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Pandemia e informazione. Un impatto negativo

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Il quadro generale dell’overdose informativa, da alcuni pubblicisti definita “infodemia”, è divenuto una pericolosa e deleteria integrazione degli inarrestabili e sempre più estesi effetti debilitanti del Covid 19 e delle sue varianti

di Augusto Lucchese

Non sembra esagerato affermare che a fronte della nutrita quotidiana dose di sconfortanti notizie relative alla nuova fase pandemica, si ha la sensazione di essere tornati indietro nel tempo, nel periodo della spietata ultima guerra mondiale, quando i criminosi bombardamenti aerei arrecavano costanti paure, imprevedibili pericoli, molti lutti. Chi come me, miracolato redivivo, ha attraversato quei tragici giorni, può confermarlo.

Oggi, come allora, la macabra immagine della “signora con la falce”, celata dietro qualche angolo buio del nostro percorso di vita, ci segue e ci turba, pronta a stroncare l’esistenza di chiunque incroci la sua strada.

Ma il sostanziale incisivo accostamento fra l’odierno nefasto scenario pandemico globale e la esiziale violenza dei citati bombardamenti, lo si percepisce maggiormente per effetto del sistematico susseguirsi di funeste notizie, di allarmanti previsioni, di drastiche misure di contenimento, propinate via etere e mediante l’assalto all’arma bianca dei notiziari cartacei.

Sarebbe doveroso, oltre che opportuno, che taluni “talk show” centrati su dibattiti e interviste concernenti l’evolversi della pandemia, ossessivamente posti in onda dalle varie emittenti televisive (RAI/TV – televisione di Stato – in primo piano) non giungessero disinvoltamente ad una massa di telespettatori più o meno digiuni delle materie trattate e affatto in grado di giudicare se le argomentazioni poste in campo rispondano o meno ad una pertinente, comprovata e obiettiva realtà.

Va bene la corretta ed esaustiva informazione, ma appare semplicemente deleterio sciorinare da mane a sera allarmanti comunicati, interviste pilotate, deprimenti fatti di cronaca. Il tutto aggravato dalle crude statistiche quotidiane, dai dibattiti di natura pseudo-scientifica, dalla disdicevole tendenza di parecchi partecipanti o intervistati all’esibizionismo e al protagonismo. Per non dire, poi, della riprovevole intromissione (spesso da autentici sprovveduti) di esponenti dei vari partiti che, giorno dopo giorno, instancabilmente e più o meno polemicamente disquisiscono della sofferta emergenza pandemica. È evidente che questi ultimi hanno più a cuore il  loro tornaconto politico elettorale (o la difesa di mascherati interessi settoriali e lobbistici) che l’occorrenza di fronteggiare al meglio le reali esigenze del momento. La loro tattica è quella di esprimere giudizi di parte,  avanzare critiche e pretese, interporre veti, pubblicizzare avventate richieste di contributi e di elargizioni statali pur consapevoli che ciò comporta ulteriori balzi in avanti dell’iperbolico debito pubblico che, dai 2409 miliardi di euro del gennaio 2020, è asceso ai 2734 miliardi dell’agosto 2021. Un incremento di circa 325 miliardi, ben superiore all’ammontare complessivo del Recovery Plan europeo (PNRR – Piano Nazionale di ripresa e resilienza) previsto in circa 221,5 miliardi, peraltro erogabili a scaglioni entro il 2027 e a fronte di ben precisi adempimenti.

L’esagerato proliferare di più o meno “scientifici” sermoni, ammanniti dai più disparati “dotti” e “professoroni” di turno, di controverse opinioni, di sconfortanti notizie, non contribuisce di certo a combattere l’aggressività del famigerato Covid 19 e delle sue varianti. Sicuramente produce, viceversa, un deleterio effetto sullo stato d’animo della gente e sulla serenità psicologica di chi quotidianamente è chiamato ad adempiere ai doveri connessi con la propria vita familiare e lavorativa. Tale incontrollata diffusione di inquietanti “bollettini di guerra” incide negativamente, oltretutto, sul normale andamento delle attività produttive, commerciali e professionali, scoraggiando iniziative, investimenti e consumi. Il quadro generale della overdose informativa, da alcuni pubblicisti definita “infodemia”, è divenuto una pericolosa e deleteria integrazione degli inarrestabili e sempre più estesi effetti debilitanti del Covid 19 e delle sue varianti.

Sarebbe l’ora che la si smettesse di porre in onda, talvolta strumentalmente e speculativamente, un’abnorme rassegna quotidiana di preoccupanti “annunci ” e di  sconfortanti cronache. Non parliamo poi della fogna a cielo aperto di taluni siti, fasulle agenzie di stampa, subdole pagine “facebook” & C., attraverso cui parecchi “cervelli bacati” di improvvisati censori si azzannano a tempo pieno in rete (smartphone e web), magari adoperando argomenti e termini scurrili e provocatori. Per l’asprezza dei loro toni e per le conseguenze psicologiche che apportano non sarebbe male “oscurarli”.

Non è così che si agevola la razionale e sperabilmente efficace azione di contrasto al dilagante fenomeno pandemico.

Sarebbe encomiabile, di contro, che ci si dedicasse con maggiore impegno e incisività a scuotere e fare vibrare le coscienze sonnolente dei cittadini tutti, al fine di indirizzarli verso una più responsabile condotta collettiva, sociale e personale, oltre che verso un maggiore rispetto delle regole imposte dal triste momento che si sta vivendo.

Non è neppure giustificabile che, in presenza di uno scenario pandemico dai connotati disastrosi, sostanzialmente violando il domicilio familiare e senza tenere conto di generalizzate ansie e paure, dagli schermi televisivi giungano artefatti messaggi di apparente, ipocrita e sciocca festosità, di ciance salottiere di donnicciole pettegole, di balorde e prolisse disquisizioni più o meno di facciata, di disdicevoli messaggi pubblicitari di dubbi prodotti farmaceutici (magari nel bel mezzo delle ore di pranzo o di cena), di insulsi spettacoli gastronomici dal vivo, incentivando balorde sofisticazioni culinarie, sciupando ogni ben di Dio e offendendo, palesemente, la gran massa di gente che in molte parti del mondo, anche nella nostra beneamata Italia, patisce la fame. Nell’ambito della massa degli addetti ai lavori lautamente pagati dalle varie emittenti, molti sembrano convinti che il loro “lavoro” consista nel darsi da fare per erogare prolissi sproloqui, oltre che la messa in scena di squallidi dibattiti salottieri, quando non da cortile, peraltro molto spesso confusionari.

Con un po’ di buona creanza e di rispetto per il prossimo, viceversa, i palinsesti potrebbero essere concepiti sulla base di ben altri servizi, di natura culturale, formativa e ricreativa più consoni al difficile e ansiogeno periodo che si sta attraversando.

Taluni spregiudicati nababbi dell’etere (spesso insensibili ai patimenti altrui, talvolta cattivi d’animo, quasi sempre tornacontisti) nonché le loro assoldate “troupe”, si ostinano a non comprendere che non è più il tempo di speculare, di arraffare, di abusare della pazienza dei telespettatori.

Il problema dell’indecoroso comportamento prima evidenziato non è che l’altra faccia di quella stessa medaglia al valore nazionale che le autorità istituzionali costituite e parecchi rappresentati della galassia culturale, politica e religiosa, s’affannano a presentare sotto una luce di apparente se non proprio esaltante continuità storico-culturale.