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"Non io, ma la sede centrale di Copenaghen dell'Oms ritirò il rapporto sull'Italia". La verità di Ranieri Guerra

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AGI – Tutte le responsabilità sono di Copenaghen, sede europea dell’Oms: il direttore aggiunto dell’Organizzazione mondiale della Sanità, Ranieri Guerra, si difende così dalle accuse che stanno facendo il giro del mondo.
In un’intervista esclusiva all’AGI Guerra sostiene che quando il Rapporto che evidenziava le falle italiane nella gestione del coronavirus in Italia “venne ritirato per decisione dell’ufficio di Copenhagen, io proposi di salvarlo proponendo che due colleghi dell’Istituto Superiore di Sanità si affiancassero ai colleghi di Venezia per correggere le imperfezioni e ripubblicare il Rapporto così migliorato nel giro di un paio di giorni”.

“Per ogni seguito – sottolinea – la competenza non è mia, come continuo a ripetere, ma di Copenhagen”. Se le cose stanno così, è evidente che anche il direttore regionale Hans Kluge fosse informato di tutto.  Guerra si difende anche dall’accusa emersa da una serie di mail, svelate dalla trasmissione ‘Report’, di avere costretto, dietro minaccia di licenziamento, il dipendente della sede di Venezia, Francesco Zambon a cambiare la data del piano pandemico per farlo sembrare aggiornato al 2017. Guerra sottolinea che “lui dipendeva e rispondeva, così come gli altri suoi colleghi, dall’ufficio regionale di Copenhagen e non certo da Ginevra”. A lui e agli altri che scrissero il Rapporto ‘An unprecedent challenge – Italy’first response to Covid-19’, pubblicato sul sito dell’Oms il 13 maggio e sparito il giorno dopo, Guerra contesta “la scorrettezza di non avere informato il Ministero della Salute” della pubblicazione.

In una delle mail rese note da ‘Report’, lei invita Zambon a riflettere sulle “questioni politiche” a proposito del rapporto da lei definito “sicuramente pregevole”. Perché se era pregevole, l’Oms poi lo disconosce? A quali “questioni politiche” si riferiva? E in che senso Speranza si riferiva all’Oms come “foglia di fico per le decisioni impopolari”?
    
    “Mi sembra che ‘Report’ abbia reso pubblica una sola mail, e anche non completamente. La serie di mail precedenti e successive danno una luce diversa e più completa sulla situazione, anche se la mia riservatezza mi ha impedito finora di renderle pubbliche. Infatti, io leggo per la prima volta il testo del Rapporto proposto per la pubblicazione quando già è stato depositato dai colleghi di Venezia, e ne propongo alcune correzioni, chiedendo di spostare la data di pubblicazione di due giorni. So che anche altre due colleghe dell’ufficio di Copenaghen, da cui Venezia dipende, hanno fatto lo stesso. Molte delle correzioni proposte vengono infatti accolte dai colleghi e sono presenti nel testo del Rapporto pubblicato: la mail che ‘Report’ pubblica si riferisce al periodo antecedente la pubblicazione e alla versione mai circolata. Non ho mai avuto nulla da ridire sul testo pubblicato, pur ritenendolo ancora migliorabile, date le inesattezze e le inconsistenze che continuava ad avere. Rimane la scorrettezza – su cui ugualmente avevo allertato i colleghi perché potessero rimediare – determinata dalla mancata comunicazione al Ministro dell’imminenza della pubblicazione stessa. Si tratta di ‘fairness’ istituzionale, niente a che vedere con censure e altre sciocchezze che sono state dette in questi giorni”.

– Il percorso di riconferma parlamentare del centro di Venezia dipendeva anche dal contenuto del rapporto, dal suo essere o meno favorevole all’operato del governo?
    
    “Assolutamente no. Tanto è vero che non c’è stato nessun percorso parlamentare perché non era necessario, dati i precedenti e l’accordo istituzionale esistente. L’Oms è indipendente, e non viene condizionata da certo tipo di ragionamento. L’Italia lo sa bene, come altrettanto bene lo sa la Regione Veneto, che ospita l’ufficio di Venezia e contribuisce alla sua operatività. Non a caso Zambon è di Venezia”.

