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Morning Bell: per le Borse europee si prospetta un avvio incerto

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AGI – Nella giornata di mercoledì 13 aprile i mercati appaiono un po’ in ripresa, dopo i dati sull’inflazione Usa, che a marzo è salita al top da 40 anni, ma in modo meno preoccupante delle attese e raggiungendo quello che per molti analisti sembrerebbe un picco, da cui nei prossimi mesi potrebbe iniziare gradualmente a scendere. Lo dimostra l’andamento dei rendimenti dei T-bone a 10 anni, che prima del dato sull’inflazione avevano toccato il 2,83%, un livello mai raggiunto dalla fine del 2018 e poi sono scesi poco sopra al 2,7%.

Il biennale resta un po’ distanziato al 2,4%, allontanando il pericolo dell’inversione delle curva, che gli investitori considerano un segnale di recessione in arrivo nei prossimi 12-24 mesi. Tuttavia i mercati restano volatili e instabili, condizionati dal forte rialzo del prezzo del petrolio e dall’impatto della guerra, che appare destinata a durare a lungo.

Joe Biden ha attaccato Vladimir Putin, che ritiene responsabile di cercare un genocidio: “Vuole cancellare gli ucraini”, ha detto il presidente Usa, dopo che quello russo ieri ha definito il conflitto una “tragedia”, ma ha anche chiuso ai negoziati, dando la colpa dell’impasse all’Ucraina. “Gli ucraini – ha detto Putin – hanno spinto i negoziati in un vicolo cieco, sono loro che hanno creato difficoltà”. In Asia i listini viaggiano in territorio positivo, e anche a Wall Street i future sono in rialzo, dopo un andamento altalenante.

A New York gli indici hanno chiuso in calo

Il Dow Jones è sceso dello 0,26%, lo S&P dello 0,33% e il Nasdaq dello 0,3%. L’attenzione degli investitori è stata concentrata sui dati dell’indice dei prezzi al consumo Usa, saliti all’8,5% annuo a marzo, ai massimi da gennaio 1982, sopra un atteso +8,4%, mentre l’indice Cpi core, che esclude i prodotti alimentari e l’energia, è salito del 6,5%, contro il previsto +6,6%. “Non c’è molto di positivo nei dati sull’inflazione odierni”, ha commentato Matt Peron, Director of Research di Janus Henderson.

“Il meglio che si può dire è che l’inflazione core è stata più bassa del previsto e questo potrebbe dare un po’ di sollievo ai mercati che si stavano preparando al peggio”. Secondo Peron, la chiave ora è “se l’inflazione ha raggiunto il picco e, in caso affermativo, a quale ritmo scenderà”. Questa lettura, ha affermato l’esperto, “probabilmente impedirà un’azione più aggressiva della Fed a breve termine”, anche se molti analisti restano convinti che a maggio e a giugno l’aumento dei tassi resterà di 50 punti base e dunque aggressivo. In rialzo anche i future delle Borse europee.

L’attenzione degli investitori si sposta ora sulle prossime mosse delle banche centrali, in particolare della Bce che torna a riunirsi domani, mentre Londra risente dei contraccolpi del ‘Partygate’ sul governo, dopo le multe a Boris Johnson e a Rishi Sunak che, secondo Scotland Yard, hanno infranto le leggi sui lockdown, che loro stessi avevano introdotto. In Asia i prezzi del petrolio viaggiano in rialzo dopo aver virato in negativo.

Il Wti è tornato sopra 100 dollari e il Brent sopra 105 dollari al barile. Intanto riparte la stagione delle trimestrali Usa. A fare da apripista sono le banche: oggi Jp Morgan Chase e domani Morgan Stanley, Wells Fargo e Citi. Oggi sono attesi anche i dati sulle scorte petrolifere settimanali Usa, quelli sui prezzi alla produzione negli Stati Uniti e quelli sui prezzi al consumo nel Regno Unito.

L’inflazione americana corre all’8,5% a marzo

L’inflazione negli Stati Uniti vola a marzo ai massimi dal dicembre 1981. I prezzi al consumo sono saliti dell’8,5% dal 7,9% di febbraio e contro un atteso +8,4%. Tuttavia gli investitori si sono focalizzati sul dato core – quello al netto di energia e alimentari – salito meno delle attese, dello 0,3% rispetto a febbraio e del 6,5% rispetto a marzo 2021.

Il mercato si attendeva, nel mezzo del conflitto russo-ucraino, un’inflazione più alta: le attese erano di un +0,5% e +6,6%. Se, nel mezzo di una guerra, i prezzi core sono saliti meno delle attese, il peggio sul fronte dei rialzi è passato, affermano molti analisti, che pronosticano dunque un picco a marzo per l’inflazione a stelle e strisce. I costi degli alloggi, che rappresentano circa un terzo della ponderazione dei prezzi al consumo, sono saliti di un altro 0,5% mensile, portando l’incremento annuale a +5%, il più alto dal maggio 1991.

I prezzi all’energia sono avanzati dell’11% rispetto al mese precedente, l’aumento maggiore dal 2005, mentre i prezzi della benzina sono balzati del 18,3%.I beni alimentari sono cresciuti dell’8,8% annuale. E’ poi importante notare che i salari reali sono diminuiti di un altro 0,8% a marzo, poiché il costo della vita ha superato i pur forti aumenti salariali (+5,6%), di fatto diminuendo il potere d’acquisto dei lavoratori.

