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“Milena, la luna” è Debora Bernardi, 38 minuti di poesia

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A Milena piace fischiare, ballare, guardare la luna che anche se non c’è illumina sempre la sua vita. La stessa luna che porterà il suo riverbero per quelle strade maleodoranti, abitate da persone sedute su bianche sedie ed attraversate da individui schivi e frettolosi che procedono tenendo le mani in tasca…

di Claudia Lo Presti

Elaborato, sceneggiato e diretto da Giuseppe Lazzaro Danzuso che nel 2013/2014 lo aveva scritto per il teatro, “Milena, la luna” è il racconto di una vita cominciata sbagliata e sfumata così, senza che alcuno ci facesse caso.
Debora Bernardi dà vita ad un personaggio semplice ma carico di fascino: figlio unico di una famiglia con mezzi economici appena sufficienti, ha comunque la fortuna di essere compreso da un padre che gli accarezza il capo chiamandolo “Carmelo, figlio mio sfortunato” ed una madre che l’abbraccia e se la mette vicina per insegnarle a cucinare e che la ribattezza Milena…
A Milena piace fischiare, ballare, guardare la luna che anche se non c’è illumina sempre la sua vita. La stessa luna che porterà il suo riverbero per quelle strade maleodoranti, abitate da persone sedute su bianche sedie ed attraversate da individui schivi e frettolosi che procedono tenendo le mani in tasca.
Milena ci è dovuta arrivare per campare sua madre dopo la morte del padre e malgrado la parola più relativa sia “prostituzione”, questo personaggio riesce a sorvolarne la freddezza mettendoci tutta la poesia che si sente di avere dentro. Un uomo, un anziano professore – interpretato da Aldo Toscano – ne comprenderà davvero la ricchezza interiore, la porterà a teatro, le insegnerà le parole e le regalerà un vocabolario che ha il ciauro dei libri antichi, di quelli che hanno assai da raccontare.
Il mediometraggio (autoprodotto), proiettato a Marzamemi nell’ambito del Festival Internazionale del Cinema di frontiera, al Festival dei Corti a Catania e all’Arena Adua in tre vicine serate settembrine, è stato un successo di pubblico e di critica.
Ambientato nella zona di via Giovanni di Prima, presso il quartiere San Berillo, svela il dietro l’angolo lontano dalle strade chiassose, quelle dove ci sono negozi, ristoranti, teatri e rivela sotto una luce attenuata com’è la vita di alcune persone per le quali non c’è coincidenza fra il sesso biologico e quello di genere, costringendole dunque ad una esistenza fatta di volontà di affermarsi e lotta contro i pregiudizi della gente.
Debora Bernardi non poteva essere più adatta per richiamare esattamente questa dignità e allo stesso tempo conferire quella spensieratezza al ruolo di Milena: ricordi ed immagini di ciò che era stato sono incardinati sul monologo dell’attrice che va avanti per quasi 40 minuti legando a sé ogni spettatore, riuscendo a far leva su curiosità e senso della carità, ragionando sulla sorte, sulla “stidda” che alcuni possiedono e non riescono a cambiare (“animuzza ‘nnucenti”). Ci fa innamorare di questa creatura soprannaturale – metà essere umano e metà luna – candida malgrado tutto, anche dopo la ulteriore disgrazia che la colpisce: una mascherina per celare una bocca che non può più baciare, dell’attrice si vedono solo gli occhi espressivi che raggiungono l’anima di chi ascolta. Ci racconta l’infanzia, lo stupore, il dolore e l’approccio ad una vita diversa e laddove scompaiono serenità ed innocenza, si ripresentano comunque dignità e voglia di vivere.
È splendida Debora Bernardi, anche negli abiti disegnati per lei da Liliana Nigro: una sciarpa, soprattutto, che gira, corre con lei, come fosse un paio di ali che, a dispetto di quelle che le sono state tarpate, l’aiutano ad andare lontano da lì, ad immaginare cose, a sentirsi al di sopra.
Una persona l’aiuterà: Aldo Toscano è l’anziano professore che se ne innamorerà, dandole lustro per qualche tempo. L’attore da del personaggio una interpretazione adorabile, riuscendo a mettere a tacere la morbosa curiosità, e nell’intento dell’autore di spostare l’attenzione solo sul legame sentimentale che istaura con Milena “la sua pupidda”. Egli è l’anima complementare di quella creatura, due persone pure che si incontrano per darsi conforto e generare bellezza in quello spazio di mondo etichettato con titoli sconfortanti, scontati, offensivi; come se la gente che c’è e quella che va non avesse comunque la sua storia personale…
