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Mezzogiorno: tanti capitoli per una nuova agenda politica

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di Massimo Veltri
Cento anni fa nel Mezzogiorno d’Italia si diede inizio a una poderosa operazione che nel tempo avrebbe non solo mutato il volto del territorio e del paesaggio per vastissime estensioni ma avrebbe costituito le premesse  per un intervento su larga scala di natura antropologica, economica e sociale.
Tutto era incominciato nei primi dieci anni del 1900 quando l’ingegnere milanese Angelo Omodeo, uno dei massimi esperti di sistemi idrici d’Europa, progettista e costruttore di dighe, avviò uno studio per l’utilizzazione delle caratteristiche morfologiche, idrologiche e geologiche dell’altipiano silano – nella Calabria settentrionale, con altitudine media di 1250 metri sul mare, affacciato sulla valle del Crati e sullo Jonio crotonese – . Un territorio unico per molti versi, un polmone verde nel Mediterraneo, sede di possedimenti latifondistici, di quieti armenti, di antropizzazioni poche o inesistenti.
Il progetto di Omodeo non era configurabile come una tentazione colonialistica ne’ tantomeno come un intervento assistenzialistico: era mirato, in un’ottica di unità nazionale, a mettere a sistema potenzialità non sfruttate ed esigenze acclarate con sullo sfondo più esigenze e fini multipli, fra loro interconnessi. Una visione moderna che anticipo’ di molto gli approcci successivi: produzione di energia idroelettrica, controllo delle piene fluviali, bonifica dei terreni, irrigazione e messa a cultura di terre abbandonate, aspetti paesaggistici.
Omodeo convinse Giolitti e Nitti a Roma, grazie al sostegno concreto del sistema bancario settentrionale e di quello di uno stuolo del meglio della tecnocrazia nazionale, a procedere nella realizzazione di un complesso sistema elettro-irriguo  mediante la costruzione di grandi bacini, condotte e centrali che interessava non solo la Sila, ma anche parte del territorio della Lucania e di quello pugliese. Un sistema che sessanta anni dopo fu definito da Giuseppe Barone ‘l’intervento più efficace di industrializzazione del Mezzogiorno’.
Il respiro nazionale, la portata dell’intervento, erano propri di tempi di grandi slanci e altrettanto importanti coinvolgimenti.
La realizzazione del ‘sistema elettro-irriguo meridionale’ fu affidata, si era nel 1916, alla SME (Società meridionale elettricità), che avviò i lavori per la costruzione del lago Ampollino che terminarono nel 1927.
Fu poi la volta del lago Arvo, realizzato tra il 1927 e il 1932, collegato al  lago Ampollino mediante una condotta in galleria ed infine, nel 1951, quella del lago di Cecita, il più grande serbatoio idrico della regione (121 milioni di metri cubi).
Contemporaneamente venivano costruite le centrali di Orichella e di Timpagrande, quest’ultima inaugurata nel 1927 dal re Vittorio Emanuele III, ed era presente – raccontano le cronache – anche Guglielmo Marconi.
Le successive entrare in funzione delle centrali di Orichella (1929) e di Calusia (1931), che producevano complessivamente circa 370 mw di energia, consentirono da subito la nascita di una fiorente industria con la realizzazione degli stabilimenti della Montecatini e l’inizio di un poderoso processo di  trasformazione del Marchesato Crotonese da vecchio feudo in zona agro-industriale moderna. Nel frattempo erano mutati i contorni della presenza umana sull’altipiano con la nascita di nuovi insediamenti, la contaminazione con provenienze diverse, usi e consumi che venivano stravolti.
Il resto è storia recente, che riguarda i decreti Gullo-De Gasperi con la rottura del latifondo e la distribuzione delle terre, ma anche la forte resistenza dei grandi possidenti, il possente lavoro della Cassa per il Mezzogiorno, lo spirito unitario che sottostava a quelle politiche che a poco a poco si è affievolito, la crisi energetica avanzare come protagonista, le aree interne sempre più marginalizzate: tanti capitoli di un’agenda per una nuova politica.
Fonte: Liberta’ Eguale