“La grande notizia nel rapporto di marzo è che le pressioni fondamentali dei prezzi sembrano essersi finalmente moderate”, commenta Andrew Hunter, economista senior di Capital Economics, aggiungendo che , secondo lui, l’aumento di marzo ha “segnato il picco” per l’inflazione Usa.

Anche Lael Brainard, futura vice di Powell alla Fed, “apprezza” il rallentamento dell’inflazione core. ″Vedremo – dice – se questa moderazione proseguirà nei prossimi mesi”. I mercati monetari vedono ancora una probabilità del 93,5% di un incremento di 50 punti base dei tassi al meeting della Fed del mese prossimo, una percentuale rimasta praticamente inalterata rispetto a prima della pubblicazione dei dati.

La voce fuori dal coro, James Bullard

Una voce dissonante è quella del ‘falco’ James Bullard, presidente della Fed di St. Louis, secondo il quale è una “fantasia” pensare che degli aumenti modesti dei tassi possano domare l’inflazione. Secondo Bullard, intervistato da Financial Times, occorre agire con decisone, anche a costo di frenare l’attività economica per contenere l’impennata dei prezzi. L’opinione di Bullard diverge da quella della maggior parte dei suoi collghi, secondo i quali occorre spingere i tassi più vicini a un livello “neutro” quest’anno.

“C’è un po’ di fantasia, credo, nella politica attuale delle banche centrali – sostiene Bullard – La neutralità non è esercitare una pressione al ribasso sull’inflazione”.

E poi precisa: “Dobbiamo fare una pressione al ribasso sulla componente di inflazione che pensiamo sia persistente. Arrivare al neutro non sarà sufficiente, perché mentre una parte dell’inflazione si può moderare naturalmente, ci sarà una componente che non lo lascerà fare”.

“Se i mercati hanno l’idea che la Fed non farà la cosa giusta e non terrà sotto controllo l’inflazione, allora si deve guadagnare credibilità facendo effettivamente le cose che mostrano loro che fai sul serio”.

A detailed analysis of U.S. inflation last year across product categories indicates that high inflation is a generalized phenomenon https://t.co/HBHxEyus9h pic.twitter.com/Coe36llU1N

— St. Louis Fed (@stlouisfed)
April 13, 2022

Attesa per la riunione della Bce

Domani si riunisce il direttivo della Bce, con Christine Lagarde, contagiata dal Covid, che parteciperà in teleconferenza e non in presenza. I ‘falchi’ sono in agguato. Il presidente della Bundesbank, Joachim Nagel ha già detto che è arrivato il momento di mettere sul tavolo l’ipotesi di chiudere il Qe già a giugno-luglio, per poter partire all’inizio del terzo trimestre con il rialzo dei tassi. Inoltre, rivolgendosi ai risparmiatori tedeschi, ha detto loro che a breve i tassi di interesse torneranno in positivo.

La settimana scorsa sono uscite le minute della Bce, che confermano l’intenzione dei ‘falchi’ di accelerare a luglio la fine del Qe, per poter avviare un rialzo dei tassi. Sull’altro fronte, quello delle ‘colombe’ cresce invece il timore che un rialzo eccesivo dei tassi possa far partire una recessione.

A questo proposito Bloomberg nei giorni scorsi aveva fatto sapere che, secondo indiscrezioni, la Bce starebbe studiando delle misure anti-crisi, che ancora sarebbero in una fase iniziale e che probabilmente non verranno presentate giovedì, per contenere un eccessivo rialzo dei tassi. Quali potrebbero essere queste misure ancora non si capice ma non si esclude che potrebbero prevedere degli acquisti di bond.

Il problema Covid in Cina

Le autorità di Shanghai usano il ‘bastone e la carota’ per contrastare il Covid-19. Da una parte Shanghai ha allentato alcune restrizioni, ma dall’altra ha avvertito ì residenti che chiunque violi le rigide regole dei blocchi sarà trattato rigorosamente, mentre i nuovi casi rimbalzano a più di 25,000 unità.

Ieri alcuni residenti sono stati autorizzati a lasciare le loro case per la prima volta da più di due settimane. Le autorità di Pechino in questi giorni hanno costretto un quarto della popolazione a sottostare a rigidi blocchi totali o parziali.

Ora però, anche sulla spinta delle proteste sollevate dai cittadini di Shanghai, che si lamentano per l’aumento dei prezzi, per le difficoltà nel reperire beni di prima necessità e per la separazioni dei minori dai genitori, le autorità stanno cominciando a prendere misure per alleviare la politica del zero Covid, anche se con molta cautela, per il timore che i contagi aumentino troppo.

Lunedì scorso le autorità di Shanghai hanno reso noto che più di 7.000 aree – dove secondo i media locali abitano circa 4 dei 25 milioni diresidenti della metropoli- erano state classificate come a basso rischio dopo che nessun nuovo caso era comparso in 2 settimane.

I funzionari locali hanno annunciato che alcuni di questi compessi edilizi potevano aprirsi e ad alcuni residenti è stato permesso oggi di uscire. Tuttavia c’è ancora molta ancora confusione sul modo in cui possono liberamente muoversi e in molti sono ancora in attesa del permesso da parte dei comitati residenziali.

 

 

Source: agi


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