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Parmenide. “Sulla natura”

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di Gianni De Iuliis

«Le cavalle che mi trascinano, tanto lungi, quanto il mio animo lo poteva desiderare mi fecero arrivare, poscia che le dee mi portarono sulla via molto celebrata che per ogni regione guida l’uomo che sa. Là fui condotto: là infatti mi portarono i molti saggi corsieri che trascinano il carro, e le fanciulle mostrarono il cammino. [. . .] Là è una porta che divide i sentieri della Notte e del Giorno, e un architrave e una soglia di pietra la puntellano: essa stessa nella sua altezza è riempita da grandi battenti, di cui la Giustizia, che molto punisce, ha le chiavi che aprono e chiudono. [. . .] La dea mi accolse benevolmente, con la mano la mano destra mi prese e mi rivolse le seguenti parole. . .».

(Parmenide)

Parmenide visse a Elea fra il 550 a. C. e il 450 a. C. Scrisse un’opera in versi intitolata Sulla natura, di cui ci sono giunti pochissimi frammenti.

Nel proemio dell’opera Parmenide immagina di essere trasportato al cospetto di una dea, che gli rivela la verità. Il tema della rivelazione filosofica della verità è centrale nella filosofia di Parmenide, che considera la verità proprio un patrimonio di pochi iniziati.

Parmenide presenta la sua filosofia come una poetica rivelazione divina. Inoltre egli evidenzia la necessità di ricorrere all’apporto della divinità, la quale anzi è disponibile ad aiutarlo, tanto che gli mette a disposizione un cocchio. Ovviamente il supporto divino non è conferito a un uomo qualsiasi, ma a colui che ha dimostrato particolare predisposizione e interesse nella ricerca della verità.

Abbagnano parla a riguardo di una «cooperazione» tra il contributo divino e l’iniziativa dell’uomo, senza peraltro scadere in forme di misticismo o d’irrazionale fideismo: la ricerca filosofica di Parmenide è assolutamente laica e svincolata dalla tradizione e dalla religione.

(33. Continua)