da Covid e crisi economica, sul divano del salotto casalingo.

Resta saldamente in testa agli incassi nelle sale nazionali il “Spider man” (con 25 milioni) ed al momento precariamente il fantasy fumettistico americano “Black Adam” regia di Jaume Collet-Serra (2 milioni), adattamento cinematografico dei fumetti di Binder e Back, mentre si fa strada il mediocre e noiosissimo italiano “Colibrì” regia di Francesca Archibugi, tratto e spinto dal successo dell’omonimo romanzo di Sandro Veronesi vincitore del Premio Strega 2020 (senza il quale il film sarebbe passato, probabilmente, pressoché inosservato), che abbonda in flashback e flashforward, mettendo in scena il mesto scorrere della vita e la resilienza del protagonista (cosa c’è di eroico? tutti siamo in quotidiana resilienza), le piccole gioie, un amore irrealizzato e una chiusa deprimente. Disarmante, piatto, banale, privo di emozioni, “Il colibrì” – che probabilmente non rende giustizia al romanzo (per quanto sceneggiato anche dallo stesso scrittore) – vira immancabilmente verso uno scorrere monotono di ricordi, nonostante il susseguirsi di accadimenti e la presenza del talentuoso Pierfrancesco Favino, qui dalla strana parlata (perché ?), che non dà certo il meglio di se e Nanni Moretti, dalla solita recitazione compitante. Con l’ormai proverbiale bonomia il regista-sceneggiatore e attore Gianni Di Gregorio, con il delicato “Astolfo”, appena uscito, continua la sua placida indagine sulla terza età senza particolari drammi esistenziali ed anzi con questo suo terzo film infondendo speranze in una fase dell’esistenza spesso contraddistinta da mestizia, depressione e salute precaria, qui invece foriera di un quasi miracolistico trionfo dell’amor senile.

Timidamente acquista posizione e sempre più dignità di sala, ma non certo entusiasmante affluenza di pubblico, il documentarismo (“Ennio” di Giuseppe Tornatore, uber alles, tornato nelle sale) ancora con l’indimenticato (si spera) “Sergio Leone. L’italiano che inventò l’America”(2022, figlio del regista del muto Roberto Roberti, alias Vincenzo Leone) regia di Francesco Zippel, attraverso le appassionate testimonianze di Clint Eastwood, Martin Scorsese, Quentin Tarantino, Chazelle, Tsui Hark, Steven Spilberg, De Niro, Ennio Morricone (le cui sorprendenti, sconvolgenti, colonne sonore costituiscono elemento determinante del successo planetario degli mai ammuffiti “spaghetti-western”), a riprova della fama e l’ammirazione mondiale raggiunta dal grande regista romano, gigante innovativo e rivoluzionario del cinema, di cui non si trascura attraverso l’intervento dei figli anche l’aspetto umano. Omaggio anche a “Franco Zeffirelli, conformista ribelle” regia di Anselma dell’Oglio, uno dei pochi registi italiani ad aver raggiunto fama internazionale, in uscita in questi giorni insieme agli immancabili horror di Halloween (“Halloween Ends”), godimento della platea adolescenziale. E ancora “Marcia su Roma”(2022, di cui ricorre il centenario) regia del Mark Cousins – inizio del ventennio e del tragico evento bellico pagato dall’Italia fascista e imperialista ad un prezzo altissimo – ricostruita utilizzando materiali dell’Istituto Luce, film d’epoca (in particolare il propagandistico “A noi”, 1923, regia di Umberto Paradisi, di cui svela le molte mistificazioni). Girato secondo le stile eclettico del regista irlandese non nuovo ad indagini sui movimenti ideologici di destra, originale e affascinante, insiste  molto sulle falsificazioni della macchina  propagandistica delle prime manifestazioni delle camicie nere. Presentato all’ultima Mostra del Cinema di Venezia.

Per chiudere, una “strana”, ma apparente, contraddizione incombe sul cinema nazionale: la sovrabbondanza produttiva, con decine e decine di film già pronti e in attesa d’uscita. Evidentemente tra diritti televisivi, piattaforme e altro, produzioni e distribuzioni puntano ad un guadagno che sempre meno sembra affidato alla sala. Dal grande al piccolo schermo, così come previsto già molti anni fa dal sociologo e filosofo canadese McLuhan, secondo cui ogni nuovo mezzo di comunicazione ingloba il precedente, come la televisione ha fatto con il cinema. La guerra santa è finita da un pezzo e paradossalmente la televisione, almeno economicamente e sempre più in formato gigante casalingo,  si presenta oggi al cinema come l’angelo della salvezza (1).