Quaranta minuti di note, di strade, di pozzanghere e luci che vi si riflettono. Testo bellissimo ed attori magici e bravissimi. La musica scritta da Giancarlo Lazzaro Danzuso ha un ruolo importantissimo: scivola sui profili scrostati degli edifici, scorre per le strade, sale sui tetti e raggiunge il mare e la luna. E la pianista Ketty Teriaca ci delizia con la precisa esecuzione del “La Casta Diva” di Bellini.
“Questo film” – ha sottolineato il regista – “vuol essere un invito a recuperare la memoria per quella Catania che negli anni a cavallo della prima guerra mondiale, era una sorta di Mecca europea del Cinema, con quattro case di produzione e grandi teatri di posa sulla collina di Cibali. Abbiamo un patrimonio incredibile di storie ancora da narrare – ha aggiunto Lazzaro Danzuso – come quella di Mimmo Gallina, padre del proprietario dell’Adua, Francesco: innamorato della pellicola, come in Nuovo Cinema Paradiso rubava piccoli spezzoni di film che poi montava e conservava.
Luciano Catotti, in rappresentanza di Buongiorno Sicilia e Vision Sicily, aziende alle quali si devono spettacoli teatrali di grande successo, come L’Inferno e l’Odissea per citarne qualcuno, ha anticipato un progetto cinematografico basato su un altro testo scritto da Giuseppe Lazzaro Danzuso, “Lu paladinu e lu tunnu ‘nfatatu” realizzato all’interno delle tonnare siciliane.
Paolo Patané, consigliere scientifico della Fondazione Patrimonio Unesco Sicilia, ha sottolineato a tal proposito “che è necessario conferire immagini poetiche a questo testo così significativo, importante, profondo; dunque, l’idea di produrre un film che ci consente di tornare a guardare con rispetto e attenzione alla maestà delle tonnare ci deve aiutare a riportare alla memoria ciò che abbiamo dimenticato come le leve economiche che hanno fatto la fortuna della Sicilia, e l’intreccio con la storia di grandi famiglie siciliane. Ma il mio auspicio più ambizioso è quello di affiancare al film un’operazione più complessa, creando un movimento culturale che porti alla candidatura delle tonnare a Patrimonio dell’Umanità”.
“Il testo “Lu paladinu e lu tunnu ‘nfatatu” di Lazzaro Danzuso – ha aggiunto – affonda la lama della narrazione in vicende, tradizioni, volti, personaggi, liturgie delle tonnare con il sottofondo dei canti dei tonnaroti, le cialome. Ed emoziona ricordando le abitudini, le sofferenze, le speranze, la povertà, la ricchezza di quelli che De Seta definì contadini del mare”.
Oltre a Debora Bernardi, la protagonista, ad Aldo Toscano nel ruolo del Professore e ad Alessandra Cacialli, in uno straordinario cameo, gli altri interpreti del film sono: Dora Marchese, Marcello Motta, Giuseppe Privitera, Aldo Seminara e Gianni Vinciguerra. Con Antonio Fisichella. Ci sono poi le donne che hanno accettato di farsi filmare sulle sedie bianche su cui, a San Berillo, si accomodano prostitute e trans: la giornalista Flaminia Belfiore, la presidente delle guide turistiche Giusy Belfiore, la cantante folk Simona Di Gregorio, la regista Monica Felloni, e ancora Anna Palmisano, medico, e Lorena Russo e Giusy Sicari.
I costumi del film sono di Liliana Nigro, le musiche originali di Giancarlo Lazzaro Danzuso, mentre la Casta Diva di Vincenzo Bellini è eseguita al pianoforte dalla concertista Ketty Teriaca. Per quanto riguarda la parte tecnica, il direttore di produzione è Francesco Scuderi, quello della fotografia Francesco Caudullo e a firmare montaggio e postproduzione è Mel Pappalardo. Da citare poi gli operatori alla macchina, Fabrizio Rizzo e Giacomo Seminara, l’operatore gimbal, Daniele Corbino, il fotografo di scena, Santo Consoli e ancora il gruppo make up, sartoria e costumi, formato da Serena Amarù, Giordana Fichera, Chiara Viscuso, Serena Siclari, Grazia Nicosia e Giuseppe Adorno.
Al film, segue un documentario sul backstage girato e montato dal giovanissimo filmaker Giacomo Seminara.
Perché il film lo fanno tutti.