    – Se tornasse indietro suggerirebbe ancora a Zambon la modifica della data del piano pandemico? E, in ogni caso, rifarebbe tutto quello che ha fatto?

    “Stiamo parlando del piano nazionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale, dichiarato in vigenza nel 2016 (come correttamente riportato dal Rapporto pubblicato, per cui non capisco il problema). La modifica suggerita era semplicemente il riferimento formale a un piano vigente, sottolineando quindi che un piano c’era (per cui sarebbe stato scorretto ignorarlo) e che prevedeva certe prescrizioni che sarebbero state sicuramente utili per le fasi iniziali della pandemia da Sars-Cov-2, pur non essendo questo un virus influenzale. Per la tempistica di aggiornamento, essendo un piano redatto sulla base di due fattori, una differente situazione epidemiologica riguardante i virus influenzali e una diversa linea guida da parte dell’Oms, il primo era rimasto invariato dal momento della prima redazione, mentre il secondo è cambiato nel 2018, con ben tre nuovi documenti Oms, pubblicamente consultabili, su cui avevo pre-allertato il ministro prima di lasciare il mio incarico a ottobre 2017. Non ho nulla di cui rimproverarmi. Ho un’appartenenza istituzionale e seguo meticolosamente sia le regole della mia istituzione, sia quelle dettate dalla mia etica personale e professionale. Non cerco progressioni di carriera o benefici in una situazione di crisi come questa: ho troppo rispetto delle vittime e dei pazienti, dei miei colleghi in prima linea, dove io sono stato per decenni e di cui conosco molto bene i rischi e il dolore. Le assicuro che non ho ancora imparato a digerire il dolore determinato da una morte o da una sofferenza inflitta da malattia che stiamo ancora cercando di conoscere, come dimostrano tutti i paesi europei uniti nello stesso scenario, indipendentemente da piani, risorse, letti di terapia intensiva a disposizione. Tutti siamo nella medesima situazione e lo siamo ora, nonostante siamo sicuramente più preparati e con una disponibilità di dispositivi e risorse anche umane ben superiori alla prima fase. Questo dovrebbe insegnarci ad avere l’umiltà di affrontare l’epidemia uniti, finché non si sarà conclusa”. 

– Perché dal 2014 al 2016, quando era direttore generale della Prevenzione del Ministero della Salute, non ha compilato le autovalutazioni annuali sulle “core capacities” da mandare all’Oms?

 “Veramente l’ufficio preposto dalla direzione generale della prevenzione lo ha fatto. Perché dice questo? Io avevo anche disposto un’autovalutazione complessiva nel contesto della Global Health Security Agenda, la cui gestione ho lasciato in eredità, dopo prove piuttosto dure, come la gestione Ebola, WestNile, Chikungunya, Zika, ma anche morbillo e meningite: queste sono le epidemie che mi sono trovato ad affrontare e gestire nei tre anni del mio mandato. Il nostro paese venne poi valutato all’interno della procedura del GHSIndex del 2019, che ci vide al livello 4 con tutti i paesi più avanzati del mondo (e nessuno raggiunse il livello 5 di massima capacità)”.

    – Sui social in questi giorni è oggetto di pesanti attacchi. Perché tiene in vita il suo profilo? Le sue risposte, a volte molto dure e poco formali, si addicono al ruolo così importante che lei riveste?
 

“Come avrà visto, dato che lo consulta, non ho più commentato da parecchi giorni. Lo tengo aperto perché voglio capire cosa pensa la gente e quali siano, se ci sono, i chiarimenti che vengono richiesti. Non mi sono mai rinchiuso in torri d’avorio e non mi sono mai isolato dalle persone che – le sembrerà antiquato – il mio giuramento ippocratico mi impone di servire. Io ci credo ancora, nonostante l’età e tutto quello che ho visto in giro per il mondo. Qualche volta cerco anche di usare lo stesso linguaggio di coloro che mi insultano e mi giurano morte e sofferenze. Ma non ci riesco bene, perché la violenza, anche verbale, è qualcosa che mi è completamente estranea”.

Vedi: "Non io, ma la sede centrale di Copenaghen dell'Oms ritirò il rapporto sull'Italia". La verità di Ranieri Guerra
Fonte: cronaca agi


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